Sassiscritti. L’importanza di essere piccoli

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    Per il terzo anno consecutivo l’associazione culturale di Porretta Terme Sassiscritti organizza un festival molto particolare: L’importanza di essere piccoli. Dal 4 al 9 agosto sei piccoli comuni dell’Appenino Tosco-Emiliano ospiteranno incontri letterari e concerti.
    Noi di doppiozero abbiamo avuto l’occasione di conoscere Sassiscritti lo scorso anno, quando furono selezionati per la fase di votazione online del bando cheFare. Quello che ci colpì fu il loro radicamento sul territorio e la loro capacità di produrre eventi culturali di alto profilo “dal basso”, attraverso un’offerta tutt’altro che commerciale in grado di valorizzare, attraverso la qualità dei singoli interventi, luoghi poco noti e comunità locali.

    Se è vero che l’abbandono dei borghi rurali è un fenomeno diffuso e apparentemente inarrestabile, è proprio attraverso esperienze come queste che è possibile andare a riscoprire realtà che si trovano al confine geografico e culturale. Operare una resilienza capace di vincere le dinamiche socio-demografiche centripete di questi luoghi attraverso azioni e pratiche inusuali è una sfida che si può affrontare solo se si è provvisti di lungimiranza, dedizione, energia e risorse. Quello che fa la differenza è spesso la presenza di vere comunità locali che agiscono secondo logiche di partecipazione e condivisione. L’esperienza che Sassiscritti testimonia attraverso L’importanza di essere piccoli è significativa proprio per la capacità di creare occasioni di incontro e conoscenza reciproca tra visitatori e abitanti, grazie a concerti e reading dei protagonisti della scena musicale e letteraria.

    A pochi giorni dall’inizio del festival abbiamo intervistato le due organizzatrici, Azzurra D’Agostino e Daria Balducelli, per farci raccontare qualcosa in più della loro attività.

     

    Raccontateci come nasce la vostra associazione culturale, quali obiettivi avevate in mente quando siete partite e da quali percorsi professionali arrivavate.

    SassiScritti nasce nel 2006 – dall’idea di alcuni amici che già si occupavano di cultura o venivano da esperienze associative precedenti (oltre a noi Luisella Meozzi, giornalista, e Andrea Biagioli, musicista) – per cercare di realizzare delle iniziative che potessero essere create e sviluppate in modo libero secondo un’ idea di cultura non generica ma pensata e condivisa e che potessero, con un po’ di fortuna, anche diventare la base per un lavoro in questo campo. Il cuore della progettualità si sviluppava a partire dai dati di fatto, dai fattori contingenti e vincolanti come il luogo in cui ci si trovava a creare l’associazione, le passioni di chi l’animava (principalmente teatro, letteratura, musica), i mezzi praticamente nulli. La voglia era innanzitutto quella di collaborare tra noi per creare qualcosa di bello e poi vedere cosa succedeva.

    In questi giorni avrà luogo la terza edizione del vostro festival L’importanza di essere piccoli – poesia e musica nei borghi dell’appennino. Potete spiegarci quali sono le caratteristiche della vostra rassegna? Come si svolge e quali sono gli appuntamenti in cartellone?

    Il festival è la punta dell’iceberg di un lavoro annuale che ci vede impegnati in tante attività. Quest’anno si terrà tra il 4 e il 9 agosto e toccherà sei località, ci piace considerare questa rassegna come una “mappatura poetica” delle terre in cui siamo cresciute. Qui i luoghi hanno la stessa importanza degli artisti, come del resto lo hanno gli abitanti che ci ospitano e il pubblico che arriva, al quale cerchiamo di indicare i luoghi dove dormire, come spostarsi, dove trascorrere in maniera serena questa piccola vacanza che magari le persone di “via” si concedono facendo coincidere le loro ferie con i giorni della rassegna.
    Perché crediamo che alla base di questo lavoro i rapporti umani sono fondamentali: non si può parlare di poesia se non si tenta di essere disposti all’altro. Per questo abbiamo inserito anche alcune piccole perle, collaborando con persone che creano delle cose fatte a mano, come le stampe d’arte che la tipografia “Anonima Impressori” di Bologna ha realizzato apposta per il festival, o invitando le amiche di “Sartoria Utopia” (che già vennero anno scorso coi loro libri di poesia cuciti a mano), la ‘capanna editrice’ milanese.

    Venendo al programma: il 4 agosto daremo spazio a voci esordienti (come il cantautore belga Bart La Falaise o il giovane Federico Frascarelli) mentre i 4 poeti hanno tutti meno di 40 anni: Manuela Dago, Franca Mancinelli, Francesca Matteoni, Marco Simonelli, e si troveranno in un piccolo Borgo, Massovrana, vicino al bellissimo lago di Suviana.
    Il 5 saremo sul greto del fiume Reno, nel parco pluviale di Molino del Pallone, con Colapesce e Stefano Dal Bianco a intrecciarsi sul senso del nostro ‘meraviglioso declino’.
    Il 6 ci spostiamo a quasi mille metri, a Suzzano, una frazione del comune di Vergato dove suonerà Giangrande (tra l’altro al momento in tour come chitarrista con Daniele Silvestri) e Anna Maria Carpi leggerà i suoi versi che sanno essere verticali e quotidiani al contempo.
    Il 7 agosto il paesaggio è da fiaba: un bosco di querce secolari dal nome suggestivo, ‘Poranceto’ all’interno del Parco dei Laghi di Suviana e Brasimone, dove la ‘mitologia contemporanea’ della poetessa ida Travi sarà contrappuntata dal canto originario della voce graffiante del cantautore siciliano Cesare Basile.
    L’8 si apre lo scrigno del borgo forse tra i più belli dell’intero Appennino, La Scola, nel comune di Grizzana (quello tanto amato dal Morandi) dove sotto un cipresso plurisecolare che si dice sia stato piantato da San Francesco. Qui si incontrano il premio Viareggio Repaci per la poesia dello scorso anno, Antonella Anedda, e Pino Marino, un cantautore così legato alla poesia da aver vinto il Premio Recanati.
    L’ultima sera si chiude in un borghetto dove fin dalla prima edizione abbiamo collaborato volentieri e fungendo anche da connettore tra due realtà diverse (in un mix molto emiliano) come una proloco e un’associazione parrocchiale: siamo a Capugnano, frazione di Porretta Terme, quello che ne risulta è una festa finale con centinaia di persone. Che quest’anno potranno ascoltare le parole abissali di Milo De Angelis e il lavoro di Umberto Maria Giardini (già noto come Moltheni) il cui ultimo album ‘La dieta dell’imperatrice’ ci è sembrato in qualche modo in consonanza con certe atmosfere dell’autore di ‘Tema dell’addio’.

     

    Perché organizzare un festival così particolare sull’appenino bolognese, in località sconosciute e che lottano contro l’abbandono, e a cosa allude il nome della rassegna?

    Alessandro Borri, uno dei nostri soci, alcuni anni fa mi chiese di organizzare delle serate di poesia in frazioni minuscole (4-5 famiglie) che sono vicino alle nostre case.

    Da un paio di estati come SassiScritti realizzavamo nel locale di mio padre (La Prossima) laboratori ed incontri, appuntamenti in cui si leggeva, si suonava, si parlava…, una sorta di palco aperto. Erano serate in cui la partecipazione delle persone era molto buona  e così le ripetemmo in queste frazioni; beh fu sorprendente assistere all’entusiasmo che traspariva nell’aria:  i piccoli borghi si vestirono a festa, persone di tutte le età misero le seggiole fuori di casa, cucinarono per tutti e si raccolsero intorno alla poesia. Partendo da questa spinta e coltivando anche la bella esperienza che Daria portava dalla Toscana, dopo aver curato con Marco Menini le prime edizioni della rassegna di poesia itinerante “_ai margini del bosco” voluta da Massimo Paganelli e che si svolgeva tra maggio e giugno ad Armunia (Castiglioncello), abbiamo deciso di fare qualcosa insieme cercando di portare anche in Appennino (che poi è la terra in cui siamo cresciute entrambe) quell’atmosfera bella e strana che si era creata nelle colline prossime alla costa etrusca. Quando la Fondazione del Monte rispose positivamente al progetto ‘l’importanza di essere piccoli’ – nome che scelsi per sottolineare come nel piccolo ci sia la possibilità di incontrarsi veramente, di parlare, di andare a piedi e di chiamare tutto per nome – decidemmo di lavorare insieme alla realizzazione di questo strano calendario che mette insieme poeti e musicisti, spesso facendoli incontrare qui per la prima volta.

    Il piccolo poi è una caratteristica imprescindibile delle montagne, l’uomo qui non può far altro che accontentarsi delle conche, delle valli, delle insenature che i monti e i boschi porgono ai loro abitanti: i borghi crescono facilmente in montagna dove davvero non potrai trovare metropoli, e a noi i nostri piccoli paesini piacciono malgrado tutte le critiche che quotidianamente poniamo alla diffidenza tipica delle donne e degli uomini di montagna. Ed è forse solo attraverso lo sguardo trasfigurante dell’artista e del poeta che questa chiusura iniziale può trasformarsi in “apertura”, dal piccolo, insomma, vorremmo che si aprissero orizzonti ampissimi. Per questo abbiamo deciso di estendere la filosofia dei borghi di montagna anche alle valli.

    A noi due, oltre Alessandro e Andrea, si sono aggiunte in questa avventura Lara Monterastelli e Ambrogina Bertone e quello che più conta per noi è che “nel fare” siamo molto uniti.

    Lo scorso anno avete partecipato alla prima edizione di cheFare e per poco non siete arrivati in finale (per chi non lo sapesse, cheFare è articolato in tre fasi di selezione e la seconda avviene attraverso il voto on-line) Oltre al comprensibile richiamo del premio in palio quali motivi vi hanno spinto a partecipare?

    Quando abbiamo visto il bando ci siamo dette che la cosa fondamentale era fare davvero quello che ci interessa, non scrivere un progetto ‘ad hoc’ secondo canoni esterni ma portando avanti quello che davvero ci preme. Certo avere un bacino economico da cui partire avrebbe permesso di strutturare le esperienze in modo più a lungo termine e magari garantendo una continuità lavorativa e una sicurezza economica alle persone che avrebbe potuto aprire nuovi scenari anche di introiti economici. Quello che lamentiamo è infatti che sebbene noi ci si muova a livello professionale la dignità del lavoro è assolutamente calpestata, se vogliamo ritenere che la dignità del lavoro venga dal compenso economico. Quello che facciamo ci piace e crediamo di avere delle cose da portare avanti e cerchiamo di difenderle con tutti i mezzi che possiamo, ma è pur vero che ad oggi la sensazione è che le cose le si facciano finché ce lo si può permettere (e chi se lo può permettere). cheFare ci è sembrato un modo per chiarirci le idee sui nostri percorsi articolando nero su bianco una progettualità pluriennale, capendo le forze di cui disponiamo e anche cercando di individuare un percorso nel futuro. Questo è un punto comunque utile. Resta inteso che 100mila euro possono essere un buon incentivo a partecipare a qualcosa in cui presentare i propri progetti.

    Avete presentato a cheFare un progetto, Custodi, che cercava di strutturare una programmazione culturale continuativa, capace di coprire tutto l’anno, a partire dalle iniziative collegate al festival. Ce ne volete parlare?

    ‘Custodi’ voleva strutturare in un ‘esperienza unica e condivisa una serie di attività che in parte abbiamo portato avanti. Segnalo ad esempio un laboratorio teatrale con e per donne migranti, sull’Antigone’, e che ha portato a qualcosa di bellissimo e forse unico: per la prima volta nelle nostre zone sono venuti a teatro e si sono seduti tra gli italiani decine e decine di migranti provenienti da tutte le parti del mondo: Cina, Ucraina, Romania, Marocco… e alla fine tutti avevano portato qualcosa da mangiare, abbiamo allestito delle tavole fuori dal teatro e il tutto si è trasformato in una festa di piazza. È stato molto bello. “Custodi”, se avesse vinto, puntava soprattutto a una cosa: a dare posti di lavoro. Quindi quei soldi sarebbero serviti a pagare le persone in modo che potessero lavorare assiduamente ai progetti, magari trovando altri fondi, facendo sì che ciò che già ci impegna durante l’anno diventasse l’occupazione principale e quindi potesse crescere, aprirsi a collaborazioni con altre parti d’Italia. È difficile naturalmente procede sul lungo periodo se ogni progetto dipende da finanziamenti incerti e se le persone non possono dedicarsi esclusivamente a un’attività come un tempo pieno stipendiato (facendo in modo magari di trovare economie anche ragionando sul turismo di qualità che secondo noi è qualcosa da non escludere quando si parla di cultura).

    “Custodi” è stato tra i progetti più votati, sappiamo che vi siete mobilitate in prima persona per raccogliere voti e che avete potuto contare anche sull’appoggio spontaneo di molti vostri sostenitori. Crediamo che le azioni messe in piedi per far conoscere il vostro progetto rappresentino un tratto peculiare della vostra capacità di interagire con gli abitanti del territorio, vi va di raccontarci come avete lavorato?

    Prima di tutto crediamo che una delle frasi usate nel presentare il progetto si sia in un certo senso verificata: “una comunicazione che non faccia leva solo sul web, sulla volatilità, su eventi spot, ma che sappia fare innamorare”.

    Le persone a cui abbiamo chiesto aiuto per diffondere la notizia della nostra partecipazione a cheFare, sono persone che ci conoscono, che sanno come lavoriamo, quindi, al di là dei contatti su social network e via mail, come credo abbiano fatto tutti, abbiamo allestito dei banchetti e siamo andati in tutte le manifestazioni pubbliche che abbiamo trovato in zona. Abbiamo presentato a tutti il progetto (nelle scuole, all’anpi, alle associazioni, ai parenti, agli amici) e le persone hanno aderito entusiasticamente. La cosa più interessante è stata prendere contatto con persone molto lontane dalle nostre attività che però ci hanno sostenuto con entusiasmo. In questo modo abbiamo potuto conoscere meglio tante realtà di cui magari avevamo solo sentito parlare e sicuramente ci siamo fatti conoscere.

    Importantissimo, poi, è stato il contributo di molti artisti che ci hanno regalato piccoli spot o disegni o pensieri divulgandoli sui loro siti e non solo.

    La vicinanza di intenti, quell’innamoramento di cui sopra, e la volontà seria, l’esigenza, di provare a “fare” qualcosa , ha fatto sì che la nostra associazione, che conta un pugno di soci attivi,  sia stata in lizza con realtà molto grosse. Certamente abbiamo lavorato in 3 o 4 quasi esclusivamente su questo per il tempo delle votazioni, ma la cosa sorprendente è che ancora oggi, quando andiamo in giro per l’Italia, incontriamo persone che ci dicono: “Io vi ho votato!”

    Per chi volesse saperne di più sulla rassegna, rimandiamo a questo articolo.

    Questo articolo è stato pubblicato da doppiozero

    Image by Freepik

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