La disneyficazione nell’utopia urbanistica post-industriale

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    Un contributo di tipo molto diverso alla definizione teorica della Disneyfication viene dal libro pubblicato da Michael Sorkin all’inizio degli anni ’90 e intitolato Variations on a theme park: the new american city and the end of public space1Variations on a theme park: the new american city and the end of public space, a cura di Michael Sorkin, Noonday Press, New York 1992.. L’architetto e critico dell’architettura statunitense ha curato la raccolta di una serie di saggi sulle trasformazioni radicali che hanno investito le città americane nella seconda metà del XX secolo, e che hanno prodotto nuovi prototipi di insediamento e nuove utopie urbanistiche, come quelle della città tecnologica (Silicon Valley), commerciale (mall, aeroporti), a-geografica (Disneyzone).

    In “See You in Disneyland”2Così è intitolato l’ultimo dei contributi teorici del libro Variations on a theme park, scritto dallo stesso Sorkin., Sorkin focalizza l’attenzione sul processo di Disneyfication dell’ambiente urbano, procedendo da un’analisi della Disneyzone (Disneyland e le sue filiali nel mondo) e dei suoi precedenti storici. L’autore riconosce nell’impero disneyano la postmoderna manifestazione di un’aura3But the empire of Disney transcends these physical sites; its aura is all-pervasive, ivi, p. 205., che pervade tutta la sua produzione. Orlando, con i suoi parchi e i suoi immensi resort, è diventata negli anni ’90 la prima destinazione puramente turistica del pianeta; per gli americani, un surrogato del paradiso. Sembra che il turista moderno abbia sostituito la nozione di autenticità storica con quella di riproduzione simulata, senza neanche accorgersene. Come le immagini a copyright Disney, infinitamente riprodotte e infinitamente riproducibili, hanno acquisito un’aura, così la materializzazione fisica dei personaggi e degli scenari di quelle storie, che si ritrova nei parchi a tema, ha prodotto un’utopia postmoderna, sostanzialmente tecnocratica e impostata sulla dimensione dell’eterno movimento: un nuovo modello di urbanesimo.

     

    Non si può comprendere un fenomeno simile, che investe la rappresentazione collettiva dello spazio urbano, del luogo pubblico e del tempo libero, senza cogliere il nesso cruciale che si è stabilito tra il medium televisivo e la costruzione dei primi grandi parchi tematici della Disney. Senza il supporto di potenti emittenti come la ABC e delle popolari trasmissioni televisive prodotte dalla Walt Disney Productions, non sarebbero mai nate le varie Disneylands. I massicci finanziamenti necessari per la costruzione del primo parco, quello di Anaheim, provenivano soprattutto dalle pubblicità e dai programmi televisivi largamente diffusi, gli unici canali in grado di procurare la necessaria visibilità al parco che stava nascendo4The park was, as Thomas Hine has noted, “the first place ever conceived simultaneously with a TV series”, ivi p. 206..

    Disneyland e la televisione funzionano in base a un analogo meccanismo estetico, che consiste nella continua giustapposizione di immagini e di contenuti, frammentaria e casuale, priva di uno sviluppo coerente, ma in grado di catalizzare l’attenzione attraverso un effetto di stordimento. L’esperienza estetica prodotta è in entrambi i casi un’esperienza semplificata e addolcita (l’autore usa il termine sanitized, una parola-chiave della letteratura critica su Disney, insieme a sanitization), che sostituisce la sfuggente e disordinata complessità della città reale.

    A circa trent’anni dal saggio di Sorkin, risulta evidente che una delle intuizioni vincenti di Walt Disney, poi imitata da tanti altri, sia stata quella di aver compreso che un pubblico di massa (le famiglie di tutto il mondo, ma anche i turisti di tutte le età) appassionato di storie fantastiche (come le storie dei classici Disney), avrebbe privilegiato, quale destinazione turistica, il luogo della materializzazione fisica dei luoghi e dei personaggi di quelle storie. Se il borghese dell’età moderna, appassionato di arte, storia e letteratura, desidera visitare i luoghi storici che hanno dato vita al patrimonio culturale della tradizione, la famiglia moderna, appassionata di popular culture, desidera visitare luoghi artificiali, e che hanno origine proprio da quel tipo di immaginario pop.

    La prima differenza rilevante è che il turismo nei parchi Disney è un business che appartiene a un’unica corporation. La seconda è che i parchi a tema Disney, per quanto possano differire nei dettagli, sono fondamentalmente tutti uguali. Le innumerevoli imitazioni di questi parchi nel mondo5Parchi a tema disneyficati si trovano in tutto il mondo. La loro origine è americana, e sono diffusissimi innanzitutto negli Stati Uniti. A Los Angeles, oltre a Knott’s Berry Farm (uno dei più antichi parchi a tema, basato sulla materializzazione dell’immaginario dei film western, e ideato nel 1940), troviamo il caso “storico” dello Studio cinematografico che diventa parco-divertimenti, gli Universal Studios (1964, oggi con filiali a Orlando, in Giappone, a Singapore – poi seguito da Paramount The Studios), e il modello più celebre di parco dedicato alle montagne russe, Six Flags Magic Mountains (1971, oggi con varie filiali nel Nord America), che unisce la tematizzazione culturale (i fumetti storici della DC Comics) alla tematizzazione dell’attrazione. In Italia, segnaliamo Rainbow Magicland, a Valmontone (2011), e Cinecittà World, a Roma (2014). Tra i più moderni, ricordiamo i vari Legoland, che si avvalgono di tecnologie robotiche all’avanguardia, e ospitano attrazioni sponsorizzate da grandi aziende. Tra gli esempi di parchi tematizzati intorno a icone popolari dello sport mondiale, ricordiamo Ferrari World Abu Dhabi (inaugurato nel 2010). La Cina, poi, sta conoscendo una vasta diffusione del parco a tema su modello Disney., del resto, non aggiungono nulla di significativo al modello originale, ma riproducono un meccanismo identico di materializzazione dell’immaginario culturale pop.

    The urbanism of Disneyland is precisely the urbanism of universal equivalence6Sorkin, p. 217., un modello di città costruito attorno ai desideri e ai comportamenti del monadic consumer, il cittadino trasformato in consumatore. Disneyland è il prototipo di un insediamento urbano completamente nuovo, che si configura come uno spazio antigeografico, dal momento che le relazioni mondo naturale-mondo artificiale vengono radicalmente ristrutturate in base a un’estetica iconofila di matrice cinematografica fondata sul costante perfezionamento della qualità della simulazione. L’autore utilizza anche l’espressione creative geography, per descrivere l’ispirazione visiva di questo spazio, progettato in base all’effimera realtà del cinema, nel quale ogni elemento architettonico e paesaggistico simula qualche altra realtà, che può essere storica o geografica, letteraria o fantastica, ma che in ogni caso risulta mediata dal linguaggio del grande schermo.

    L’intrattenimento secondo Disney consiste in una celebrazione dell’ordine di cose esistente attraverso la parvenza di una fuga da esso; appare come una rappresentazione anti-carnevalesca perché non destinata alla libera interazione sociale e all’espressione anarchica della creatività, ma diretta all’individuo atomizzato, al cliente-pagante della società dei consumi, il quale predilige un’esperienza di svago controllata, comoda e perfettamente organizzata, che Sorkin definisce Fordist fun.

    Questo tipo di città completamente artificiale, nata dal nulla in uno spazio periferico della città storica, ha degli illustri antenati nel XIX secolo, l’età della rivoluzione industriale, la quale ha portato con sé la necessità del progressivo accrescimento del consumo. Le grandi esposizioni universali sono l’espressione estetica e simbolica più grandiosa di questa esigenza strutturale del capitalismo. E precisamente questi spettacolari eventi internazionali vengono riconosciuti da Sorkin come l’antecedente più significativo dei parchi a tema Disney.

    Tanto le esposizioni universali quanto i parchi disneyani adottano dei modelli di urbanesimo visionario: si presentano come prototipi di città del futuro, con un loro sistema interno di trasporti e di mobilità e con adeguati spazi di interscambio con lo spazio esterno (gli immensi parcheggi).

    L’intrattenimento secondo Disney consiste in una celebrazione dell’ordine di cose esistente attraverso la parvenza di una fuga da esso

    L’esposizione del 1851 fu la prima grande utopia del capitale globale7Sorkin, op. cit., p. 209.. I toni trionfalistici presenti nell’ “Inaugural Address of the Prince Consort Albert” per la grande esposizione di Londra, simboleggiata dall’avveniristico Crystal Palace, riflettono la fiducia nell’inarrestabile progresso tecnico-industriale, che avrebbe portato alla “realizzazione dell’unità del genere umano”: le distanze geo- grafiche vengono progressivamente ridotte dai trasporti moderni, le comunicazioni tra le diverse parti del mondo diventano più rapide, il principio della divisione del lavoro (“which may be called the moving power of civilization”) sta per essere esteso a tutti i settori della scienza, dell’industria, dell’arte, “the products of all quarters of the globe are placed at our disposal, and we have only to choose which is the best…”.

    Una delle prime pubblicità di Disneyland8Citata in Sorkin, p. 206. recita così:

    Disneyland will be something of a fair, an exhibition, a play-ground, a community center, a museum of living facts, and a showplace of beauty and magic. It will be filled with the accomplishments, the joys, the hopes of the world we live in. And it will remind us and show us how to make those wonders part of our lives.

    In questa pubblicità, Disneyland si presenta come molto di più di un’esposizione universale. La sua ambizione è quella di essere una vetrina di “magia e bellezza” dedicata alle realizzazioni e alle speranze del mondo in cui viviamo, oltre che una celebrazione degli ideali dell’american dream e oltre che un parco giochi. Ma non a caso, le parole messe in primo piano sono fair ed exhibition.

    Quello che unisce Disneyland e le storiche esposizioni universali è innanzitutto lo spirito di esaltazione dello sviluppo dell’industria e della tecnica, veicolato attraverso un ambiente artificiale e spettacolare, immaginato come una città in miniatura. Questi parchi urbani, dedicati al consumo e allo svago, si presentano agli occhi del pubblico come monumenti all’intraprendenza della scienza e al progresso della civiltà globale e nello stesso tempo come proiezioni verso la futura, completa realizzazione dei sogni e delle ambizioni dell’umanità intera. Dietro gli altisonanti proclami pubblicitari, si possono leggere facilmente le esigenze strutturali del capitalismo moderno, ma le dinamiche economiche sono rivestite della sacralità dell’arte e della sua universalità estetica.

    Entrambe le realizzazioni manifestano gli effetti delle trasformazioni intervenute nell’immaginario geografico e culturale nell’età industriale. Tanto le esposizioni universali quanto i parchi Disney contemplano una celebrazione dei mezzi di trasporto moderni, che hanno modificato in maniera radicale la percezione dello spazio e ridotto fortemente il senso di lontananza dalle culture differenti. Quasi tutte le rides di Disneyland si basano su sistemi di trasporto meccanico su binari, e molte di esse propongono l’esplorazione di luoghi esotici o lontani, nel tempo e nello spazio. In questo tipo di attrazioni, vengono ricreati scenari naturali in maniera artificiale, e contesti storici e urbanistici riprodotti in scala, con personaggi “animatronici” in sostituzione degli esseri umani. Per Walt Disney, il trenino era l’attrazione più significativa del suo parco, e ciò è perfettamente coerente con la sua idea di città anti-geografica, nella quale è possibile ritrovare, viaggiando entro appositi percorsi, la geografia del mondo in miniatura, per quanto ricostruita in forma virtuale e secondo discutibili stereotipi.

    L’antecedente del trenino di Disneyland si trova nei mezzi di trasporto realizzati appositamente per alcune esposizioni universali, che diventavano sempre più ampie e più ambiziose. Ma quello che più di tutto Disneyland deve a questo precedente è l’assunto dell’inevitabile destino del progresso dell’umanità, realizzato attraverso l’industria e la tecnica.

    La “serra” del Crystal Palace ha rappresentato anche il prototipo delle serre con piante esotiche e tropicali realizzate in tutto il mondo: in questo tipo di edificio, la natura viene addomesticata alle esigenze dell’uomo, e presentata come uno spazio per il divertimento, una passeggiata nel verde molto gradita all’abitante della metropoli moderna. Anche a Disneyland, la natura non si presenta mai come ambiente selvaggio, ovvero come antitesi della civilizzazione, ma sempre e solo come playground9La “serra” più rinomata tra quelle presenti nella Disney-zone è quella dell’attrazione di Epcot “Living with the land”, che è stata oggetto di molta attenzione da parte della critica della Disneyfication.. Nel grande antenato di tutti i parchi a tema, la natura è posta sotto stretto controllo, e diventa essa stessa parte dello spettacolo10…at Disney, nature is appearance, machine is reality, Sorkin, p. 223., dimostrando come il progresso tecnico e industriale abbia migliorato anche la natura.

    Il movimento pianificato costituisce l’esperienza predominante nella visita al parco Disney (si viaggia per viaggiare): ci si muove per le strade artificiali, si viene trasportati fisicamente o virtualmente nelle rides. Le attrazioni consistono solitamente in un viaggio in un passato o in un futuro non visitabili o in una geografia deformata. Ci si muove (sia pure molto lentamente e forse per la maggior parte del tempo) anche lungo le interminabili file11Anche questa scelta verrà imitata nei parchi a tema di tutto il mondo. I percorsi di accesso alle attrazioni si snodano attraverso configurazioni imprevedibili e mascherate da passaggi (come l’alternanza interno-esterno), che confondono l’orientamento e il senso del tempo. Anche questa è una strategia della finzione disneyana. Da un lato il visitatore non viene scoraggiato dalla previsione di lunghi tempi d’attesa (talora segnalati da cartelli), dall’altro viene già “intrattenuto” da scenografie, schermi o effetti visivi di vario genere. Il percorso di attesa rappresenta già l’inizio del viaggio, e occupa una durata (variabile, ma in genere superiore a un’ora nelle attrazioni principali) ben superiore a quella della ride (di pochi minuti). che si snodano all’ingresso delle attrazioni, e che diventano esse stesse occasione di intrattenimento, parte integrante dell’attrazione. Tutto questo movimento costituisce l’essenza dell’esperienza nella città Disney; ma in fondo non differisce molto dalle modalità del turismo moderno, che risente certamente di un contesto culturale Disneyfied1254 Sorkin, p. 216.. Ecco perché Disney World sostituisce una tradizionale destinazione turistica: è un luogo che permette di viaggiare, peraltro in maniera più rapida e più comoda. Poco importa che la geografia fisica reale venga sostituita da una ricostruzione virtuale e che l’apparenza del movimento nasconda una sostanziale irrilevanza del movimento. Nei parchi a tema, si viaggia nei paesi e nei continenti del mondo, ma senza le scomodità del viaggio reale. E si potrebbe dire che Disney World sia un microcosmo materializzato del mondo del turismo internazionale così come le esposizioni universali erano un microcosmo del mercato globale, ovvero delle shopping-mall internazionali13Ivi, p. 216..

    I percorsi di accesso alle attrazioni si snodano attraverso configurazioni imprevedibili e mascherate da passaggi che confondono l’orientamento e il senso del tempo

    Dal momento che questo viaggio virtuale rimette in discussione la nozione tradizionale di autenticità, si può dire che Disneyland ridefinisca il concetto di aura dell’opera d’arte tradizionale: all’esperienza dell’hic et nunc subentra quella della simulazione spettacolare. A Disneyland, ogni luogo allude sempre a qualche altro luogo, è sempre concepito come se fosse un altro luogo14Ivi, p. 216.. La possibilità di questa sostituzione viene decisamente favorita dall’assenza dell’esperienza reale, ovvero da una conoscenza solo indiretta, vaga e approssimativa dei luoghi fisici o del patrimonio storico-culturale. La cultura di massa è fatta di rappresentazioni storiche, geografiche e artistiche molto ridotte e semplificate, ma questo scenario culturale è essenziale per l’affermazione dei parchi a tema Disney tra le maggiori destinazioni turistiche al mondo.

    Il parco Disney nasce a Los Angeles e trae dalla città del cinema alcune caratteristiche peculiari. Le diverse lands del parco di Anaheim riflettono altrettanti emblemi culturali della città californiana: la simulazione cinematografica tocca i territori dell’immaginazione fantastica, della corsa verso il West, della fantascienza, e plasma tanto l’estetica urbanistica della città reale quanto l’architettura della città-divertimento. La categoria estetica predominante a Los Angeles come a Disneyland è quella della giustapposizione: una sovrapposizione cinematografica di immagini diverse che si susseguono come in una pellicola. Questo tipo di estetica presuppone la simulazione di un movimento continuo15Disneyland offers a space in which narrative depends on motion, and in which one is placed in a position of spectatorship of one’s own spectatorship, ivi p. 218..

    Ma Disneyland è anche una Los Angeles migliorata: è infatti meglio organizzata, più pulita e senza problemi di ordine pubblico. È una città utopica perché promette la liberazione dall’alienazione della metropoli industriale: sempre perfetta e come appena costruita, e dove i lavoratori davvero si godono il tempo dedicato alla produzione del divertimento e della felicità dei turisti.

    Si lavora in maniera più efficiente perché all’apparenza non si lavora proprio, piuttosto si recita con entusiasmo un copione come in uno spettacolo permanente (gli impiegati figurano come cast members), mentre il lavoro duro si svolge nei sotterranei, dove sono relegate tutte quelle attività che non devono apparire sul palcoscenico. A questa suddivisione in due livelli (che ricorda tanto Metropolis di Fritz Lang quanto alcuni disegni di Leonardo sulla città ideale) bisogna aggiungere un impeccabile sistema di dispositivi di controllo, che agiscono sia sugli impiegati che sui visitatori.

    Per questi motivi, i luoghi disneyani rappresentano una vera e propria utopia tecnocratica postindustriale, dove il movimento, l’immaginazione, il lavoro e il divertimento sono posti sotto lo stretto controllo della tecnica e della gestione manageriale.

    Seguendo il punto di vista di Sorkin, è Disneyland che produce la Disneyfication. Per quanto la città del castello incantato sia il prodotto di un determinato contesto di cultura di massa e di circolazione di immagini, e abbia dei precedenti significativi (soprattutto nelle esposizioni universali, ma anche nelle Garden Cities e in alcune tendenze del modernismo architettonico americano), è proprio la diffusione del suo modello, delle sue repliche e delle sue imitazioni che esemplifica al meglio una dimensione di trasformazione urbanistica che investe tanto il Nord America quanto il resto del mondo. Ad esempio, il modello di “Main Street Usa” è replicato centinaia di volte nei nuovi aeroporti delle grandi capitali del mondo, dove il tema del movimento si incontra con il tema del consumo, e dove il sistema di controllo e di sorveglianza è pervasivo, come in un moderno Panopticon16The global corridor is the modern Panopticon, seething with surveillance. The genius of this system is, however, not just the drill but the invitation, the willingness of its subjects to participate, ivi p. 222..

    Le strade di Disneyland non differiscono molto dai corridoi degli aeroporti: si tratta di ambienti completamente artificiali, destinati essenzialmente alla mobilità e al consumo, pulitissimi e attraenti, altamente controllati da sistemi di sorveglianza capillari. Il modello disneyano ha influenzato del resto spazi urbani sempre più ampi e diversificati: i luoghi storici, i centri commerciali, i ristoranti, gli hotel, le strade.

    I luoghi disneyani rappresentano una vera e propria utopia tecnocratica postindustriale

    La Disneyfication viene definita come la sospensione del visitatore in un apparato di simulazioni realizzato in serie17Ivi, p. 228.. Uno dei suoi principali effetti è la sostituzione del gioco con il lavoro, la produzione del tempo libero secondo le routine dell’industria. Quest’ultima considerazione di Sorkin trova la sua radice teorica in alcune riflessioni di Horkheimer e Adorno sull’industria culturale, in particolare sulla capacità dell’intrattenimento organizzato di meccanizzare anche l’esperienza ludica, secondo i canoni del lavoro industriale. Gli autori della Dialettica dell’Illuminismo scrivono che, in questo senso, “l’amusement è il prolungamento del lavoro nell’epoca del tardo capitalismo”18M. Horkheimer, T.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, trad. R. Solmi, Einaudi, Torino 2010, p. 175..

    Il modo in cui sta cambiando il turismo non fa che confermare una particolare tendenza a trasformare anche il lavoro in attrazione per il tempo libero. Il turista dei nostri tempi vuole conoscere le tradizioni della cultura materiale, osservare la vita delle comunità locali, vivere pienamente l’ambiente storico, ma poiché non è possibile viaggiare con la macchina del tempo, è opportuno che la città offra spazi disneyficati, dove riproduzione simulata (di ambienti, di lavori artigianali, di tradizioni materiali), pulizia e sicurezza garantiscano godimento estetico, divertimento, buone opportunità di consumo. Il turista di massa detiene un campionario di rappresentazioni storiche, geografiche e artistiche molto limitato e banalizzato. La riproduzione simulata del lavoro non deve accontentare uno spirito filologico, particolarmente abituato alla lettura, deve soltanto divertire uno spettatore distratto.

    L’urbanesimo disneyficato rappresenta l’utopia del movimento continuo, dello spazio che bisogna soltanto attraversare, di una cittadinanza omogeneizzata, sottodimensionata, dove il cittadino è l’individuo-consumatore. In questa città irreale, tutti diventano involontari flaneurs e flaneuses. È l’utopia dei fumetti, l’urbanesimo dell’età elettronica:

    The only way to consume this narrative is to keep moving, keep changing channels, keep walking….The only logic is the faint buzz of memories of something more or less similar…but so long ago, perhaps even yesterday19Ivi, p. 232..

    Note