Il secondo anno è sempre il più difficile (nella carriera di un freelance)

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    Alla fine è arrivata, la fine del mio secondo anno da freelance e, con lei, il primo, vero momento in cui mi sono chiesto se quella dell’indipendenza professionale sia stata una scelta saggia. Il motivo è presto detto, nonostante sia riuscito a migliorare leggermente il fatturato raggiunto il primo anno chiuderò il 2023 con un discreto passivo. Nulla di insormontabile, ma abbastanza da domandarmi se la mia attività professionale, per come ho scelto di impostarla, sia effettivamente sostenibile.

    Per darvi tutto il contesto è opportuno specificare che in primavera, il 28 marzo per l’esattezza, è nato Sirio, il mio secondo genito. Per poter stare vicino alla mia compagna, quindi, intorno a quella data ho progressivamente ridotto il mio impegno e per qualche mese ho smesso di accettare nuovi progetti.

    Di conseguenza, come un fiume durante la siccità, il mio flusso di cassa si è progressivamente inaridito nel corso dell’estate, per poi ripartire dal mese di settembre in poi.

    A questa situazione, che avevo scelto con cognizione di causa, si sono aggiunti due eventi su cui, al contrario, non ho avuto alcun controllo: l’aumento del costo della vita determinato dall’inflazione e le tasse e i contributi, che quest’anno, il mio primo anno fiscale da partita iva, si sono mangiati quasi il 40% del mio fatturato.

    Il passivo con cui chiuderò il 2023 è figlio del combinato disposto di queste circostanze e una parte del problema, anzi il problema con la P maiuscola è che mi sono accorto troppo tardi che le mie spese mensili superavano da tempo le entrate.

    So già che una frase del genere susciterà l’ilarità dell’internet finanziario, accetto. Il punto è che, per chi come me ha sempre lavorato come dipendente potendo contare su un flusso di cassa stabile e regolare, riuscire a tenere sotto controllo l’equilibrio tra uscite ed entrate è tutto tranne che scontato.

    Anzi, come sto scoprendo sulla mia pelle in queste settimane, acquisire non dico un’educazione finanziaria completa ma anche solo una forma di supervisione e controllo sulla propria situazione è tutto tranne che scontato.

    Per farlo non servono conoscenze particolarmente esoteriche, anzi i concetti sono piuttosto basilari; acquisirli però, per chi non si è mai confrontato con la materia, necessità di una certa quantità di studio e di impegno.

    Studio e impegno che si aggiungono a un carico già importante che comprende, oltre al lavoro di cura famigliare, il lavoro da svolgere per clienti e committenti e quello necessario per acquisire nuove commesse e progetti.

    Per chi sceglie la strada dell’indipendenza, questa probabilmente è la scoperta più significativa del mio secondo anno da freelance, non c’è alternativa alla formazione costante in campi che esulano dal cuore della propria expertise e alla necessità di imparare a gestire in modo efficace le conoscenze necessarie per potersi garantire quell’evoluzione costante attraverso cui passa il confine tra sostenibilità e insostenibilità delle proprie scelte di vita.

    La scelta è, infatti, una delle questioni più calde al cuore della questione dell’indipendenza professionale, al punto che non è scorretto descrivere questa condizione come una vera e propria identità.

    Se la condizione di indipendenza, l’essere freelance, è una forma di identità, poterla scegliere e non vedersela imporre in modo coatto è un requisito basilare per valutarne la sostenibilità in termini fisici e mentali.

    Un’identità, infatti, è qualcosa che si incarna e, quando è imposta con la forza, genera disforie che è complesso ed energicamente dispendioso sostenere.

    Non ne sono ancora sicuro ma a partire dalla mia esperienza comincio a pensare, data la configurazione sempre più fluida e mutevole delle professioni contemporanee, che la natura di identità che caratterizza la condizione di indipendenza professionale sia la base, o almeno una base, da cui partire per riconoscere i bisogni di chi, come me, ha scelto o si trova in questa condizione.

    Bisogni alla ricerca di ascolto e risposte che permettano di costruire un senso di comunità e vicinanza tra chi condivide un’identità in cui in confini tra vita e lavoro sfumano fino a scomparire e che sono la base di ogni organizzazione e rivendicazione.

    Nel riconoscersi tra pari risiede infatti una forza che gli indipendenti ancora non hanno imparato a padroneggiare a pieno. Se devo fare un proposito per il futuro, oltre a imparare a gestire meglio le mie finanze in questi tempi duri, sperimentare questa forza è quello a cui scelgo di votarmi.

     

    Immagine di copertina da Unsplash: ph. Mick Haupt

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