Conoscere il pubblico dei musei: dalla teoria alla pratica

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    La conoscenza del pubblico costituisce oggi un elemento strategico per la messa in discussione della relazione fra musei e società, nonché per lo sviluppo di progettualità in risposta alla necessità di rinnovare le organizzazioni in ottiche di rilevanza sociale.

    Se la letteratura di settore ha ormai generato un’ampia produzione di contributi sul tema, anche nel nostro Paese e a cura di studiosi autorevoli, come Ludovico Solima, Alessandro Bollo e Alessandra Gariboldi, il riscontro nella pratica appare più timido. O meglio, varie sono le indagini messe in campo in diversi contesti, dai musei del Ministero alle singole realtà, ma stentano a decollare visioni di rinnovo programmatico in grado di integrarne gli esiti; specialmente quando l’accento metodologico delle ricerche cade sulla volontà di comprendere la qualità dell’esperienza di visita, anziché tradurla in “semplice” misura di impatto economico, numero di biglietti venduti e possibili segmentazioni.

    Da queste premesse e in collegamento con le riflessioni precedentemente proposte sulla comunicazione nei musei, ritengo interessante considerare le sperimentazioni avviate presso la Fondazione Querini Stampalia di Venezia, come caso studio di innovazione culturale che presenta spunti trasferibili ad altre realtà.

    Uno studio condotto in collaborazione con ICOM Italia presso il Museo della Fondazione nel 2015, ha portato alla luce i punti di forza e le criticità del percorso espositivo. L’obiettivo dell’indagine era di carattere qualitativo e volto quindi a valutare le modalità di fruizione, il grado di interazione con le collezioni e la comunicazione interna.

    Le osservazioni emerse si collocavano in linea con il dibattito attuale sulla comunicazione nei musei, evidenziando come l’interpretazione storico artistica – impiegata come unica dimensione di senso – costituisca un freno all’accessibilità. Fra gli aspetti che suscitano maggior interesse per i visitatori, si trova infatti una sala che espone opere raffiguranti scene di vita veneziana, come feste popolari, giochi e tradizioni locali.

    Non è il carattere storico-artistico della collezione a motivarne l’apprezzamento, bensì la possibilità di riconoscere nei soggetti raffigurati la cultura sociale del luogo, creando dei collegamenti con l’attualità. Individuare nelle opere luoghi appena visitati (come Campo Santa Maria Formosa o Rialto) e Feste popolari (come il Carnevale o il Redentore) suscita quella famigliarità che è necessaria per stimolare interesse e volontà d’approfondimento. Spesso però, sono i racconti in prima persona di chi vive la città, come i volontari del Museo, a rispondere meglio alle curiosità dei visitatori. In una città particolarmente toccata dal turismo, entrare in contatto con la vita locale attraverso questo tipo di confronto acquisisce un valore unico, rispondendo alla prima motivazione di visita al museo e che, secondo i dati, consiste nel conoscere la storia e la società del luogo.

    Nell’ambiente, sono poi le stanze che ricreano l’aspetto di dimora (come una sala da pranzo e una camera da letto) a suscitare interesse, proprio poiché connesse a quell’aspetto di ‘vita’ difficile da scorgere a Venezia.

    Nonostante i materiali comunicativi del museo costituiscano un fattore critico, le possibilità di sviluppo a partire dai dati raccolti ne evidenziano le potenzialità.

    Potrebbero essere coinvolti attivamente comunità e cittadini per progetti partecipati volti a rileggere le componenti sociali delle collezioni? Potrebbero le immagini di Venezia nella storia recente, unite alle memorie personali di chi vive il contesto, fornire nuove chiavi di lettura per il museo? Un’istituzione culturale, dovrebbe avere il compito di stimolare riflessioni critiche e costruttive sul contesto sociale in cui opera?

    Probabilmente, tanto alla Querini quanto nella gran parte delle istituzioni che conservano opere d’arte collegate al territorio, il futuro dell’interpretazione si gioca sulle possibilità di creare connessioni significative fra le collezioni e il dibattito d’attualità, stimolando anche conversazioni di carattere socio-politico.

    Il primo studio sul pubblico avviato presso Fondazione Querini Stampalia viene appoggiato e condiviso con la Direzione e la figura Responsabile del Museo (per la progettazione e lo svolgimento); mentre l’organico viene coinvolto durante le fasi finali.

    Questa dinamica, necessaria per l’avvio dello studio, impedisce probabilmente la trasformazione delle rilevazioni osservate in nuove progettualità, evidenziando l’importanza del coinvolgimento trasversale dell’organizzazione durante lo sviluppo dei progetti.

    Ciononostante, l’interesse rilevato per il carattere socio-culturale delle collezioni, diventa punto di partenza per generare una serie di eventi volti a coinvolgere il pubblico in modo nuovo.

    Dal 2016, Fondazione Querini Stamapalia organizza approfondimenti sul tema delle Feste Popolari attraverso la modalità narrativa dello storytelling, dove il racconto delle festività avviene creando connessioni fra le opere del museo e i documenti normalmente conservati nei depositi della biblioteca. Ed ecco che unitamente all’offerta di nuove esperienze per i pubblici, internamente si mettono in discussione le tradizionali dinamiche organizzative, che vedono personale di Museo e Biblioteca divisi in comparti distinti.

    Il secondo sul pubblico sviluppato alla Fondazione, viene avviato in collaborazione con il personale di Biblioteca e coinvolge studenti dell’Università Cà Foscari in attività di comunicazione, rilevazione e analisi dei dati. La sensazione è quella di creare opportunità di formazione su temi di cui l’offerta universitaria è sprovvista e di nutrire al contempo l’organizzazione con competenze e stimoli freschi.

    Il processo di conoscenza del pubblico prosegue, germinando in parallelo iniziative in risposta (dall’implementazione dell’infografica allo sviluppo di nuovi progetti). Nel 2016, una ricerca finanziata dal Fondo Sociale Europeo condotta con le università del territorio (Ca’ Foscari e IUAV di Venezia), consente d’intervenire sul tema dell’interpretazione e del coinvolgimento del pubblico in maniera strutturata. Il lavoro segue una direzione triplice.

    Da un lato, crescono i progetti di approfondimento verso le caratteristiche della domanda, dall’altro, si creano opportunità di formazione sull’accessibilità per studenti e professionisti. Sullo sfondo, ma in misura sempre più rilevante, l’organizzazione coinvolge personale, volontari e collaboratori, in attività sperimentali di narrazione delle collezioni.

    Il network con le università si consolida, coinvolgendo docenti, ricercatori e studenti in progetti di valore per le parti e l’istituzione. La collaborazione con l’ Università Ca’ Foscari di Venezia (Dipartimento di Management), la Collezione Peggy Guggenheim, Palazzo Grassi e Punta della Dogana e Spazio B**K, genera un corso sulla scrittura di didascalie che richiama diversi professionisti a Venezia. Mentre grazie alla partnership con la libreria il Libro con gli Stivali, vengono approfondite internamente nuove modalità di narrazione delle collezioni.

    Nel clima di cambiamento che investe il settore culturale da Nord a Sud, il caso Fondazione Querini Stampalia emerge come realtà in movimento, presentando modalità di sviluppo trasferibili ad altri contesti.

    Rispetto alla possibilità di tradurre i dati derivanti dall’analisi dei pubblici in nuove progettualità, appare come sostanziale il coinvolgimento dell’organizzazione, tanto più quando all’analisi delle criticità subentra l’individuazione di nuovi percorsi per valorizzare il capitale umano interno e sostenere il cambiamento e l’innovazione attraverso la formazione di nuove professionalità.

    Dal punto di vista della sostenibilità economico-sociale delle iniziative, si evince la sostanzialità delle relazioni sul territorio per la condivisione di competenze, valori e visioni di sviluppo strategico. Trattasi nel caso specifico perlopiù di università e industrie creative, ma potrebbero estendersi nel futuro ad aziende, soggetti del terzo settore e associazioni; come rivelano diverse esperienze di progettazione partecipata e dal basso condotte sul territorio italiano.

    Infine, si scorge l’intima relazione che lega lo sviluppo sociale dell’organizzazione alla sua sostenibilità economica, due componenti chiave per l’innovazione culturale che saranno oggetto del prossimo articolo.

    Note