Estetiche dell’accesso: le sperimentazioni a Spazio Kor

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    Si è da poco conclusa la stagione interamente accessibile MUSIC NON STOP di Spazio Kor, a cura di Chiara Bersani e Giulia Traversi. Nel precedente articolo sull’Almanacco di cheFare avevo cercato di delineare l’innovatività del metodo in termini di accessibilità per comunità sorde, cieche e neurodivergenti che in questo teatro astigiano sta prendendo forma. Gli esperimenti e le soluzioni di volta in volta applicate agli spettacoli ospitati in stagione affondano i principi nell’esperienze situate di disabilità degli artisti e artiste dell’associazione Al.di.Qua Artists che operano in continuo dialogo e verifica con gli autori e le autrici delle opere e con le comunità di riferimento in una sorta di grande laboratorio di co-design. In questo articolo proveremo ad entrare nel vivo di questo metodo.

    Quante e quali soggettività mancano sedute accanto a noi in platea? Se non ne abbiamo memoria, probabilmente facciamo parte di un gruppo privilegiato, cioè gli spazi che attraversiamo sono stati creati a nostra somiglianza e ci risulta difficile immaginarne di altri. Anche quando presenti degli strumenti sull’accessibilità come audio-descrizioni o l’intepretariato in LIS, il più delle volte sono pensati a margine della scena per “non disturbare” la fruizione “principale”. Scrive la studiosa e attivista Brigitte Vassallo: Le cornici del discorso hanno a che fare con il concetto di egemonia come stato di domanizione di un gruppo sull’altro e con idee come “senso comune”, “logica”,  “normalità”, ciò che non è dissonante perché siamo abituate al fatto che sia così .

    Screenshot dal video di Andrea Fasano

     

    Il motivo per cui non ricordiamo di aver condiviso uno spettacolo con gruppi con specifiche esigenze sensoriali è che attualmente l’accessibilità è ancora pensata nelle cornici di un discorso egemone, quello abilista, che tende a privilegiare le necessità “della maggioranza”. Le attività di Spazio Kor al contrario, poggiano sulla continua messa in discussione dell’universalizzazione, favorendo la parcellizzazione dello sguardo e lasciando che i punti di vista incarnati di artisti e artiste con disabilità permeino le condizioni di legittimità delle forme e delle economie emotive che il potere ammette. 

    Per ogni spettacolo in stagione vengono selezionate insieme all’associazione Al.di.Qua Artists le soluzioni più adatte e i pubblici a cui è rivolto. Scardinare la logica universalizzante significa infatti comprendere che non tutti gli spettacoli possono essere accessibili contemporaneamente a tutti i gruppi, ma che l’accessibilità implica una scelta, che non significa dare ad un gruppo più valore di un altro, ma sapere quali linguaggi aderiscono più di altri a specifiche esigenze sensoriali. Questa scelta non sarebbe possibile senza l’esperienza diretta dei componenti di Al.di.Qua Artists e dei gruppi di riferimento con cui continuamente Spazio Kor si confronta. Proviamo a fare qualche esempio concreto. 

    Lo spettacolo La vaga grazia di Eva Geatti andato in scena nel novembre del 2022 si ispira a Il Monte Analogo di Renè Daumal, un romanzo che si interrompe mentre 8 alpinisti intravedono il primo campo base, sull’orlo dell’inizio di un percorso. L’unico romanzo al mondo (si dice) che si concluda con una virgola. Il tentativo de La Vaga Grazia è ricercare una risposta ad una domanda che non si riesce a formulare, ma che viene percepita come un posto necessario da incontrare. In scena 5 performer si muovono su un crinale, come gli alpinisti di Daumal. Tale incertezza e sospensione si traduce in una serie di pattern e linee geometriche disegnate a terra, con cui i performer interagiscono sulla base di regole precise che tuttavia non sono evidenti al pubblico. Data la complessità dell’impianto, l’assenza di parole e l’astrazione del linguaggio, Diana Anselmo referente di Al.di.Qua Artists per la comunità sorda, ha deciso di non richiedere l’interpretariato LIS in scena, ma solo in accoglienza e per l’incontro successivo allo spettacolo. Rispetto alla comunità cieca, i referenti Giuseppe Comuniello e Camilla Guarino hanno costruito l’audiodescrizione mediante il confronto costante con Eva Geatti, l’approfondimento dei riferimenti bibliografici (utilizzati poi per l’introduzione allo spettacolo) e gli aspetti salienti della performance secondo la sua autrice. I due artisti restano fedeli a un copione che è di solo movimento e in continua evoluzione, cercando di restituire in tempo reale la componente aleatoria e di improvvisazione che soggiace alla coreografia. Inoltre è stata realizzata una mappa tattile per evidenziare la posizione e la forma delle figure geometriche sul pavimento e allo stesso tempo calare le parole nella materialità dello spazio scenico, restituendo la strettissima relazione tra scrittura del romanzo e del movimento in scena. Per il pubblico con neurodivergenza il referente Elia Covolan ha pensato di assegnare dei colori ai diversi spazi in cui agiscono i performer, in modo da svelare le regole tacite che legano i pattern geometrici a quelli di movimento e stimolare la curiosità di persone neuro-atipiche. Per tale motivo, in collaborazione con l’artista, si è lavorato a una legenda di passi e regole da svelare attraverso un kit prodotto ad hoc e consegnato a chi ne facesse richiesta. 

    Screenshot dal video di Andrea Fasano

     

    L’aspetto trasformativo di questo metodo è che gli spettacoli circuitano successivamente insieme agli strumenti accessibili realizzati ad Asti, seminando germi immaginifici sul piano nazionale. Nel caso de La Vaga Grazia inoltre, le sperimentazioni travasano anche nel settore musicale. Dario Moroldo, compositore della musica dal vivo dello spettacolo, pubblica infatti un disco con le tracce sonore utilizzando come copertina la stessa mappa tattile realizzata a Spazio Kor. Dice Eva Geatti: 

    Spazio Kor mi ha letteralmente donato la partitura accessibile che adesso circuiterà insieme allo spettacolo. L’aspetto interessante di lavorare con Al.di.Qua è la cura dedicata al processo artistico. L’accessibilità non è un metodo di utilizzo, ma una pratica che va a integrare gli aspetti scenici. La decrostruzione dell’abilismo è un processo lungo. Il timore di sbagliare blocca tantissimo le possibilità espressive, lavorare con loro ti cala in una dimensione in cui un eventuale sbaglio è un esperimento, non un fallimento. Elia Covolan ha scritto una cosa illuminante nel libretto rivolto a persone neurodivergenti: se qualcosa in questo spettacolo ti fa stare male puoi uscire. Credo che questa è una lezione che riguarda tutti e tutte, perché spesso restiamo in situazioni che ci fanno stare male per convenzione sociale. 

    Interagire con la materia artistica significa quindi trovare soluzioni accessibili che siano prima di tutto esteticamente interessanti e motivate dalla drammaturgia degli spettacoli. Un esempio è Abracadabra. Incantesimi di Mario Mieli di Irene Serini, un progetto che indaga il pensiero del filosofo per puntellare l’organizzazione binaria su cui si fonda il nostro sociale. Per l’accessibilità del pubblico sordo, Diana Anselmo decide di tradurre il concetto di binarismo con la scelta di lavorare con due interpreti LIS in scena con pregresse esperienze attoriali, Sara Pranovi e Cesare Benedetti, attivando un percorso di studio e prove pre-spettacolo con la compagnia teatrale. In questo caso si è deciso di non proporre lo spettacolo ai gruppi neurodivergenti in quanto la complessità del testo, il continuo alternarsi di teatro, meta-teatro e realtà e la lunghezza dell’opera non avrebbero favorito la piena godibilità dello spettacolo. 

    Altro aspetto interessante del metodo di Spazio Kor è il continuo confronto con le comunità di riferimento nonché l’ascolto dei loro desideri. Un esempio è la ripresa in cartellone di You have to be deaf to understand, uno spettacolo precedentemente realizzato di Diana Anselmo e richiesto nuovamente dalla comunità sorda. La performance è concepita nella sua genealogia per il pubblico sordo per mezzo di una minuziosa partitura fisica dalle forti figurazioni, che si fregia del potere immaginifico del Visual Sign, forma poetica propria delle Lingue dei Segni. In questo caso dunque le misure di accessibilità sono state rivolte al pubblico udente, cui i tre performer espongono i principi del Visual Sign rendendo evidenti gli scarti intraducibili che si sedimentano nel passaggio da una Lingua basata sull’espressività dei segni ad un’altra radicata sulla parola. Il medesimo scarto è inoltre oggetto stesso dello spettacolo che prende spunto dall’omonima poesia scritta negli anni ’70 da Willard J. Madsen, professore sordo di letteratura inglese alla Gallaudet Univertisy, le cui traduzioni in altre lingue riportano un sostrato pietistico e oppressivo del tutto assente nella versione originale. You have to be deaf to understand svela dunque come il fonocentrismo e l’appropriazione culturale si inseriscano in quello che sembra un passaggio “neutrale” da una lingua ad un’altra, un dato che però solo chi è parte di una determinata comunità linguistica, in questo caso sorda, riesce a cogliere. 

    Screenshot dal video di Andrea Fasano

     

    Bisognerebbe aggiungere che la Lingua dei Segni è stata riconosciuta ufficialmente dal Parlamento Italiano solo nel 2019 e che la comunità sorda, che trova nella propria lingua un’appartenenza identitaria, gode di una storia ricchissima di Teatro Sordo, per secoli segregato in circuiti paralleli a quelli attraversati dalle persone udenti. Far collimare nello stesso spazio due comunità linguistiche per tanto tempo separate ha il portato politico di rendere accessibile la tensione di incomunicabilità replicata quotidianamente ai danni della comunità sorda, la violenza sistemica imposta ad una minoranza linguistica impossibilitata ad esprimersi mediante la propria lingua madre nello spazio pubblico. Riprendendo le riflessioni della Vassallo: Non è che il soggetto subalterno non possa parlare, ma non può interloquire con il potere a meno che non lo faccia utilizzando le forme di locuzione che il potere ammette come legittime, perché l’ascolto, la ricezione, riproduce l’immaginario del potere. Tenendo insieme la carica sovversiva delle voci “subalterne” e la complessità dei linguaggi artistici, Spazio Kor reinventa l’immaginario del potere e mette in circolo e a beneficio della maggioranza le potenzialità espressive zampillate dalle necessità sensoriali e dalle istanze politiche di gruppi marginalizzati, per garantire una maggiore pluralità alla platea che si stringe attorno al teatro, per ripensare il sistema abilista in cui viviamo. 

    Scrive Ilaria Crippi nel volume “Lo spazio non è neutro” (Tamu 2024):

    “ Ci sono tipi di persone la cui possibilità di partecipare è data per scontata e altri la cui presenza resta invece negoziabile […] definirsi antiabiliste ha una serie di scomode conseguenze pratiche: rifiutare la normalizzazione dell’esclusione delle persone disabili a causa di barriere fisiche e sensoriali […] smettere di considerare l’accessibilità un’emergenza estemporanea da tamponare quando qualcuno si lamenta, trattandola invece come una delle incombenze da prevedere e gestire ordinariamente. Se un’impostazione del genere ci appare strana è perché il sistema abilista ci ha abituato a pensare che sia l’esclusione a essere normale”.

     

    IL TEATRO ACCESSIBILE video spiegazione del progetto realizzato da Andrea Fasano

     

    Immagine di copertina di Andrea Fasano

    Note