Il segreto del trickster-Anonymous

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    L’anelito a diventare famosi pervade praticamente ogni ambito della vita odierna, sia in America che altrove – dai mass media, che non esitano a ingaggiare le star di Hollywood come conduttori per i loro notiziari, alle piattaforme di micromedia, che sfruttano ogni opportunità per il narcisismo e l’autogratificazione; dal mondo accademico, dove docenti superstar vengono pagati profumatamente, a quello sportivo, dove certi atleti ricevono stipendi osceni.

    Il comportamento teso alla fama continua rafforza quel che l’antropologo David Graeber, ampliando il lavoro fondamentale di C. B. Macpherson, identifica come «individualismo possessivo», per indicare «pensieri e sensazioni abitudinarie profondamente interiorizzate … laddove consideriamo tutto quel che ci circonda principalmente in quanto proprietà commerciale attuale o potenziale».

    In che modo 4chan (uno degli spazi online più sordidi) è riuscito a tenere in piedi un’etica collettiva e contraria alla ricerca della fama personale, senza che i suoi partecipanti ne avessero chiaramente l’intenzione? Quest’etica si è propagata organicamente perché è stata sempre applicata in modo genuino e non adulterato.

    Durante un intervento in una mia lezione universitaria, un ex troll di Anonymous passato all’attivismo ha spiegato come segue il ruolo cruciale svolto da 4chan nel cementare quel che definiva «l’ideale primario di Anonymous»:

    I post su 4chan non includono né nomi né altri segni d’identificazione. L’unico elemento in base a cui poter giudicare un post è il suo contenuto, nulla di più. Questa eliminazione del personaggio, e per estensione di qualsiasi cosa associata a esso, è l’ideale primario di Anonymous.

    Questo Anon, che si era collegato anonimamente via Skype per parlare con i miei dieci studenti attentissimi, analizzò i diversi aspetti di quest’ideale primario: l’autocancellazione dell’individuo.

    Quando nel 2008 Anonymous abbandonò 4chan per dedicarsi all’attivismo quell’ideale fallì, spesso in maniera spettacolare; una volta che i singoli potevano interagire usando degli alias oppure incontrandosi di persona, i comportamenti mirati alla reputazione presero il sopravvento. Tuttavia, il tabù contro la ricerca della fama era talmente prevalente e apprezzato su 4chan, da impedire in gran parte a questi conflitti interni per lo status, con poche eccezioni, di tramutarsi in attività pubbliche per diventare famosi.

    (Più avanti vedremo il fallimento più vistoso di questa pratica, emerso nella microecologia di gruppi hacker quali AntiSec e LulzSec, la cui capacità di conquistare reputazione e riconoscimenti divenne simile a quella delle rock star, suscitando così le comprensibili ire di alcuni Anon, pur conquistando l’ammirazione generale per le loro stravaganze politiche basate sul lulz).

    Una volta abbandonato 4chan per passare all’attivismo, l’ideale contrario alla fama individuale si fece «più sfumato … incarnato dall’assenza di leader e dalla democrazia diffusa», come spiegava ancora quell’Anon.

    Né sono mancati incidenti di percorso nel mettere in pratica questi principi, portando soprattutto alla concentrazione di un certo potere nelle mani di alcuni team ristretti.

    Ma nonostante qualche frammentazione in gruppetti e cricche, gli ideali di fondo rimasero ben saldi. Aderirvi significava che «chiunque aveva il diritto di assumere il nome di Anonymous», rimarcò ancora il nostro interlocutore.

    Fu esattamente la totale libertà di assumere e sperimentare quel nome che consentì al collettivo di imporsi come l’astuto essere multiforme che conosciamo.

    Tuttavia la realtà che si nasconde dietro quest’ideale – l’idea per cui Anonymous è proprietà di chiunque voglia farne uso, un’identità condivisa, per così dire – è ben più complicata.

    E fu su questo punto controverso che il nostro ospite concluse il suo intervento all’università. Credo che i miei studenti siano rimasti affascinati e scioccati dal fatto che il collettivo potesse contare su individui così arguti ed eloquenti.

    Da parte mia aggiunsi che Anonymous può essere compreso meglio in base al termine “superalterno”, in opposizione a “subalterno”, nell’accezione ironica usata dall’antropologa Chris Kelty: geek ben istruiti che sanno esprimersi bene e non esitano a replicare con piglio deciso e critico a chi si arroga il diritto di parlare a loro nome. […]

    È proprio da qui che emerge la complessità di Anonymous. Vista l’idea e il modello condivisi che ne animano lo spirito, i partecipanti cercano di presentare un fronte unito.

    Per i media nasce così la tentazione di abbracciare in pieno questo marchio generico, presentando Anonymous in base all’apparenza di quei valori e operazioni portate avanti. Ma è impossibile condensare in un quadro univoco l’intera composizione del collettivo, nei suoi diversi toni e sfumature, pur unificati sotto un nome unico.

    I suoi aderenti operano in reti e situazioni molto differenti, e ciascuno di loro finisce per trovarsi in disaccordo con gli altri in diverse occasioni.

    La natura stessa di questo collettivo di collettivi fa sì che l’accumulazione di un’eccessiva dose di potere e di prestigio – soprattutto in un punto specifico dello spazio (virtuale) – divenga non soltanto un tabù bensì anche un impedimento alla sua funzionalità operativa.

    4chan ha gettato le fondamenta per una robusta etica contraria alla celebrità, un sistema di valori opposto all’autoesaltazione e ai meccanismi dei mass media (uno dei cancri che sta uccidendo /b/, come piace dire ad Anonymous).

    Un’etica subito fatta propria anche dall’incarnazione attivista del collettivo. È in queste pratiche alternative di socialità – stravolgendo la distinzione ideologica tra individualismo e collettivismo – che possiamo riconoscere lo sviluppo del trolling come strumento di moralizzazione contro banche monolitiche e sordide aziende di sicurezza informatica.

    Le iniziative collaborative stanno conquistando spazio un po’ ovunque, come accaduto già dieci anni fa con il movimento globale anticorporation, fino ad Anonymous e alla recente esplosione di movimenti senza leader come Occupy.

    Un contesto spesso del tutto ignorato dalle grandi testate tradizionali, che non vogliono o non possono parlare di un contesto dove non si considera normale la trasformazione di un individuo in una persona famosa oppure in un leader, corredato di doti eroiche o di rovinose cadute morali.

    Naturalmente questa lacuna non riguarda unicamente il giornalismo e i giornalisti. Gran parte della filosofia (e, per necessaria estensione, della cultura) occidentale ha sempre posto il sé, l’individuo, al centro dell’indagine epistemologica.

    È difficile scrollarsi di dosso certe concezioni filosofiche che per millenni hanno caratterizzato quest’ambito – un pensiero intellettuale che riflette il senso comune culturale.

    È questo il motivo per cui Anonymous, sia nell’incarnazione dedita al trolling che all’attivismo, ha operato come un possente vettore di astuzia e derisione, con le sue macchinazioni incommensurabili per la tipica logica dei media tradizionali e la sensibilità dominante dell’individualismo.

    Una posizione che fa stralunare il mondo dell’informazione, come ho avuto di constatare direttamente, mettendo in atto qualche tiro burlone da trickster, in funzione di intermediaria tra Anonymous e i media.

    Ho aiutato spesso vari giornalisti ad attraversare il profondo divario che li separava, un passetto alla volta, mentre cercavano di individuare un leader, o quantomeno un personaggio, in grado di soddisfare le implicite richieste della loro professione.

    Forse è stata proprio questa resistenza alle convenzioni giornalistiche – il desiderio di scoprire, rivelare o finanche creare un leader famoso – a costringere i giornalisti a occuparsi di Anonymous.

    La caccia a un portavoce, un leader, un rappresentante, è stata tutta fatica sprecata – quantomeno finché non sono entrate in scena le autorità, iniziando ad arrestare gli hacker. Ma nella maggior parte dei casi, alle testate d’informazione sono stati offerti ben pochi personaggi intorno a cui creare campagne giornalistiche.

    Quel che prese avvio come un network di troll è diventato per lo più una forza globale a favore del bene. La nascita di Anonymous da uno dei luoghi più malfamati su internet, è una storia intrisa di meraviglia, speranza e gioiose illusioni.

    È possibile per questi ideali dell’identificazione collettiva, forgiati al fuoco infernale e terrificante del trolling, riuscire a trascendere una simile condizione originaria? Il pozzo nero di 4chan si è davvero cristallizzato in un ensemble attivista tra i più politicamente attivi, moralmente affascinati e sostanzialmente sovversivi oggi presenti? Ebbene sì.


    Pubblichiamo un estratto da I mille volti di Anonymous di Gabriella Coleman (Stampa Alternativa)

    Note