Playable City. La città si mette in gioco

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    In un’epoca di profondi cambiamenti sociali, economici e tecnologici anche lo spazio urbano nel quale viviamo, la città, è destinato a mutare per rispondere a nuove e crescenti sfide legate al sovraccarico delle reti viarie, all’approvvigionamento idrico ed energetico ed alla co-esistenza in spazi sempre più ristretti di un numero crescente di individui. Stime Fao ci dicono che entro il 2050, l’80% della popolazione mondiale vivrà all’interno di spazi urbani, rendendo inderogabile un ripensamento delle relazioni tra infrastrutture materiali delle città ed il capitale umano, culturale, intellettuale e sociale di chi le abita.

    Nell’ultima decade urbanisti, amministratori urbani ed aziende ICT (Information and Communication Technology) in primis hanno intrapreso un fervente dibattito sull’immaginare e progettare le città del futuro. Una Smart City, città intelligente, in cui tecnologia, innovazione, ottimizzazione ed efficienza sembrano essere i capisaldi di un nuovo modo di sviluppare le politiche di pianificazione urbana.

    Una idea ben presto divenuta di moda, Google Trends mostra l’accelerazione di interesse che il tema ha conosciuto dagli inizi del 2015 confermata dai quasi 4 miliardi di investimento dei comuni italiani per dotarsi di una qualche progettualità smart: cassonetti e lampioni dotati di sensori, bike e car sharing, sistemi di video-sorveglianza integrata, arredo urbano dotato di chip.

    Personalmente intravedo un rischio nel percorso verso questa idea di città del futuro. La tecnologia ed in generale un approccio tecno-centrico, rischia di aggiungere complessità, freddezza e asocialità se non accompagnata da partecipazione attiva della cittadinanza. Nessun software o hardware apporta miglioramenti senza un adeguato tessuto umano in grado di gestire, pianificare ed utilizzare i nuovi strumenti.

    È per questo che preferisco di gran lunga l’idea di una Playable City, un luogo in cui i cittadini siano il fattore abilitante della rivoluzione. L’amministrazione si apre ai residenti e visitatori per riconfigurare e riscrivere servizi, posti e il racconto collettivo.

    Cittadini motivati e tenuti insieme dall’idea che la tecnologia possa essere umana, portatrice di benefici concreti, gioiosa e accompagnata da una sana componente di divertimento. Il gioco come momento di riflessione sul nostro essere umani quasi ad interrompere quel flusso di efficienza utilitaristica che permea molto del nostro essere cittadini.

    Proprio il gioco, quando ben calato nel design delle infrastrutture ed esperienze  quotidiane, supera il tradizionale stereotipo di frivolezza e passatempo divenendo strumento per favorire cambi comportamentali positivi nell’individuo e nelle relazioni che esso intrattiene con persone ed ambienti prossimi. E’ sicuramente la lezione più importante che ho appreso lavorando negli ultimi 15 anni nell’industria dei video-giochi, un medium creativo e culturale che ad oggi coinvolge circa 30 milioni di persone in Italia e muove un fatturato vicino ai 100 miliardi di dollari nel mondo. Ma ancor prima che una industria, i video-giochi sono strumenti pensati per generare coinvolgimento, stati d’animo e favorire l’apprendimento. Soffermiamoci a guardare le espressioni facciali di chi gioca, basterà poco per rendersi conto di quante emozioni provino durante l’esperienza: rabbia, felicità, passione, sorpresa, altruismo, auto-espressione, senso epico. E perché non provare a migliorare molte delle nostre esperienze quotidiane anche attingendo all’immenso set di pratiche e teorie che i game designer hanno sperimentato con successo nelle ultime decadi?

    Molti dei temi oggi caldi nel dibattito urbano, dalla progettazione dal basso alla partecipazione attiva passando per l’audience engagement e utilizzo delle nuove tecnologie sono rintracciabili sin dal 1989 in produzioni “ludiche” come SimCity. Il gioco manageriale e gestionale di città, ideato da Will Wright e pubblicato da Electronic Arts, ha portato milioni di persone nel mondo a contribuire volontariamente, e a proprie spese, alla risoluzione di problemi complessi di pianificazione urbana. Miliardi di decisioni prese da persone “comuni” che han avuto come scopo realizzare una città ideale e del futuro il cui obiettivo primario fosse la felicità dei Sim-cittadini. Molte delle soluzioni proposte sono state realmente utilizzate da urbanisti che continuano ad utilizzare SimCity come software lavorativo.

    Nel XXI secolo aziende come Wolkswagen hanno contribuito a innovare il paradigma di progettazione con iniziative pioneristiche come The Fun Theory. Una contest in cui si invitavano persone da tutto il mondo a realizzazione idee in cui la componente “fun” fosse propulsore di cambiamento. Tra i progetti piu famosi ricordiamo il vincitore Speed camera lottery (un autovelox che premia gli automobilisti che viaggiano entro i limiti con un biglietto della lotteria invertendo il paradigma motivazionale dalla punizione al premio) e Bottle Bank Arcade Machine (un bidone che stimola la raccolta differenziata del vetro attraverso l’utilizzo di punti, feedback luminosi e un meccanismo stile gioco della talpa). Entrambi i progetti, sono a costo economico sostanzialmente zero, e fanno leva su un modello di gioco che permette di rafforzare la propria conoscenza della città, mettendo in rilievo quelli che generalmente sono considerati semplici elementi di sfondo (oggetti d’arredo, viabilità, edifici, ecc.) attraverso nuovi paradigmi di interazione.

    A Bristol, Inghilterra, da ormai quattro anni viene assegnato il Playable City award volto a premiare i migliori progetti internazionali di innovazione attraverso la componente di gioco.

    HelloLamp, vincitore dell’edizione 2013 permette l’interazione tra cittadini ed arredo urbano; dai semafori ai cassonetti dell’immondizia passando per le panchine, il codice univoco assegnato dall’amministrazione diventa lo strumento per dialogare via sms. Inviando il testo ≪Hello + il nome dell’oggetto + il suo codice identificativo>>, l’oggetto risponde salutando e ponendo domande o richieste attraverso un algoritmo che auto apprende nel tempo. Oggetti, apparentemente inanimati, iniziano a vivere divenendo custodi di storie, racconti ed emozioni degli individui coi quali si sviluppa una naturale empatia che sta portando, nelle città mondiali in cui il progetto è stato lanciato, ad una diminuzione del tasso di vandalismo verso oggetti che, ora, hanno un nome ed un anima.

    Sogno una città in cui il sorriso e il divertimento diventino connettori sociali. Una città in cui giocare significhi esplorare, imparare e sviluppare senso civico. Una città che susciti costantemente azioni e reazioni. Voglio ascoltare i miei nipoti raccontare le loro gesta urbane con gli stessi pronomi utilizzati dai video-giocatori: “io ho esplorato”, “io ho preso parte ad una missione”, “ho collaborato per superare un ostacolo “. Quando le storie passeranno dalla terza alla prima persona, la sfida potremo considerarla vinta!


    In copertina: ph. Scott Webb da Unsplash

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