Respingere la ferocia, non i migranti

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    Attualmente vi sono nel mondo 65 milioni di persone che hanno lasciato le loro comunità di origine: fra questi, 21 milioni di rifugiati, 3 milioni di richiedenti asilo e 40 milioni di persone profughe all’interno del proprio paese. Il numero di rifugiati e migranti che dall’inizio dell’anno hanno raggiunto le coste europee ha superato la soglia delle 300 000 persone, secondo i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), meno rispetto ai 520 000 arrivi via mare registrati durante i primi nove mesi del 2015, ma più dei 216 054 arrivi registrati durante tutto il 2014.

    Questi numeri ci dicono che la cosiddetta «emergenza migranti» è numericamente meno drammatica di quanto i media (almeno, alcuni media) e i governi vorrebbero far credere.

    Gli arrivi in Italia di quest’anno seguono lo stesso andamento dell’anno scorso, con l’arrivo di 130 411 rifugiati e migranti nel corso del 2016, e 132 071 nel corso dei primi nove mesi dell’anno precedente. Tuttavia, sono sempre di più le persone che, dopo essere arrivate in Italia, rimangono nel nostro paese: ad oggi, le richieste di asilo sono più che raddoppiate rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Oltre 158 000 persone sono attualmente ospitate in strutture di accoglienza italiane.

    Diversi sono i paesi d’origine di chi viene accolto, tra cui: la Nigeria, che da sola rappresenta il 20 per cento, seguita dall’Eritrea con il 12 per cento.

    Nei paesi del Mediterraneo sono cinque le nazionalità più rappresentate: Siria (30 per cento), Afghanistan (16 per cento), Iraq (10 per cento), Nigeria (7 per cento), Eritrea (5 per cento).

    Nei 520 000 arrivi via mare del 2015 si sono registrati 3711 morti, mentre su 300 000 arrivi del 2016 i morti sono stati 3211: dunque, gli arrivi diminuiscono ma i morti aumentano.

    Questa drammatica situazione, difficile da definire («scandalosa», «inaccettabile», «inumana») sottolinea l’urgente necessità che gli Stati aumentino i canali di ammissione per i rifugiati, tra cui il reinsediamento, la sponsorizzazione privata, il ricongiungimento familiare e le borse di studio per studenti, fornendo così delle alternative ai viaggi pericolosi gestiti dai trafficanti.

    Avviene, invece, il contrario: un anno fa l’Unione Europea (Ue) e gli Stati membri hanno concordato l’accoglienza di 160 000 richiedenti asilo arrivati in Grecia e in Italia verso altri paesi europei ma, finora, meno di 5000 sono stati trasferiti dalla Grecia (3791) e dall’Italia (1156), ossia solamente il 3 per cento del target fissato.

    Una emergenza manipolata

    Ecco dei dati che non raccontano molto di un’epocale emergenza migranti in Europa, ma piuttosto di un epocale tradimento da parte dell’Europa dei più basilari valori di umanità, tolleranza, solidarietà. Un flusso migratorio che, con precedenti storici ben più significativi e ampiamente giustificato dalle gravi condizioni in cui versano milioni di abitanti dell’Africa e del Medio Oriente, ha trovato o risposte drammaticamente inadeguate, o non risposte o, anche e troppo spesso, risposte violente e xenofobe.
    Possiamo dunque affermare che:

    –  l’Europa riceve un numero relativamente modesto di migranti se confrontato con i numeri riscontrabili in paesi extra europei. Gli Stati più poveri ospitano più rifugiati. La direttrice di Oxfam International (una confederazione di diciotto organizzazioni che operano in novanta paesi), Winnie Byanyima, sottolinea come l’86 per cento dei rifugiati sia oggi ospitato in paesi a basso reddito, come il Libano o la Giordania e molti Stati africani. «Almeno un terzo dei 24,5 milioni di rifugiati nel mondo è ospitato nei paesi dell’Unione Africana», sottolinea la Byanyima, «un’area che conta per appena il 2,9 per cento dell’economia globale»;

    –  l’Italia non accoglie un numero considerevole di migranti anche se deve confrontarsi con la riluttanza e spesso la chiusura di alcuni paesi confinanti;

    –  i timidi tentativi di promuovere un’accoglienza equa sul piano geografico ha trovato resistenze e sabotaggi ingiustificabili, non solo da parte di numerosi amministratori locali ma anche in comunità conquistate dall’allarmismo identitario e dalle deliranti paure a esso connesse (basti pensare ai «nuovi eroi della Resistenza contro la dittatura dell’accoglienza», come sono stati definiti dalla Lega nord i 4000 cittadini di Goro che hanno costruito delle barricate per bloccare l’invasione di 11 ragazze straniere);

    –  l’informazione sulla questione dei migranti è insufficiente, spesso manipolata e mistificante: non vengono quasi mai forniti dati precisi e documentati ma si forniscono piuttosto statistiche imprecise, inventate, incongrue. L’informazione sulle vigenti leggi della Repubblica è ignorata, così come qualunque riferimento alle convenzioni internazionali;

    –  si è promosso, purtroppo con un discreto successo, un «allarme immigrazione» basato su paure e fantasmi e non su informazioni affidabili: si allude di continuo a un aumento della criminalità causato dai migranti – che tuttavia è ben lungi dall’essere dimostrato –, si paventa un rischio malattie, si agita lo spettro della competizione fra italiani e migranti nell’accesso al lavoro, si racconta di costi faraonici per l’accoglienza. Nell’immaginario xenofobo, chi viene accolto si trastulla sul bordo di piscine hollywoodiane, bevendo costosi vini pagati dal povero contribuente italiano. Interessante osservare che più le comunità locali sono state a contatto reale con gruppi di migranti più la tolleranza, la solidarietà e l’accoglienza so- no aumentate, mentre più le comunità sono distanti dal problema più fanno breccia paure e paranoie;

    –  i noti casi di generosa accoglienza di Lampedusa e di Riace 
in Calabria sono «casi» interessanti che mostrano come le comunità locali, quando non invitate a esercitare la ferocia, sono invece disponibili a esprimere solidarietà;

    –  le esperienze e le pratiche di accoglienza messe in atto da amministrazioni locali, da organizzazioni non governative senza fini di lucro, da singole comunità o famiglie sono molte di più di quanto si pensi e di quanto non si voglia far credere.

    L’informazione è prodiga di dettagli quando un migrante commette un reato, mentre è scarsamente interessata a raccontare gesti di accoglienza e di solidarietà da parte di una famiglia di italiani, di un piccolo comune o di un’organizzazione privata.

    Tuttavia non si tratta solamente di fare riferimento a «valori» comuni di umanità e solidarietà (termini forse un po’ vaghi e soprattutto dal significato flessibile a seconda delle convenienze), ma si deve anche fare riferimento a elementi di diritto internazionale o derivati da molti accordi ratificati sotto l’egida delle Nazioni Unite. I «valori» infatti sono spesso relegati fra le virtù astratte che devono essere enunciate ma possono essere tranquillamente ignorate. Gli accordi e le convenzioni realizzati sotto l’egida delle Nazioni Unite hanno, rispetto alla enunciazione retorica dei «va- lori» umanitari, almeno il vantaggio di essere più cogenti per i governi dei paesi che li hanno ratificati: per esempio, la Convenzione sui rifugiati del 1951, le numerose convenzioni sui diritti umani e, in generale, il cosiddetto «diritto umanitario».

    Il 19 settembre 2016 tutti i rappresentanti dei governi che costituiscono le Nazioni Unite hanno approvato la Dichiarazione di New York sui rifugiati e i migranti. La Dichiarazione riconosce che migranti e rifugiati sfuggono alla guerra, alla violenza, alle persecuzioni, alle violazioni sistematiche dei diritti umani, agli e etti avversi dei cambiamenti climatici, ai disastri naturali, alla povertà. Dunque, la Dichiarazione di New York non «classigica» rifugiati e migranti creando pericolose categorie che «relativizzano» i diritti di accoglienza, ma riconosce che, qualunque siano i motivi che hanno originato la migrazione e la fuga, tutte queste persone godono di alcuni diritti fondamentali. Malgrado le numerose e giuste critiche mosse alla Dichiarazione di New York, ritenuta da molte organizzazioni non governative (Amnesty International, Médecins sans Frontières, Oxfam) troppo vaga e troppo poco «costringente» e impegnativa per i governi – la dichiarazione non è vincolante per nessuno degli Stati firmatari –, essa può tuttavia servire come testo di riferimento per comprendere la distanza abissale fra quanto i governi hanno concordato a New York e quanto in realtà fanno quando confrontati con i flussi di migranti e rifugiati: non dimentichiamo la vergognosa chiusura degli spazi europei realizzata grazie all’accordo Ue-Turchia del marzo 2016.

    Nella Dichiarazione di New York gli Stati si assumono impegni come la lotta allo sfruttamento, al razzismo e alla xenofobia (nonostante questi impegni siano quotidianamente violati da molti governi, come per esempio l’Ungheria, o irrisi e disprezzati da molti politici con ambizioni nazionaliste, come nel caso di Marine Le Pen in Francia e di Matteo Salvini in Italia). La Dichiarazione prevede inoltre il salvataggio delle persone in fuga e la garanzia di procedure di frontiera eque e in linea con il diritto internazionale. Altri impegni riguardano la promozione dell’istruzione per la prima infanzia, oltre a quella primaria e secondaria, e la creazione di sistemi per favorire l’accesso al reddito per i rifugiati e le comunità ospitanti. L’enfasi viene posta anche sull’aumento delle opportunità di reinsediamento o di altre forme di ammissione in paesi terzi.

    L’«allarme sull’emergenza migranti» non solo ha promosso e diffuso un linguaggio sempre più feroce e violento sui social network, sui media e in politica ma distorce i dati reali, enfatizza i problemi, incentiva le soluzioni populiste e nasconde quelle sensate, ragionevoli, civili, umane.

    Respingere la ferocia, non i migranti

    Tutti coloro, e sono tantissimi, che non accettano passivamente questa cultura dell’emergenza e della paura non sono uniti dall’appartenenza a un partito politico, da un’ideologia o da una fede, ma sono divisi, dispersi e frammentati, sono spinti da motivazioni differenti e non si riconoscono in un ideale comune. Le bandiere della xenofobia, dell’intolleranza, della paranoia sociale, dell’egoismo, della violenza verbale hanno un numero crescente di vessilliferi.

    Ci aspetta un lavoro duro e un cammino lungo e periglioso, se vogliamo istituzionalizzare la cultura dell’emergenza e promuovere la cultura dell’accoglienza e della solidarietà.

    Si tratta di compiere, come diceva Franco Basaglia, una «lunga marcia» attraverso le istituzioni, le legislazioni, le statistiche, le normative, le opportunità pubbliche e private. Si tratta di comprendere come organizzarsi per tornare a fare politica.


    Pubblichiamo un estratto dal volume Souq Annuario 2017. Constrastare la ferocia urbana (Il Saggiatore) a cura di Marzia Ravazzini e Benedetto Saraceno.

    Note