Il movimento del corpo interconnesso

Scarica come pdf

Scarica l'articolo in PDF.

Per scaricare l’articolo in PDF bisogna essere iscritti alla newsletter di cheFare, completando il campo qui sotto l’iscrizione è automatica.

Inserisci i dati richiesti anche se sei già iscritto e usa un indirizzo email corretto e funzionante: ti manderemo una mail con il link per scaricare il PDF.


    Se inserisci il tuo indirizzo mail riceverai la nostra newsletter.

    image_pdfimage_print

    Siamo arrivati al terzo e ultimo capitolo di questa esplorazione del possibile ruolo dell’interconnessione nelle nostre vite. Dopo aver parlato di interconnessione e immaginario, interconnessione e territorio, chi ha buona memoria forse già saprà che il tema di quest’ultimo articolo sarà il corpo.

    Questo, tra i vari argomenti trattati fino ad ora, è anche il più delicato e complesso.

    Non solo coinvolge gli aspetti più intimi di una persona, ma si relaziona con una serie incredibilmente ampia di altre discipline, dalla medicina alla moda, alla filosofia, all’arte, il gaming, il cinema.

    Non sapendo bene da dove cominciare, ho cercato di stringere leggermente il campo, provando a seguire quel pattern che, tra arte e tecnologia, ha caratterizzato questa breve serie.

    La concezione contemporanea di “corpo” in Occidente deve molto a quanto è successo dagli anni ‘60 del secolo scorso. Si sono susseguite trasformazioni culturali, rivendicazioni di diritti, nuovi spazi e nuove modalità in cui pensare e immaginare il nostro corpo, da strumento identitario a vero e proprio veicolo di idee.

    Questo processo di trasformazione ha avuto un dialogo fortissimo con l’arte, da cui si è lasciato plasmare e da cui è stato plasmato.

    Artisti come Marina Abramović, Gina Pane, Rebecca Horn o Vito Acconci sono stati alcuni dei protagonisti di un nuovo ruolo del corpo nell’arte e nella società.

    Anche la tecnologia ha avuto, e sta avendo, un grande peso in questo processo di trasformazione.

    Il transumanesimo è una di queste manifestazioni: una corrente filosofica e di pensiero, sviluppatasi a partire dagli anni ‘50, che mira a “trasformare la condizione umana attraverso l’uso e lo sviluppo di tecnologie in grado di aumentare l’intelletto e la fisiologia umana”.

    Complesso e multisfaccettato, è difficile ridurre il transumanesimo a un’unica e chiara corrente, al suo interno convivono molteplici anime, dalle più intransigenti alle più inclusive, fino addirittura a sfociare in movimenti politici. Sapevate che un esponente del partito transumanista ha concorso alla Casa Bianca nelle ultime elezioni?

    Tutto questo si è mescolato in questi anni a ciò che arte, filosofia, cinema e letteratura hanno prodotto: dalle teorie di McLuhan sulla “tecnologia come estensione del nostro corpo”, agli scritti di Foucault, alla nascita della letteratura cyberpunk di Gibson e Sterling, a tantissima narrazione cinematografica, alle sperimentazioni tra performance, arte, tecnologia e corpo di Stelarc, e molto altro.

    Un universo variegato, ampio e come già detto delicatissimo.

    Come osservato negli altri articoli, anche qui l’impressione è che a fianco di quanto già detto, le narrative più mainstream siano state però timide nell’affrontare direttamente il tema tra tecnologia e corpo: Blade Runner (il primo), Ghost in the Shell, e se vogliamo aggiungere il più recente Ex Machina, hanno scelto sempre la “mente” come tema centrale delle loro narrazioni. Il corpo è un ostacolo alla vita in Blade Runner, o un cambio d’abito in Ex Machina. Anche in Black Mirror, la recente serie fantascientifica capace, in alcuni episodi, di soffermarsi su alcuni aspetti anche molto complessi del nostro rapporto con la tecnologia, soffre questo aspetto. Cronenberg, che con Videodrome ed Existenz ha cercato di riportare una unità tra fisico e digitale, è uno dei pochi che ci ha provato, non sempre con grande successo.

    Un approccio differente si può riscontrare nella già citata serie delle Wachowski, Sense8.

    Forse la grande attenzione al tema è anche dovuta alle storie personali delle due registe, ad ogni modo in Sense8 il ruolo del corpo diventa centrale, e, se non in maniera diretta nella trama, quantomeno in tutte le sue manifestazioni laterali. C’è un continuum tra le capacità dei personaggi e la loro dimensione propriamente fisica, e anche tralasciando il caso esplicito di Nomi, transessuale sia nella finzione che nella vita reale, gli altri personaggi esprimono la loro condizione di “esseri interconnessi” in una maniera strettamente fisica, Sensoriale, appunto. La regia e la sceneggiatura accompagnano questa attenzione ai sensi dando grande spazio alla componente visiva e sinestetica della serie, con moltissime (forse troppe) scene di sesso o momenti molto fisici, pianti, lotte, abbracci e quant’altro. Ognuno degli otto protagonisti esperisce la sua particolare condizione – quella di persona interconnessa tramite particolari “poteri” psichici ad altre sette persone sparse in giro per il mondo – tramite i propri sensi.

    Tralasciando ogni aspetto più mistico e soprannaturale, Sense8 si avvicina molto ad uno degli aspetti centrali del processo di ricerca portato avanti da La Cura Summer School e BAOTAZ prima, e da GarBAOTAZ poi.

    Proprio di “senso dell’interconnessione” si parla. Ovvero di come tradurre qualcosa che ci riguarda così da vicino, e di cui noi stessi siamo partecipi, ma che non ha una dimensione fisica sul nostro corpo, passando dal “sapere” che l’interconnessione esiste, al “vederla” sugli schermi o materializzata nello spazio pubblico/privato, fino a “sentirla”.

    Un percorso di traduzione, questo, che, come vedete, è il medesimo che ha scandito questa serie di articoli.

    L’esperimento realizzato l’anno scorso è stato quello di costruire un piccolo device, chiamato “Wearable BAOTAZ”, un caschetto capace di tradurre in vibrazioni le espressioni delle persone sui social network.

    Notevole è stata la sorpresa quando ci siamo resi conto, nelle varie occasioni in cui lo abbiamo presentato, di come la percezione di questo oggetto sia stata fraintesa: da un oggetto che “ascolta” a uno che invece “riceve ed invia”. Fraintendimento dovuto alla naturalezza con cui riconosciamo nella tecnologia, dai caschetti neurali fino ai vari device IoT,  un proposito di lettura, misurazione, valutazione.

    La sfida era ed è invece un’altra, metterci nella condizione di sentire sul nostro corpo, tramite un “nuovo” senso, l’interconnessione espressa dalle persone in rete. Uno strumento che abilita, che ci offre un altro punto di contatto.
    Se l’idea vi può divertire, potete immaginare un gigantesco lan-party tra Nabaztag, ma invece di avere strani coniglietti sul comodino si tratterebbe di qualcos’altro, capace di interagire con il nostro corpo.

    Il tema del rapporto tra corpo, tecnologia, dati e interconnessione (e quindi persone) si è manifestato come centrale grazie al progetto de La Cura, da cui la Summer School dell’anno scorso è nata. Il rapporto tra paziente e società, tra persona e società è il nodo cruciale dell’esperienza de La Cura, in una maniera però in cui gli approcci più transumanisti e cyberpunk vengono messi di lato (e non da parte) per concentrarsi invece sui desideri della persona, e sul suo ruolo attivo nel rapporto tra la malattia, i dati e le tecnologie di cui disponiamo, che appunto ci interconnettono, mostrando il cancro come una malattia prettamente “sociale”, ovvero i cui aspetti vanno ad incidere molto anche sulle persone che  stanno intorno a chi ne soffre.

    Durante La Cura Summer School ci si è quindi chiesti che ruolo avesse il corpo in questo mondo interconnesso.

    Quando Roma Makers ci ha chiesto di iniziare insieme questo percorso su Garbatella, la prospettiva di lavorare dentro un FabLab così a contatto con la città ci è sembrata bellissima. Roma Makers è un luogo in cui propensione pratica e l’attenzione alla formazione convivono insieme dando, nei casi più virtuosi, bellissimi risultati.

    Quanto fatto con BAOTAZ e i propositi che GarBAOTAZ si pone non sarebbero possibili senza lo sviluppo incredibile in termini di accessibilità, sia economica, che pratica, che la digital fabrication ha avuto in questi anni, anche in parte alla diffusione capillare di spazi come i FabLab, che, almeno a nostro avviso, dovrebbero riuscire sempre a caratterizzarsi come spazi di innovazione, e non solo tecnologica.

    Se con questo articolo si conclude questa serie, il processo di ricerca e di esplorazione intorno all’interconnessione è invece solo all’inizio. Le avventure di GarBAOTAZ, qualsiasi siano i risultati, saranno solo un altro tassello di un percorso che speriamo possa coinvolgere più persone e più realtà.

    In fondo quello che mi piacerebbe è che voi tutti, che stiate stendendo i panni, mangiando una pizza, discutendo su come fondare una nuova start-up, firmando un documento per elargire nuovi finanziamenti pubblici, possiate chiedervi, anche solo per un momento: ma cosa possiamo farci con l’interconnessione?

    Così poi ne parliamo.


    Immagine di copertina: ph. Robert Collins da Unsplash

    Note