Cosa si respira nel Mediterraneo

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    Dopo due giorni passati in città tra politici, associazioni, ong e misurazioni degli inquinanti presenti nell’aria io, Axel e Beate lasciamo Livorno che ancora non si è fatta mattina. Il sole non è sorto e l’umidità è ancora quella che regna la notte sul mare. Lentamente ci allontaniamo dal molo silenzioso, non c’è nemmeno il verso dei gabbiani che forse stanno ancora cenando tra il polistirolo nel retro di qualche ristorante in centro. Navighiamo verso uno dei porti più importanti del Mediterraneo, quello di Bastia, a nord della Corsica.

    Anna non viene con noi verso la Francia, c’è una sostituzione nel gruppo con cui viaggio: lasciamo lei in Italia e a Bastia ci aspetta Charlotte, membro della ong Fne (France nature environnement) la più grande tra le ong francesi impegnate sui temi ambientali, il corrispettivo francese della tedesca Nabu per cui lavora Beate. Arrivati in Corsica intervisterò Charlotte come ho fatto col resto del gruppo, non che durante questo viaggio debba necessariamente intervistare tutti gli attivisti, ma spero che vedere il problema dalla prospettiva francese potrà essermi utile anche per capire come le cose evolveranno in Italia, visto che il nostro paese è culturalmente e legislativamente più simile alla Francia che non alla Germania da cui vengono Axel e Beate.

    Siamo in mare. Piove, poi smette, ma il vento rannuvola il cielo e di nuovo fa per piovigginare. Non sembra certo di stare a giugno. Axel infila il misuratore di particolato ultrafine dentro a una sacca con la zip così sale sul ponte insieme a Beate. Mentre io rimango sotto coperta loro proveranno a misurare gli inquinanti lasciati da un camino di una grossa nave a solo qualche decina di metri di distanza. Si può fare? Servirebbero dei permessi per fare delle misurazioni del genere? Diciamo che i permessi sarebbero difficili da ottenere, ma nulla vieta a un privato cittadino di portarsi dietro gli strumenti del suo lavoro, e questo credo valga anche nel caso del misuratore di particolato ultrafine. Lo stesso misuratore che al porto di Livorno era arrivato oltre le 30mila particelle per centimetro cubo d’aria (numero già allarmante di per sé), qui arriva oltre le 130mila. Centomila in più.

    Si dirà che sulla scia di una grande nave non ci vive nessuno, siamo in mare aperto e misurare gli inquinanti solo a qualche decina di metri di distanza dai camini sembra quasi pretestuoso, un modo per misurare le emissioni al loro livello massimo. Ma è un’obiezione che non regge, visto che c’è chi ogni giorno sul ponte di questa grossa nave ci lavora. Si tratta di cittadini che meriterebbero chiarezza e trasparenza su ciò che respirano. Un’ovvietà da cui ne deriva una seconda: anche chi viaggia sui traghetti per motivi non lavorativi, come i vacanzieri in crociera, merita di essere informato sulla qualità dell’aria che respira. Perché se ha un senso la retorica della trasparenza che oggi va per la maggiore allora sì, tutti abbiamo il diritto di sapere a quali rischi sottoponiamo la nostra salute viaggiando sulle grandi navi, stando in porti in cui queste sono attraccate e perfino navigandovi vicino. Vale per chi fa libere scelte, come quella di una vacanza in crociera in giro per il Mediterraneo, ma vale soprattutto per chi fa una scelta lavorativa (e quindi un po’ meno libera rispetto a una vacanza, visto che continuare a lavorare nonostante ne derivi un rischio per la propria salute è un ricatto a cui molti sono costretti a sottostare).

    Mentre Axel carica i dati appena registrati su un database online, alla nostra destra scorrono le coste rocciose dell’Isola di Capraia. Prima un punto lontano grigio e verde, poi il promontorio si ingrandisce e diventano visibili i dettagli finché a sud gli scogli rossicci si interrompono di colpo vicino alla vecchia torre. Siamo a largo della Corsica, il cielo è aperto, l’aria è fredda e il vento soffia forte, creando piccole onde che scivolano via dai fianchi delle barche. Gli scafi che vediamo in lontananza solcano il Tirreno dando vita a lunghi rigoli di schiuma, scie bianche che rimangono a galla per un po’ a ricordarne il passaggio.

    Passano più o meno cinque ore e finalmente in lontananza appare Bastia, una piccola Genova concentrata ai piedi delle colline e spalmata lungo la costa rocciosa. La prima cosa che colpisce sono le sue dimensioni: tanto piccola che sembra un paesone schiacciato sul mare, così raccolta che in lontananza pare un borgo immerso nel verde delle montagne scoscese.

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    Bastia vista arrivando in porto. Si nota immediatamente una grande nave attraccata sulla sinistra.

    In porto finalmente incontriamo Charlotte, un sorriso titubante in bocca a una bretone coi capelli sciolti e gli occhiali tondi. Ovviamente parigina di adozione, ma metà vita l’ha passata in Australia e qualche anno in America del sud, quasi un’apolide. Mi viene in mente che è un personaggio fin troppo perfetto per incarnare la figura di un membro di una ong ambientalista. Qualche ora dopo, parlando con lei del suo lavoro, proverò ad accennare al fatto che in tempi di populismo le ong e gli ambientalisti non godono di grandi simpatie, con l’aggravante che lei, Axel e Beate appartengono a entrambe le categorie. In tutta risposta ottengo un altro sorriso incerto, un’alzata di sopracciglia e una battuta costruita sul fatto che i giornalisti, be’, nemmeno loro di questi tempi ricevono chissà quale stima. Rido per il tu quoque ironico, ma insisto: le ong, l’ambientalismo, i progetti per la protezione dell’ambiente, magari sovvenzionati da finanziamenti europei, mi pare un puzzle di tutto ciò che si odia secondo la nuova vulgata populista. Ma, mi dicono, c’è il rovescio della medaglia, perché sono centinaia di migliaia i sostenitori di Nabu e Fne (le due ong per cui lavorano Beate e Charlotte), persone che supportano il lavoro di associazioni di cittadini e organizzazioni non governative nonostante sull’Europa soffi il vento reazionario della chiusura.

    Passeggiamo lungo il viale alberato che si srotola parallelo alla costa tra i grossi ombrelloni bianchi che riparano dal sole i tavolini dei bar. Dopo qualche minuto ci ritroviamo ad attraversare un tendone, dentro c’è un enorme torneo di scacchi, decine di ragazzini e signori di mezza età che girano per i tavoli in legno, bevono acqua da bicchieri di plastica e fissano le scacchiere con le nocche poggiate alle tempie. Noi, imbottigliati nel via vai del torneo, sembriamo essere diventati di colpo un gruppo molto più folto, ci sono abitanti di Bastia curiosi di incontrare Axel, che lo interrogano preoccupati grazie a un buon inglese (che non mi aspettavo in un’isola francese) e altri che parlano tra loro indicandoci come il gruppo delle ong. Comincio a fare un po’ di fatica a capire esattamente chi è chi mentre Charlotte ride assieme a un’anziana signora e la convince a seguirci per vedere di persona come funzionano le misurazioni dell’aria che faremo al porto. Ci liberiamo dall’afa del tendone e torniamo sotto il sole di Place Saint-Nicolas. Faccio qualche domanda alla signora di Bastia e nonostante il mio francese elementare capisco che secondo lei sono in molti, in città, ad essere preoccupati per la qualità dell’aria – me lo dice con un sorriso orgoglioso, io annuisco e non rispondo niente. Penso che a giudicare dalle misurazioni le preoccupazioni sono fondate, il porto è così trafficato che di grandi navi arrivano a essercene anche sei contemporaneamente, tutte coi motori perennemente accesi (per assicurare l’energia elettrica a bordo) e sono davvero vicinissime all’abitato. Così vicine che in alcuni punti, in linea d’aria, tra la nave e la strada che costeggia il porto ci saranno una decina di metri, forse meno.

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    Il torneo di scacchi vicino Place Saint-Nicolas, a Bastia, a pochi metri dal porto.

    Il problema dell’inquinamento dell’aria è anche una questione di architettura e di casualità: in un’ipotetica città portuale perennemente spazzata dal vento e senza alture nelle vicinanze, non ci sarebbe nessun rischio per la popolazione perché gli inquinanti nell’aria sarebbero portati altrove e non farebbero in tempo a concentrarsi nell’abitato. A Bastia, però, succede l’esatto opposto e il vento se ne rimane qui, intrappolato in uscita, ostacolato dalla corona di colli ripidi e alberati che delimita la città. Sono monti alti a sufficienza per trattenere l’aria e il suo smog, una catena continua che percorre come una spina di pesce tutta questa lingua di terra corsa rivolta a nord. A voler scollinare si arriverebbe subito ai paesini affacciati sulla costa opposta, quelli col nome italianissimo come Patrimonio, San Fiorenzo e Olmeta di Capocorso. Paesini al riparo dall’aria inquinata proprio grazie agli stessi monti che la trattengono a Bastia. La forma del territorio su cui stanno le città è importante: chi vive in conche inquinate come Bastia (ma anche Genova ha una conformazione simile) non può sperare che gli inquinanti verranno spazzati via dal vento, perché l’aria tende a rimanere lì, un po’ come accade con le Ande cilene che trattengono le nuvole venute dal mare.

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    L’architettura di Bastia. Le sue strade strette sono affacciate direttamente sul porto.

    Anche qui a Bastia, proprio come a Livorno, le associazioni di cittadini si uniscono alle ong per fare massa critica e premere sulle istituzioni. E questa, che sembra essere l’unica via possibile, è anche quella che comincia a dare dei frutti. La Francia infatti ha già fatto qualche passo in avanti rispetto al tema dei diesel inquinanti: a Marsiglia nel 2017 le associazioni di cittadini (con una consistente rappresentanza corsa) hanno organizzato una “giornata mondiale dell’aria” in cui al centro del dibattito c’era proprio la qualità dell’aria delle città portuali. François Alfonsi, politico e presidente dell’associazione Qualitair Corse, in quell’occasione parlò di un’Europa a due velocità riferendosi al fatto (di cui ho scritto nella prima parte di questo reportage) che nel Mar Baltico, nel Mare del Nord e nel canale della Manica sono stati inseriti regolamenti sui carburanti proprio con l’obiettivo di ridurre le emissioni di inquinanti come azoto e zolfo. La conclusione è ovvia: il Mediterraneo deve adattarsi e garantire gli stessi standard che apparentemente, per parte francese, sarebbero già in corso di discussione.

    Mi assilla un pensiero sin da quando ho iniziato questo viaggio e cioè che il problema dell’inquinamento è percepito da alcuni come una bazzecola per persone eccessivamente sensibili, un problema secondario associato a luddismo ed eccessivo idealismo. Mentre leggo delle direttive prese dagli stati affacciati sul Mare del Nord trovo un dato che credo sia forte a sufficienza da scardinare questa narrazione, eccolo qui: Il DCE (Danish Centre for Environment and Energy) dell’Università di Aarhus ha stimato che l’inquinamento dell’aria dovuto alle emissioni causate dalle grandi navi causa 50mila morti premature in Europa ogni anno. E per chi non si lasciasse convincere dell’importanza del problema nemmeno davanti a un’incidenza sulla mortalità fatta di un numero a cinque cifre c’è il dato economico: i costi per la salute corrispondenti a questo aumento di patologie sono stati stimati per 80 miliardi di dollari statunitensi. Sono quasi settanta miliardi di euro, con tutta probabilità tutti a carico della sanità pubblica, quindi soldi di tutti, anche di chi non se ne cura.

    Percorro la città verso sud, in direzione del porto vecchio, e vado a dormire di fianco alla sinagoga, in un posto che ho prenotato all’ultimo, un’ex scuola elementare trasformata in ostello da un gruppetto di ragazzi della mia età. È una di quelle idee un po’ coraggiose e un po’ idealiste di chi è nato qui in Corsica, ha viaggiato e poi è finito per tornarci. Sui muri dell’ingresso, vicino alla reception, è pieno di quadri, vecchi poster e locandine con riferimenti a una sinistra extraparlamentare orgogliosa e indipendentista, battaglie politiche il cui significato comune è quello della lotta all’ingiustizia, della salvaguardia dei diritti individuali e sociali e persino di quelli ambientali. I ragazzi mi raccontano con entusiasmo di ciò che stanno facendo con questo vecchio edificio, di quanto ci hanno già lavorato e di quanto c’è ancora da fare. Parlano del loro lavoro qui in Rue du Castagno, ma si capisce che questo loro colpo di reni è frutto di una speranza che riguarda tutta l’isola. C’è voglia di rinnovamento politico e di far parte di una battaglia giusta. Certo che Macron qui non piace, non mi aspettavo nulla di diverso, l’ho chiesto solo per rompere il ghiaccio e partire dalle ovvietà, però forse è in posti come questi che la sinistra può trovare una spinta, un’inerzia che c’è solo nelle politiche cosiddette “dal basso”. È in ambienti così combattivi e orgogliosi che la sinistra ha sempre fondato il suo consenso: nelle battaglie per le libertà individuali, nelle associazioni di cittadini con obiettivi ambientalisti, nella solidarietà e nell’idealismo di chi cerca di intervenire là dove lo stato non ha saputo sopperire alle preoccupazioni della popolazione. Ecco, forse temi come il monitoraggio dell’ambiente, l’inquinamento, la legislazione a protezione di chi lavora, la salvaguardia della città o del piccolo borgo in cui si è nati, sono tutti temi su cui le persone delle ong lavorano attivamente e troverebbero ampio consenso qui, tra i ragazzi che lavorano nel posto in cui sto alloggiando.

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    La sala vuota di una grande nave.

    Certo, oggi va alla grande il populismo, che punta sulle paure e le preoccupazioni delle persone. Ce lo diciamo e lo ripetiamo in continuazione. Ma ci sono anche preoccupazioni e paure legittime che una politica ecologista e di sinistra potrebbe prendere come punto di partenza per dialogare con la famosa “pancia del paese”. A partire dalle periferie, la politica locale, i borghi di provincia e le città portuali. Oggi sono le ong e le associazioni a colmare queste assenze delle istituzioni, a occuparsi del mare, del monitoraggio dell’ambiente e di cooperazione internazionale. Associazioni italiane come Cittadini per l’Aria di cui fa parte Anna, oppure Fne e Nabu per cui lavorano Charlotte e Beate o ancora privati cittadini ormai in pensione come Axel: sono queste le figure che fanno cittadinanza attiva.

    In questo caso particolare Cittadini per l’Aria, insieme alle ong per cui lavorano le persone con cui sono in viaggio, ha trovato soluzioni fattibili per mettere fine al ritardo con cui gli stati affacciati sul Mediterraneo regolano le emissioni in mare. La proposta è l’istituzione di una zona a basse emissioni sul modello di quella presente nel nord Europa. E questa è solo una di molte iniziative su cui non c’è copertura mediatica, eppure sono proposte pragmatiche, concrete, lontane dal luddismo o dall’idealismo con cui spesso si sente parlare dell’associazionismo o del volontariato.

    Il tema ambientale, in politica, non esiste quasi più. Per una sinistra che oggi si trova a cercare disperatamente di mettere argine ai populismi ripartire da qui non sarebbe male. Mentre dal sud della Francia navigo da solo verso l’Italia mi sembra addirittura ovvio.

    Note