Tra Zenit e Nadir: rotte educative in mare aperto

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    Giustizia Riparativa: un termine sconosciuto a molte persone, un tema fuori da qualsivoglia dibattito politico-sociale. Eppure all’interno della riforma penale – la cosiddetta Riforma Cartabia – sono presenti ben 25 articoli che disciplinano organicamente la Giustizia Riparativa in Italia. L’applicazione della Giustizia Riparativa nei diversi sistemi di giustizia è presente in tutti i paesi occidentali da molti anni. L’Unione Europea ne indica la strada e i contenuti dal 1998.

    La Giustizia Riparativa è un modello di giustizia capace di ridare centralità alla dimensione relazionale del reato e di promuovere soluzioni che tengano conto dei bisogni delle vittime e sappiano garantire, attraverso un coinvolgimento significativo della comunità, il risanamento dei legami sociali. È un approccio in grado di ricomporre la lacerazione e le ferite subite dalle vittime, attraverso un loro attivo coinvolgimento nella ricerca di soluzioni che la pena, a volte, non può soddisfare. È una giustizia “dal volto umano”, che attraverso il momento del conflitto cerca di riportare ordine, armonia in un contesto personale, relazionale, comunitario solcato dal vulnus rappresentato dal reato.

    In questo ultimo periodo si stanno definendo i decreti ministeriali attuativi per realizzare i Centri per la Giustizia Riparativa, che dovranno essere realizzati almeno in ogni Corte d’Appello in Italia, grazie al lavoro della Conferenza Nazionale per la Giustizia Riparativa, istituita presso il Ministero della Giustizia. Riteniamo che sia fondamentale sperimentare e diffondere un modello innovativo di giustizia che si richiami al paradigma culturale della Giustizia Riparativa, capace dunque di abilitare competenze di relazione col territorio, ponendo l’attenzione sulla costruzione di una relazione positiva tra minori devianti o a rischio di devianza, con la vittima di reato e con la società di appartenenza. Il coinvolgimento diretto e partecipativo dei Servizi sociali del Ministero della Giustizia, dei Servizi sociali territoriali, delle Istituzioni scolastiche e degli enti del Terzo settore è il presupposto necessario per delineare percorsi di applicazione della stessa riforma penale a livello locale.

    La sfida che abbiamo davanti sta nel ricreare o, meglio, nel ridefinire una comunità educante in grado di promuovere servizi, percorsi, approcci che sappiano raggiungere l’obiettivo di limitare l’incidenza dei fattori di rischio ambientali, familiari e personali. Un’ulteriore sfida riguarda l’individuazione di modalità operative in grado di potenziare il ruolo dei fattori di protezione quali le competenze emotive, l’aumento dei livelli di autostima attraverso esperienze positive di socializzazione e l’autoefficacia percepita. L’approccio multi- professionale e integrato dei professionisti supportato da un approccio culturale riparativo e non semplicemente retributivo di una comunità è una ulteriore sfida da tenere in considerazione.

    Oggi, a nostro avviso, è importante superare le logiche della cura “istituzionale”.

    Dobbiamo immaginare invece un modello educativo-riparativo che, forte di saperi specialistici, si metta al servizio del territorio, coinvolga gli attori della comunità, esplorando le nuove frontiere delle politiche sociali collaborative. Riparazione, riconciliazione, rigenerazione sono parole chiave per una seria applicazione del paradigma riparativo in un contesto sociale.

    Seguendo questo approccio metodologico-riflessivo si è pensato al progetto Tra Zenit e Nadir: rotte educative in mare aperto, promosso da due partner nazionali – la Fondazione don Calabria per il Sociale e il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) – e da una sessantina di partner locali, con il finanziamento di Impresa Con i Bambini. Un’iniziativa che si basa sul paradigma della Giustizia Riparativa, in grado di mettere al centro la cultura come luogo della crescita, della creatività, del fare, ingaggiando i ragazzi coinvolti – inseriti nel circuito del penale minorile o autori di atti devianti – rispetto ad un mondo lavorativo vario e originale, facendoli lavorare su espressività, desiderio, motivazione, e dove l’attività culturale diventa strumento di inclusione sociale e rigenerazione del territorio. Tra Zenit e Nadir si propone, quindi, di promuovere un impatto a livello sociale e culturale sulle comunità territoriali coinvolte, ricucendo legami che possono favorire la formazione di competenze relazionali oltre che di competenze professionali, innescando percorsi riparativi e rigenerativi. Ciò favorisce la costruzione e definizione di percorsi “sartoriali” in grado di sviluppare in modo duraturo le passioni e le competenze dei ragazzi.

    I giovani coinvolti nel progetto hanno realizzato percorsi laboratoriali – sia singolarmente sia in gruppo – di riflessione sul reato e le conseguenze che esso ha provocato nel contesto familiare, nel contesto sociale e nei confronti della vittima per aiutare il giovane nel percorso di responsabilizzazione. I laboratori hanno utilizzato le arti visive ed espressive (teatro, fotografia, pittura, ecc.) per facilitare i giovani in questo percorso. In alcune situazioni, a conclusione dei percorsi laboratoriali, i giovani hanno partecipato ad incontri di conferencing (strumento della Giustizia Riparativa) nei quali hanno incontrato rappresentanti della comunità locale per discutere il reato e le sue conseguenze. Nella conferencing si cerca di identificare una conclusione giusta e accettabile a tutti, con un accordo che preveda una serie di attività per l’autore del reato, al fine di riparare il danno causato alla vittima, alla comunità e alla società in generale. In tutti i territori, nel coinvolgimento della comunità locale come co-responsabile per promuovere una cultura Riparativa, si sono realizzati dei tavoli interistituzionali definiti “tavoli per la Giustizia Riparativa” con lo scopo di realizzare eventi e iniziative per promuovere questo approccio a livello locale.

     

    Immagine di copertina di Vadim Butenkov su Unsplash

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