Amabili confini: storie dalla periferia

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    Nell’edizione 2015 del prestigioso Festival di Santarcangelo dei Teatri è approdata un’artista, Veridiana Zurita, brasiliana, che di confini ne ha valicati diversi, sia per questioni geografiche che artistiche. Per l’occasione ha presentato in Italia un progetto con il quale ha girato il mondo: Host me and I cook for you.

    In breve, le famiglie di Santarcangelo di Romagna erano invitate ad aprire il loro confine personale, ovvero le porte della propria casa, per accogliere questa esimia sconosciuta. Lo scopo finale era giungere alla costruzione collettiva di una grande installazione ambientale, potrei dire, – a me piaceva definirla una sorta di merzbau – che raccogliesse gli oggetti, le voci, i vissuti, le elezioni, i sorrisi e gli affetti di ognuna di queste famiglie.

    Personalmente immaginare quanto queste vite incrociate si siano potute riempire a vicenda e quanto la comunità intorno abbia potuto goderne trovandosi riunita e divertita attorno a questo merzbau comunitario, mi rendeva lieta, curiosa ed entusiasta osservatrice.

    Credo ci sia un nesso emotivo tra questa esperienza e il progetto Amabili confini, per quanto quest’ultimo sia molto distante per aspetti di regia ed organizzazione dall’intervento della Zurita.

    Amabili confini è un progetto culturale che arriva da Matera, nato in seno alla comunità stessa e che vuole aprirsi alla multiculturalità che abita il luogo, alle differenze sociali e culturali insite in esso. Dalle rime di De André – se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo – prende vita, nel 2013, l’associazione Gigli&Gigliastri con lo scopo prioritario, s’intuisce, di azzerare il distinguo mentale tra figli e figliastri di una società.

    Lavorare sui confini e sul travalicamento di essi significa partire dai propri piccoli confini e Sergio Gallo, Dalia Gravela, Donatella Olivieri (Gigli&Gigliastri), Francesco Mongiello (ideatore e coordinatore del progetto) Brunella Guida (coordinatrice del progetto) propongono di farlo con un’arma intelligente: la narrazione attraverso la scrittura.

    Nel dettaglio, verranno scelte 7 famiglie della città, una per ogni quartiere. Ogni famiglia accoglierà un diverso autore – tra Lidia Ravera, Andrea Tarabbia, Giuseppe Scaraffia, Michele Mari, Michela Murgia, Diego de Silva e, ancora da confermare, Loredana Lipperini – che la seguirà nella stesura di un racconto, del proprio racconto.

    Il concorso è aperto ad abitanti materani “di qualunque nazionalità, estrazione sociale e culturale, orientamento sessuale, appartenenza religiosa, il cui nucleo sia composto da almeno tre persone legate da vincoli affettivi”. E questa ci sembra un’ottima premessa.

    Matera, Capitale Europea della Cultura per il 2019, dal momento della candidatura ha saputo reagire al rischio di lustrini e pailettes falsificanti con occasioni preziose di riflessione “comunitaria” – parola che qui davvero acquisisce un gran senso, l’unico senso possibile – oltre i confini mediatici, oltre le parvenze da gran cerimonia.  C’è un racconto che, secondo me, illustra molto bene l’atmosfera, i contenuti e le volontà di questi cittadini: è la visita di Tomaso Montanari a Matera nel 2013, quando la nomina era ancora lontana ma l’entusiasmo e la vitalità di questo luogo era sostanziale e riconoscibile.

    La città, ora, con Amabili confini pone un ulteriore, elegante tassello a una grande festa di paese e lo fa con una nuova occasione di conoscenza ed elaborazione da parte di una bellissima provincia italiana che, diciamolo, almeno fino ad ora, sta dando lezioni alle metropoli europee.

    Su Eppela la campagna crowdfunding di Amabili confini

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