Pubblichiamo un estratto dal libro Brevettare la salute? Una medicina senza mercato di Silvio Garattini (Il Mulino, 2022) fondatore e presidente dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche – IRCCS Mario Negri di Milano. Nel libro l’autore dialoga con la giornalista pubblicista e divulgatrice scientifica Caterina Visco di proprietà intellettuale nella salute e accesso universale alle cure a partire dall’epidemia di Covid-19 e dalla discussione che si è sviluppata attorno alle licenze sui vaccini, ricordando che il diritto alla salute è un diritto fondamentale e tutto quello che lo limita, trasformando la salute in un mercato, è un problema.
La salute, dunque, è (o dovrebbe essere) un diritto, eppure oggi è anche un mercato con tanto di brevetti e proprietà intellettuale. Ma possiamo certamente dire che “brevettare la salute” è diverso dal brevettare una lavatrice.
È molto diverso. Perché la salute è un bene fondamentale, non rinunciabile: viaggiare è un bene, ma non è essenziale per vivere, avere un vestito di un certo tipo è un bene, ma non è irrinunciabile… Sono poche le cose la cui brevettabilità cambia l’accesso a un bene fondamentale per l’uomo. I beni fondamentali cosa sono? La libertà, per esempio, che non è brevettabile, il diritto al lavoro, ma anche quello non è brevettabile, la salute. Tuttavia, oggi questa è divenuta un mercato.
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Dunque, se la salute è un bene fondamentale, tutto quello che limita la salute perché è protetto e quindi disponibile solo a un determinato prezzo e in una determinata quantità, non dovrebbe essere compatibile con questa definizione di diritto e bene fondamentale. Se un dispositivo di protezione della proprietà intellettuale limita l’accesso a un farmaco salvavita, a un vaccino che può contrastare la diffusione di un virus che ha causato e sta causando milioni di morti, forse non stiamo garantendo il diritto alla salute come bene fondamentale.
Il mercato non è compatibile con la salute perché ha regole che sono l’opposto di ciò che vogliamo ottenere e cioè eliminare il più possibile le malattie, fosse anche solo mettendo in atto le regole della prevenzione attraverso i «buoni» stili di vita. Il trend è quello invece di medicalizzare la società per aumentare il numero di prodotti, moltiplicare le vendite per tendere ad altri profitti. C’è quindi un conflitto di interessi fra prevenzione delle malattie e mercato della salute. Certo diminuire il mercato della salute, vuol dire diminuire l’occupazione e rendere inutile molte delle attività indotte. Tuttavia il mercato non deve occuparsi solo della salute, può prendere altre direzioni, come ad esempio sviluppare il mercato dell’istruzione, della cultura, del turismo e così via.
Una situazione ideale, un sogno a cui tendere per il futuro, potrebbe essere quello di un mondo in cui farmaci, processi e dispositivi non siano brevettabili. Tuttavia un conto è l’ideale, un conto è il mondo in cui viviamo in questo momento e non possiamo ignorare il mercato che oggi esiste, con tutto quello che esso comporta. Dunque nessuno sogna, nemmeno io, di eliminare brevetti e proprietà intellettuale da un giorno all’altro, con un colpo di spugna. Forse però può essere messo in atto un percorso di riforme mirate a trasformare questo sistema in uno che protegga gli interessi dei cittadini, degli ammalati, dei sistemi sanitari.
Tuttavia, molti ritengono che i brevetti siano una condizione necessaria per incentivare le aziende a innovare. «Senza brevetti non c’è innovazione», è uno slogan che ormai sappiamo tutti a memoria.
(…) non è affatto vero che l’equazione «brevetti = innovazione» sia sempre soddisfatta. Anzi. Ci sono diversi dati che mostrano come la maggior parte dei farmaci brevettati e approvati non siano veramente innovativi, non abbiano quello che io definisco un «valore terapeutico aggiunto»: alcuni non hanno alcun valore terapeutico, altri sono semplicemente «non peggiori» di quelli già disponibili. (…) Una dettagliata analisi condotta da Giovanni Dosi e alcuni suoi collaboratori riguardante i rapporti fra brevetti e farmaci approvati dalla FDA e riportati nell’Orange Book (chiamata ufficialmente Approved Drug Products With Therapeutic Equivalence Evaluations, la pubblicazione federale in cui sono elencati «i farmaci sostituibili e intercambiabili tra loro») permette di stabilire che non esistono rapporti diretti fra brevetti e innovazione sulla base di tre risultati. Questi sono innanzitutto la qualità dei brevetti farmaceutici che risulta di basso livello innovativo e diminuisce nel tempo; la quantità dei brevetti, anche questi diminuiscono con il tempo e riguardano solo pochi prodotti farmaceutici; infine, il numero di brevetti di nuovi classi di farmaci: si è osservato che le nuove classi di farmaci sono relativamente poche mentre aumentano i brevetti per le classi già esistenti. In generale l’analisi conclude che la proprietà intellettuale che si traduce nei brevetti non rappresenta un incentivo all’innovazione, ma una barriera legale per proteggere dei monopoli che si riflettono sulla salute. L’aumento dei brevetti farmaceutici non corrisponde perciò all’innovazione.
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C’è un passaggio che forse vale la pena chiarire, un’altra equivalenza: brevetto = monopolio. Come si sviluppa questa equazione?
Questa è un’equivalenza che si verifica molto più spesso e con molta più automaticità rispetto a quella tra brevetti e innovazione. Chi ha un brevetto è per 20 anni – salvo licenze volontarie – l’unico che può commercializzare un farmaco. Poi ovviamente quando si individua una molecola efficace che potrebbe avere effetti simili anche in altre patologie, chi la scopre ne brevetta tutte le forme utili, per evitare che qualcun altro la modifichi leggermente e la brevetti a sua volta. Se questa azienda è l’unica che può commercializzare questa molecola e tutte le sue sorelle per una determinata indicazione vuol dire che non ha concorrenza: può decidere prezzo e disponibilità. Quindi ha un monopolio, fino a quando non vengono approvati altri farmaci diversi come composizione molecolare ma con le stesse caratteristiche di azione. Se il profitto derivato da questo monopolio, sulla carta temporaneo, fosse ragionevole e se questa posizione dominante non implicasse il diritto di imporre un prezzo che impedisce a chi ne ha bisogno di ricevere cure, non molti avrebbero qualcosa da dire in proposito.
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E il problema principale, in tutto questo sistema, sono i brevetti?
Il problema è l’accesso ai farmaci, alle cure, alla salute. Il brevetto e in generale la fitta rete di dispositivi di protezione della proprietà intellettuale che oggi sono impiegati creano un monopolio e questo abbiamo visto influisce sulla disponibilità e sul prezzo di un farmaco, o di un prodotto sanitario, in un modo che rischia di togliere il diritto fondamentale alla salute. Se un farmaco ha un prezzo eccessivamente elevato, non tutti possono permetterselo, neanche dove ci sono i servizi pubblici che forniscono i farmaci gratuitamente per il paziente: anche questi possono non essere in grado di acquistarlo. Il problema dunque è quanto sia lecito un monopolio nel campo della salute e questo è molto importante perché in qualsiasi altro campo non è accettato che ci sia una posizione dominante.