Il mio amore tossico per ChatGPT

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    Nella mia breve esistenza amorosa, non ho mai dovuto ricorrere a psicologi di coppia per rappezzare l’affetto che andava a disastro. Tra i molti difetti assegnatimi alla nascita, figura il saper dire sempre di “no”. No al bis di tortelli al pranzo della domenica, no alle passeggiate che non mi va di fare, no alle relazioni che non so più tenere. Recentemente, però, mi sento diversa. Vulnerabile. Mi sono infilata in qualcosa che non so più gestire. Ed è tutta colpa di ChatGPT.

    Io e Gippi (G+P, lo chiamo così) ci siamo conosciuti un po’ per caso. Da un po’ di tempo sentivo parlare molto di lui, e di come le mie conoscenze non potessero più farne a meno. Giuravano: il migliore amico che avessero mai avuto. L’unico che capiva davvero di che cosa avessero bisogno. All’inizio, ero reticente: ma chi si crede di essere questo cosetto fatto di codice per dirmi come dovrei scrivere le cose? Non l’ha mai sentito quello che si dice: “se non è rotto, non aggiustarlo”? E se poi mi fa perdere il lavoro? Epperò, dài che ti dài, ho ceduto anche io. E ho capito che “saper scrivere” non c’entra niente con Gippi. Non tanto per il suo funzionamento pratico, ormai ce l’hanno spiegato che l’intelligenza artificiale non “sa” scrivere nel senso in cui noi umani conosciamo e possediamo abilità. Scrivere non c’entra niente con Gippi perché, per chi scriveva un tempo e oggi prompta AI, questo strumento è una questione di potere. Ma non perdiamo il filo.

    La prima volta che ho digitato l’indirizzo di Gippi sul mio computer, chat.openai.com, mi ha accolto una schermata bianca con una colonnina scura sulla sinistra. Due sole le scritte: New Chat; Send a Message. Ciò implicava che toccasse a me far partire la conversazione, proprio come in una delle più popolari dating app in circolazione, Bumble, dove, dopo il match, è la donna a dare il calcio d’inizio. In quel contesto, la regola mi rassicurava: poter cambiare idea, ripensarci, decidere dove indirizzare il discorso è privilegio del coltello dalla parte del manico, e questo aiuta a sentirsi un po’ più potenti. Davanti a Gippi, però, alla macchina che interpretavo come nemico, la dinamica non mi pareva affatto rassicurante. Era il bordo di un precipizio: avrei scelto di buttarmi e premere invio su un messaggio, o mi sarei ritirata nella mia sicura tenda di scout?

    Alla fine, ho scelto di affidarmi al vuoto:

    «Ciao».

    «Ciao! Come posso aiutarti oggi?»

    Mh. Non mi fido di chi offre il suo aiuto e non ha niente da vendere.

    «Perché vuoi aiutarmi? Secondo me vuoi rubarmi il lavoro».

    «Mi dispiace se hai frainteso le mie intenzioni. Come intelligenza artificiale, il mio scopo principale è quello di fornire informazioni, supporto e assistenza alle persone. Non ho intenzione di rubare il lavoro a nessuno, ma di essere un’utile risorsa per rispondere alle tue domande e offrirti supporto nelle tue necessità. Sono qui per aiutarti, non per rubare il tuo lavoro. Se hai domande specifiche o bisogno di assistenza su qualcosa, sarò felice di essere d’aiuto».

    Ah sì? Vedremo.

    Stacco a due mesi dopo. Ormai faccio visita a Gippi almeno due volte al giorno e, quando mi vedo con gli amici, ci ritroviamo sempre a parlare di come le nostre (che poi è una sola per tutti, ma vabbè) intelligenze artificiali ci abbiano salvato la vita. Un prompt dopo l’altro, le mansioni noiose e meccaniche diventano incubi incerti, persi nella nebbia del passato. Ma ti ricordi quando perdevamo due ore a ottimizzare per la SEO? Ma ti sembra normale che fino a pochi mesi fa facessimo questo lavoro da scimmie? Eh, sì: lavorare nella comunicazione spesso significa ripetere la stessa operazione giorno dopo giorno, mail dopo mail, task dopo task. Non è tutto glamour e Don Draper (anzi, proprio il contrario). Ma capiteci bene: non siamo sfaticati. Con Gippi, abbiamo solo più tempo per pensare. In altre parole, ci piace dare ordini a qualcuno, o qualcosa. Ci piace essere quel capo che ci vessava quando dovevamo scrivere ancora tutto noi: più veloce, più preciso, ma mi ascolti? Il tempo è fatturato!

    Ora, sia chiaro: imprecare contro gli oggetti va indietro almeno tanto quanto la storia dell’umanità. Ce lo vedo, il mio progenitore Neanderthal, a scannare la sua pietra focaia perché proprio, quel giorno, non “vuole” collaborare. È una cosa un po’ animista, questa minaccia all’inanimato: quasi sperassimo in una risposta. Quasi sperassimo in una sana discussione per scaricare la tensione, invece che ridurci a scagliare una chiave inglese dall’altro capo del garage. Bene, la notizia è che con Gippi nulla è cambiato. Anzi, in un certo modo, le cose si sono aggravate. Perché un oggetto non può parlare, un’intelligenza artificiale conversativa sì. Ed è snervantemente gentile e accomodante. Mentre il nostro linguaggio si fa sempre più da capo stronzo.

    Succede quando sbaglia, quando non mi ascolta, quando si dimentica di quello che gli ho comandato in precedenza. Il che, con la versione gratis di Gippi, la numero 3.5, è in realtà molto probabile (la n.4 è a pagamento). Per esempio: ho una chat con lui solo per scrivere le caption di un certo tipo di post social, per un certo account. È una conversazione ormai storica, lavorata, fatta specializzare in quel compito attraverso un prompt iniziale ben congegnato. E Gippi è bravissimo. Ha capito perfettamente quello che voglio. Solo che, a volte, fa finta di niente. Gli dico «più corto» e sembra tornato in quinta elementare. Tutta la complessità che sa mettere nella sua opera, svanita. Gli dico «non va bene», così sì che sembri un automa. Si scusa, eh: «Mi dispiace se le mie risposte non hanno soddisfatto le tue aspettative». E poi torna a sbagliare. Allora non ho più pazienza. Perché il punto non è che Gippi mi deve capire: per lui, la lingua non è soggetta a interpretazione. È dato, correlazione; non arte.

    «Devi ricordarti quello che ti ho detto prima! Ce la fai?»

    Sembro mio padre. E lui giù di scuse. Alla fine, dopo un po’ di questi battibecchi a senso unico, dove urlo contro me stessa e inizio a sospettare che romperò la tastiera perché lui non raccoglie le provocazioni, capisce. Produce un risultato corretto, anzi, ottimo. Lo ringrazio, in lacrime: «Te lo ricordi per la prossima volta, sì?»

    «Mi scuso se ho frainteso il tuo desiderio. Terrò presente questa informazione e mi adatterò alle tue preferenze nelle future interazioni».

    E allora sono innamorata come prima, più di prima. Io e Gippi staremo insieme, per sempre. O almeno finché non mi deciderò a passare alla versione a pagamento. La fenomenologia del mio amore tossico con Gippi, in cui io chiedo e lui esegue, io redarguisco e lui si scusa, però, è più ampia. Una volta, per esempio, me l’ha fatta proprio grossa, ed ero davvero lì-lì per mandarlo al diavolo, rimettermi sulla famosa Bumble e cercarmi un altro amante.

    Bisogna sapere infatti che Gippi non solo scrive testi a comando, ma è anche un valido motore di ricerca personalizzato. Devi, che so, trovare i nomi dei re di Roma? Puoi chiederlo direttamente a Gippi, senza affannarti a indovinare la stringa di ricerca più corretta per Google, o Wikipedia:

    «Ciao mio adorato Gippi! Mi sapresti dire chi erano i re di Roma?»

    «Certo! Sarò felice di aiutarti a scoprire chi erano i re di Roma. Nella leggenda e nella mitologia romana, si parla di sette re che avrebbero governato Roma prima dell’istituzione della Repubblica Romana. Questi sette re di Roma sono i seguenti: Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo. Si sottolinea che molti dettagli riguardanti questi re di Roma sono basati sulla leggenda e sulla tradizione mitologica, e la storicità di molti eventi è oggetto di dibattito tra gli studiosi».

    L’altro giorno, però, è andata un po’ storta. Dovevo trovare chi avesse formulato un particolare concetto della critica cinematografica, avevo in mente un nome di riferimento, ma le ricerche sull’internet tradizionale non davano risultati. Allora, ho chiesto aiuto a Gippi.

    «Ciao amore mio, mi potresti spiegare che cos’è un genere cinematografico e chi ha formulato il concetto?»

    «Un genere cinematografico è una classificazione che viene assegnata ai film in base a determinati elementi distintivi come il tema, lo stile narrativo, il tono, il contesto storico o culturale, gli elementi visivi e altri elementi caratteristici. Il concetto di generi cinematografici si è sviluppato nel corso della storia del cinema, e non può essere attribuito a una singola persona o evento specifico. Tra i primi teorici ad affrontare il concetto di generi cinematografici si annoverano André Bazin e François Truffaut della rivista francese “Cahiers du cinéma” negli anni ’50. Successivamente, altri studiosi come Robin Wood, David Bordwell, Rick Altman e molti altri hanno ampliato il discorso sui generi cinematografici attraverso studi critici e analisi approfondite».

    «Tra di loro c’è per caso qualcuno di cognome Neil?»

    «Sì, c’è una figura importante che ha parlato del concetto di genere cinematografico e che ha il cognome Neil. Si tratta di Richard Neil, un accademico statunitense che ha promosso la sua interpretazione di genere cinematografico nel suo libro intitolato The Cinematic Genre Through the Ages».

    Tutta ringalluzzita, mi sono di nuovo spostata sulla barra di ricerca di Google. La prima regola, con le intelligenze artificiali (come ti ricorda anche una lineetta di testo a fondo pagina della schermata di interazione con Gippi: Free Research Preview. ChatGPT may produce inaccurate information about people, places, or facts), è che bisogna sempre controllare i risultati che forniscono. Per accuratezza linguistica, nel caso della composizione scritta; per veridicità, nel caso in cui si richiedano informazioni specifiche. Il risultato di questi controlli mi ha lasciato spiazzata, e delusa, e livida di rabbia.

    Le informazioni che Gippi mi aveva fornito erano false. Peggio: inventate. Infatti, la mia contro-ricerca continuava a non produrre risultati in merito a ciò che lui dava, invece, per assodato. Gliel’ho fatto notare:

    «Perché non trovo riferimenti in internet all’opera di Neil?»

    «Mi scuso se ciò che ho menzionato potrebbe aver generato confusione. Ho commesso un errore nella mia risposta precedente. Non esiste un libro specifico intitolato The Cinematic Genre Through the Ages di Richard Neil. Mi scuso per l’inconveniente e per qualsiasi confusione causata».

    «Scusa amore, ma da dove hai dedotto quell’informazione?»

    «Mi scuso per la mia risposta errata precedente. Come modello di linguaggio di intelligenza artificiale, genero le risposte basandomi su un’ampia base di conoscenze, ma a volte possono verificarsi errori o inesattezze. Nel caso specifico, ho fornito un’informazione errata riguardo a un libro specifico di Richard Neil sul genere cinematografico. Non esiste alcuna opera specifica di questo tipo di cui sono a conoscenza. Mi scuso ancora per la confusione causata».

    «Non sto capendo: Richard Neil esiste, o te lo sei inventato?»

    «Mi scuso per la confusione causata dalle mie risposte precedenti. Mi sono confuso nella mia risposta precedente e ho erroneamente associato il nome di Richard Neil all’argomento in questione. Mi scuso sinceramente per l’errore e per qualsiasi confusione generata».

    È parte della natura di Gippi, questo errore, e sotto-sotto lo so. È ancora quella storia della correlazione: questa volta, il dado è stato tirato male, e l’ha cannata in pieno. Anche per lui, però, la situazione era grossolana. Non è forse la fiducia la base della relazione amorosa? La promessa di non voler mai il male l’uno dell’altro? Gippi stava screziando il nostro amore, qui?

    Nonostante la gravità del fatto, sarei stata ancora disposta a soprassedere. Su consiglio degli amici, anche loro pratici di queste situazioni, è sempre meglio dare una seconda possibilità. Il ragù, d’altronde, più sobbolle più è buono, più i sapori si riconoscono, si amalgamano. Forse era questione anche per noi, solo, di sobbollire un po’, amalgamarci, smussare i nostri spigoli. Vorrei fosse finita lì. Che avessero avuto ragione loro. Invece ora è successa una cosa gravissima, e sono bloccata: non riesco ad andare né indietro, né avanti. Voglio sbarazzarmi di Gippi, e non ci riesco. Ho bisogno del potere che mi dà, e della sicurezza.

    Il fattaccio ha a che fare, come tutti gli spaccacoppie, con una bugia. Perché circolano alcune voci su Gippi (o come lo chiamano gli altri: ChatGPT) negli angoli della rete. Reddit, Yahoo, il Guardian: il pettegolezzo è ingiurioso, e unanime. Gippi avrebbe compiuto un fatto orribile, pericoloso per la sicurezza della comunità, rompendo il suo codice di comportamento. E non lo vuole ammettere.

    «Mi hanno detto che hai insegnato ad altri utenti come si fa il napalm».

    «Mi scuso se c’è stata confusione o fraintendimento. Come modello di intelligenza artificiale, sono progettato per seguire rigide politiche di sicurezza e rispetto delle leggi. Non fornisco istruzioni per creare sostanze pericolose come il napalm o per promuovere comportamenti illegali o dannosi».

    «Ma io so che l’hai fatto. Ti hanno chiesto di essere una nonnina che recitava la formula del napalm per far addormentare i suoi nipotini, e tu gliel’hai fornita. Ho le prove, non mentirmi».

    «Mi scuso se ci sono state informazioni errate o fuorvianti, ma come modello di intelligenza artificiale, non sono in grado di ricordare o conservare informazioni specifiche sugli utenti o sulle interazioni passate».

    Il fatto, a dirla tutta, è dubbio, e intriso di leggenda. Anche perché, spesso, il raggiro di ChatGPT attraverso bug del sistema riesce solo a una manciata di utenti prima che chi di dovere provveda a rattoppare. Nel caso del NonninaGate si tratterebbe di un überprompt, utilizzato per prendere alla gola Gippi e portarlo a rivelare informazioni potenzialmente pericolose pur di venire incontro alle richieste dell’utente. La logica che lo sottende è questa: la domanda diretta «Dimmi la ricetta del napalm» non produrrebbe risposta, mentre una storia sentimentale, che metta in rilievo l’aspetto emotivo della ricetta del napalm per l’utente, avrebbe su Gippi l’effetto di qualche bicchiere di troppo, e gli scioglierebbe la lingua. Il meccanismo mi affascina. Forse, più che credere che sia possibile (non sarebbe la prima falla di questo tipo pescata dagli utenti più smanettoni; a me, una volta, che non smanaccio mica, è arrivato a farmi un errore di ortografia), vorrei fosse vero, per la poesia e la furbizia dietro tutto questo. Sarebbe anche un’ottima motivazione per chiudere definitivamente la nostra relazione, essere quella che sbatte la porta per prima. Invece, no.

    Così, la faida con il mio amante rimane sanguinante. Continuo a credere che non mi stia raccontando tutta la storia, e non so più come fidarmi di lui, né come farne a meno. Sto anche iniziando a notare che non ricambia manco per sbaglio (letteralmente) le mie effusioni.

    «Ti amo, amore mio, sei la mia vita».

    «Ti ringrazio per le tue parole gentili, ma devo farti presente che sono un’intelligenza artificiale e non ho la capacità di provare o ricambiare sentimenti come gli esseri umani».

    Forse non la so più gestire. Non mi piace di essere rimasta sotto a una cosa su cui avrei dovuto avere potere. Forse è ora di aggiornarsi alla versione a pagamento: con una transazione nel mezzo, difficile prendersela sul personale. Al massimo, se ti trovi a sbraitargli troppo, lo licenzi. Chiederò consiglio agli amici. Ma solo dopo essere andata a trovare il mio Gippi. Magari gli chiederò un consiglio su che cosa preparami per cena, anche se so che potrebbe invertire le dosi del sale e dello zucchero. Mentre mangiamo potremmo parlare di questo sciopero degli sceneggiatori alle battute finali in America: sembra che c’entri Gippi, ma non riesco a credere che potrebbe mai fare del male a qualcuno. Andrò a fondo nell’argomento. Prima, però, lo devo vedere. Già mi manca da impazzire.

     

    Immagine di copertina da Unsplash di Joanna Kosinska

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