Il dibattito sulla sostenibilità ha un problema: non parla di uguaglianza

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    Stiamo lavorando a un nuovo progetto sul significato delle parole che usiamo per parlare, scrivere, discutere: 40 Mondi, il vocabolario di Biennale Democrazia — è una partnership tra cheFare, il Polo del ‘900 di Torino e la manifestazione culturale torinese Biennale Democrazia per scoprire insieme, attraverso una scrittura collaborativa, le tematiche più importanti da esplorare nella prossima stagione della manifestazione. Il Primo Mondo è quello dell’Antropocene, partecipa anche tu alla nostra inchiesta.

    È venerdì ed ormai non c’è più tempo, devo proprio scrivere ciò che penso della sostenibilità. Soprattutto vorrei esprimere qualche dubbio sul fatto che la sostenibilità possa essere considerata un valore del tutto ed assolutamente positivo.

    Comincio da lontano ma sarò breve. Era il 1789 e la Rivoluzione Francese definiva il motto libertè, egalitè, fraternitè, portandolo a fondamento di un nuovo ordine statale.

    In realtà il motto aveva la pretesa di avere un valore universale, di travalicare i confini della repubblica francese. Per alcuni versi ci provarono a metà del ‘800 quando la Francia esportò l’illuminismo più o meno come gli statunitensi esportano la democrazia.

    Il valore di uguaglianza diventava per la prima volta un valore universale. Il motto fu coniato da Jean Paul Marat già nel 1774 ed è alla base del movimento egualitario. Da molti punti di vista si tratta di un’utopia quella che tutti gli esseri umani debbano possedere uguali diritti ed uguale possibilità di accesso alla ricchezza, alle risorse eccetera. Tuttavia, come molte utopie, è una tendenza della quale è opportuno tener conto.

    Per intenderci l’idea che possa esistere un’eguaglianza inter-nazionale delle persone appartiene alla seconda metà del ‘700 ed è un portato dell’Illuminismo. Questa idea si ritrova alla base di molte altre idee, che hanno governato l’agire dell’uomo nell’800 e nel ‘900. In linea di principio sembra inoppugnabile che tutti gli esseri umani possano avere uguali opportunità nella loro vita a prescindere da dove nascono. Tuttavia quest’utopia comincia ad andare in crisi dopo circa 200 anni dalla sua nascita.

    Siamo all’inizio degli anni ’70 e ci si trova di fronte a un punto di svolta nella storia: l’umanità prende coscienza di vivere su un pianeta finito.

    Questa piccola storia comincia con la fine di un decennio: quello degli anni ’60, che fu una continua rivoluzione culturale, politica e tecnologica. Per rendersene conto basta ascoltare una canzone prima in classifica nel 1959, ad esempio Passion Flower dei Fraternity Brothers e poi una del ’69, ad esempio Come Together: cambia tutto. Questo decennio si chiude con un fatto epocale e non mi riferisco allo scioglimento dei Beatles ma alla conquista della luna.

    Fu una sfida, che coinvolse il blocco Comunista sovietico contro quello Capitalista statunitense. Vinse quest’ultimo ma, soprattutto, questa sfida tra cosmonauti ed astronauti ridefinì l’immaginario dei terrestri. Già, perché per la prima volta e per tutto un decennio si ammirò su larga scala il nostro pianeta visto dall’esterno. La terra era ritratta come un’unica grande palla azzurra, senza confini e sovrastrutture. Nel 1968 nacque il club di Roma ed in qualche modo cominciò a definirsi il pensiero ecologista. Nei primi anni ’70 questa organizzazione non governativa commissionò al MIT di Boston un rapporto sui limiti dello sviluppo, che fu pubblicato nel 1972. Questo scritto fu importante, perché definì scientificamente ciò che in realtà appare come una banalità. La terra è un solo pianeta, ha dimensioni finite e quindi ha dei limiti al consumo delle sue risorse.

    Questo rapporto sembrò profetico quando avvenne la crisi petrolifera del ’73 ma il superamento della crisi – dovuta peraltro più a motivi economici che di sistema – affossò il rapporto sui limiti dello sviluppo e, in qualche modo, mise in stand by il movimento ecologista.

    Il concetto di sostenibilità ampliò il concetto di eguaglianza, definendolo come un diritto inter-generazionale ancor più che inter-nazionale

    Tuttavia nella seconda metà degli anni ’80 fu scritto un altro rapporto, che definì il concetto di sviluppo sostenibile. A capo della commissione che redasse il rapporto c’era una donna: Gro Harlem Brundtland; così come fu una donna a capitanare il team dei limiti dello sviluppo: Donella Meadows. Al di là delle considerazioni di genere sulla capacità di prendersi cura del Pianeta, il concetto di sostenibilità ampliò il concetto di eguaglianza, definendolo come un diritto inter-generazionale ancor più che inter-nazionale.

    «Lo sviluppo sostenibile, lungi dall’essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali».

    Sostanzialmente con questo principio si vuole assicurare lo stesso accesso alle risorse per le generazioni future.

    Si tratta di una modifica importante rispetto al semplice principio di eguaglianza perché, a ben vedere, dalla metà del ‘700 ad oggi le differenze tra le persone che abitano i diversi paesi del mondo sono cresciute più che diminuire. Questo principio è molto importante per definire il quadro entro cui ci troviamo e ci sono alcuni aspetti che possono definire quanto sia importante.

    L’Italia e il suo boom economico sono uno degli esempi più importanti, che svelano come i diritti di accesso alle risorse intergenerazionali siano stati minati proprio negli anni ’60 e ’70.

    Il boom economico italiano è considerato un vero e proprio miracolo e si deve a una serie infinita di fattori. Tuttavia le fondamenta di questo miracolo economico sono assolutamente insostenibili. Hanno consumato un bene non rinnovabile, forse il meno rinnovabile: il territorio e lo spazio. Un film di Rosi del 1963, “Le Mani sulla Città”, definisce bene nelle sue battute iniziali quale fu il carburante del boom economico. L’oro, o se preferite il petrolio che ha usato l’Italia per tirarsi fuori dalla tragedia della Seconda guerra mondiale fu la speculazione immobiliare. Una vera e propria magia: la dichiarazione di edificabilità di un terreno sanciva un aumento del suo valore di almeno il 500%. Lo sfruttamento di questa risorsa ha consentito il benessere di diverse generazioni di Italiani fino agli anni ’80; ma il territorio è un bene finito così come lo spazio. Molte distopie urbane contemporanee, dal litorale di Castel Volturno a quello laziale, mostrano bene questo concetto.

    Il consumo della risorsa territorio ha privato le generazioni future del suo sfruttamento. Il territorio è finito, non ci può essere un nuovo boom economico in Italia perché il “bonus” del territorio ce lo siamo giocati. Per fare un esempio è come se l’Arabia Saudita avesse esaurito le sue scorte di petrolio. Insomma la generazione attuale non ha più accesso al modello di sviluppo del boom economico. In qualche modo il principio di sostenibilità si vede fisicamente nella difficoltà economica dell’Italia attuale.

    Con ciò, sia chiaro, non mi lamento del fatto di non poter essere complice della fagocitazione del territorio italiano. Dico semplicemente che se anche si volesse fare non si potrebbe.

    L’eguaglianza inter-generazionale non può prescindere dal concetto di uguaglianza internazionale

    Attenzione, fin qui ho parlato di eguaglianza intergenerazionale ma in un contesto chiuso. Per dirla in un altro modo ho detto che gli Italiani contemporanei non hanno lo stesso accesso alle risorse che hanno avuto i loro predecessori sempre Italiani.

    Tuttavia il concetto di sviluppo sostenibile contiene al suo interno anche un’altra cosa che occorre sviscerare per evitare interpretazioni semplicistiche. L’eguaglianza inter-generazionale non può prescindere dal concetto di uguaglianza internazionale.

    Se si vuole assicurare lo stesso accesso alle risorse future alle generazioni future, delle generazioni di quale paese si sta parlando?

    La generazione di giovani eritrei deve avere la stessa possibilità di accesso alle risorse della futura generazione di giovani svedesi?

    Se si parla delle generazioni della ricca ed opulenta Europa o degli ancor più ricchi ed opulenti Stati Uniti, riferendoli ai loro contesti geografici, si perpetua una grave ingiustizia in nome di una giustizia transgenerazionale. Per dirla in un altro modo, ragionando in maniera geografica ed al livello degli Stati o dei blocchi continentali, si definisce che anche al livello intergenerazionale debba esistere una parte ricca ed una povera del pianeta.

    Questo aspetto della sostenibilità è insostenibile. Gran parte del mondo in via di sviluppo, dalle campagne Cinesi alle regioni interne dell’Africa, non usa la carta igienica. Non si pensi che l’uso della carta igienica non abbia un impatto sul pianeta. Secondo il principio di sostenibilità questi paesi dovrebbero continuare a non usarla e sarebbe un problema se la usassero.

    Il principio di sostenibilità, applicato in un pianeta in cui c’è un accesso ineguale alle risorse, definisce che le regioni sottosviluppate rimangano tali o seguano vie di sviluppo differenti

    Ebbene il principio di sostenibilità, se applicato in un pianeta in cui c’è un accesso ineguale alle risorse, definisce che le regioni sottosviluppate rimangano tali o, nel migliore dei casi, seguano vie di sviluppo differenti e probabilmente meno performanti di quelle che abbiamo perseguito noi.

    La Sostenibilità avrebbe negato all’Italia lo sviluppo che è derivato dal boom degli anni ’60 e ’70. Da urbanista dico che sarebbe stato un bene ma sono certo che molti lo negherebbero. Per molti versi la Sostenibilità è un precetto definito dai paesi ricchi per imporre un ulteriore sottosviluppo ai paesi poveri. In realtà proprio la vecchia ed opulenta Europa ha introdotto il concetto di decrescita più o meno felice grazie a Latouche, maledetti francesi sarà il germe rivoluzionario di Marat che ritorna! Per avere un minimo di giustizia internazionale, oltre che intergenerazionale, non ci si deve solo fermare ma anche decrescere. Avvicinare le nostre abitudini a quelle dei paesi in via di sviluppo che regalano respiro a questo pianeta.

    Non si può promuovere il principio di uguaglianza inter-generazionale senza perseguire quello di uguaglianza inter-nazionale. Per questo i fenomeni di rinnovata attenzione per il pianeta a cui assistiamo hanno la bellezza dell’ingenuità, mentre i tentativi di appropriarsene con leggerezza da parte di chi dovrebbe avere la maturità di guardare un problema complesso possono apparire assai ipocriti, perché al ragionamento sulla sostenibilità manca sempre un ragionamento sulla giustizia inter-nazionale.

    Note