Reinventare il ruolo della rigenerazione urbana. Il nuovo bando New Fabric

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    Quanti profili professionali possono contare i rigeneratori urbani sulle dita di una mano? Prendiamoci qualche minuto e facciamo lo sforzo di capire quante delle professioni tradizionalmente riconosciute possono rientrare nelle cinque dita della nostra mano.

    È una domanda che si sta insinuando già da qualche mese, senz’altro da quando sono iniziati gli incontri promossi dai territori per la presentazione di “Leggere la rigenerazione urbana – Storie da “dentro” le esperienze (http://www.pacinieditore.it/leggere-rigenerazione-urbana/)” di Pacini Editore. Lo è stato perché siamo partiti da un’intuizione, perché la risposta di chi ha partecipato è stata generosa e perché ci siamo ritrovati veramente “dentro” quei contesti che, grazie al primo bando (http://www.pacinieditore.it/print-raccontare-trasformare-bando/), hanno raccontato storie di trasformazione di luoghi e di comunità attraverso azioni di vero e proprio riscatto territoriale.

    Il viaggio intrapreso dalla collana New Fabric di Pacini Editore, che ha promosso la call PRiNT. Raccontare per trasformare, ha avuto il modesto pregio di mettere assieme vissuti comuni che – a vario titolo – si occupano di rigenerazione urbana. Nulla di rivoluzionario per carità! Man mano che si procedeva nelle presentazioni del volume, e nei confronti da queste generati, ci si dava tuttavia conto dell’urgenza di dare una forma e un riconoscimento alle tante persone che agiscono per riportare spazi perduti a nuova vita.

    E nel farlo prestare attenzione a un processo partecipato, condiviso, abilitante delle tante competenze presenti sui territori, in grado di dare una risposta a lungo termine e che soprattutto non sia superficiale e frutto di retorica. Insomma, ci si è resi consapevoli che la vera rigenerazione cui stiamo assistendo oggi nel nostro Paese non è tanto quella degli spazi, ma soprattutto quella che si sta realizzando nelle vite dei tanti professionisti che oggigiorno non si riconoscono più nelle forme classiche di definizione del proprio lavoro o che, al contrario, ne riconoscono troppe e che questo eccesso di definibilità del proprio agire conduce a inevitabili forme di schizofrenia identitaria.

    Architetti destinati a pensare gli spazi in funzione di quelle stesse comunità che organizzano e sociologi che perdono la propria vocazione di analisi teorica per dedicarsi al ripensamento di edifici industriali abbandonati da anni. Una nuova generazione al centro del cambiamento, come rileva Elena Granata nella sua prefazione al primo volume nato da PRiNT, “a cui sono state chiuse un’infinità di porte che con leggerezza e ironia, con un vitalismo fuori dal comune, si sta mettendo in gioco: è cooperativa e collaborativa per cultura, crede nella partecipazione e nella possibilità di allargare il numero degli attori attorno al tavolo, crede nella ibridazione dei campi”.

    Proprio nel fenomeno della rigenerazione urbana e dei suoi attori assistiamo a quell’assenza di allineamento al nostro tempo e alle sue pretese che Giorgio Agamben definiva caratteristica propria della contemporaneità. Un’assenza di corrispondenza che scardina il bisogno legittimo di riconoscersi e di ritrovarsi nelle categorie lavorative classiche. Ciò rappresenta un autentico cambio di paradigma della formazione e di intervento professionale sulla morfologia delle città, che hanno bisogno per ripensarsi più in linea con il presente. Per essere più reattive, nel senso più inclusivo del termine, ma allo stesso tempo per garantire spazi di intervento serio a coloro che hanno voglia e capacità di farlo.

    E d’altronde le nostre città sono costellate di immobili abbandonati e di aree deindustrializzate, di beni confiscati alla criminalità e, infine, di spazi pubblici che hanno necessità di ritrovare una loro funzione relazionale. Non solo per ridare un senso di appartenenza (ownership) del luogo rispetto al contesto, ma anche per rinsaldare rapporti spesso indeboliti nella fiducia tra la cittadinanza e le amministrazioni pubbliche.

    Ragionare sulle buone pratiche della rigenerazione urbana è stato necessario, ma non ha completato la visione d’insieme sul fenomeno. La chiave di lettura ce l’ha offerta Paolo Cottino in occasione del lancio della seconda call, che con la casa editrice abbiamo fatto in occasione del Salone internazionale del libro a Torino, quando ha lanciato la riflessione sul bisogno di “reinventare” il ruolo della rigenerazione urbana rispetto al passato. Trovare nuove strade, nuovi approcci, strumenti innovati e innovativi e soprattutto leggere in maniera nuova le biografie professionali emergenti. Percorsi lavorativi che rifuggono approcci tradizionali a favore di ricostruzioni multigrafiche, stratificate in una miriade di competenze formali, informali e spesso totalmente casuali, che si innestano in contesti che urlano la loro voglia di riscatto.

    È stata proprio Eliana Messineo, con la sua consueta sapienza creativa e in occasione della presentazione del volume a Palermo, ad aver evocato la dimensione della “geografia dei desideri” per cercare di creare unione e riconoscibilità fra le molte esperienze di rigenerazione che si incontrano disseminate nel Paese. Ed è forse proprio grazie a questa sollecitazione se la collana ha deciso di dedicare una call con un titolo che guarda così lontano: reinventare il lavoro, aggregare persone, rigenerare comunità. Niente di più immediato e allo stesso tempo così complesso. “Tu di cosa ti occupi?”. È la domanda che tradizionalmente manda in crisi quelli che definiamo innovatori e rigeneratori.

    A questa domanda spesso è difficile rispondere. Infatti il più delle volte vengono utilizzate definizioni in cui i rigeneratori stanno stretti o che non li rappresentano totalmente. Le nuove professioni parlano e dicono molto di più di definizioni imprecise o non adatte a esprimere tutta la complessità del nostro tempo e la ricchezza delle aspirazioni, dei sogni, dei progetti di questi nuovi lavoratori e costruttori di comunità. I nuovi profili professionali portano con sé storie che parlano di comunità, rigenerazione, immaginazione, lavoro, nuove economie.

    Una nuova call dunque per poter dare voce a tutto questo, una nuova occasione per mettere assieme racconti personali sull’evoluzione della professione (propria o altrui) contestualizzata a progetti che riguardano l’innovazione sociale e la rigenerazione, indicando quali siano stati i criteri di transizione da un lavoro tradizionale ad uno “innovativo”, i risultati della nuova professione e le prospettive future. La nuova call PRiNT è rivolta a esperienze generative che si ritiene opportuno far circolare anche nel dibattito nazionale sulle politiche del cambiamento e dello sviluppo dei territori che siano fondate su fiducia e relazioni collaborative.

    Tutti gli interessati e tutte le interessate (persone singole, associazioni, cooperative, consorzi, fondazioni, enti pubblici, enti di ricerca) potranno inviare una proposta da 3.000 battute (spazi inclusi) entro il 30 luglio 2018 all’indirizzo newfabric@pacinieditore.it. Le proposte verranno lette e vagliate sulla base della linea editoriale del nuovo volume della collana New Fabric da una commissione interna alla casa editrice fino al numero di 20 contributi. A questi verrà chiesto di sviluppare il proprio racconto in 20.000 battute (spazi inclusi) da sottoporre alla casa editrice entro il 15 ottobre 2018 all’indirizzo newfabric@pacinieditore.it. Entro il 31 dicembre 2018 verranno individuati i 10 contributi che andranno a comporre il nuovo volume della collana New Fabric.

    Link alla call: http://www.pacinieditore.it/call-print/


    Immagine di copertina: ph. Avery Lewis da Unsplash

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