A marzo del 2020, un gruppo di 292 scienziati italiani scrisse una lettera aperta al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Tra i firmatari c’erano i responsabili di alcuni dei più importanti centri italiani di ricerca biotecnologica e clinica, oltre a esperti in test molecolari, in virologia e in microbiologia. Proponevano un piano per potenziare le capacità diagnostiche in fatto di Covid-19 nel Paese, sfruttando il potenziale di centri di ricerca universitari e offrendo i propri laboratori e il proprio personale senza costi aggiuntivi.
All’epoca, l’Italia era alle prese con tassi di mortalità in rapida crescita e ospedali sotto pressione, nonostante un severo lockdown su scala nazionale. I pazienti sintomatici, per non parlare dei loro contatti, dovevano attendere diversi giorni per un tampone. Ma la richiesta rimase inascoltata. “Abbiamo ricevuto soltanto notizie informali da rappresentanti del governo, che sostenevano che la proposta era irrealizzabile», ricorda Andrea Graziani, professore al Dipartimento di Biotecnologie Molecolari all’Università di Torino e tra i promotori della lettera.