L’arte ci aiuta a sopportare l’isolamento, per questo abbiamo bisogno di un recovery fund culturale

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    La solidarietà si è messa in moto anche in campo artistico in questa stancante situazione di emergenza. Se da una parte musei grandi e piccoli si sono fin da subito ingegnati per continuare la loro missione culturale attraverso gli strumenti social, gli artisti contemporanei, soprattutto gli street artist, hanno dimostrato di voler essere uno degli attori di questa fase storica. Come?

    Partecipando alla vita delle loro città, mettendo all’asta opere per finanziare ospedali o altri progetti di beneficienza legati all’emergenza e facendo quello che sanno fare meglio: rappresentare, dando una lettura di questo nostro momento di disagio, per continuare a nutrire l’immaginazione e stimolare la riflessione nelle persone.

    Su queste due linee si muove l’arte durante l’emergenza: garantire conoscenza e diffusione delle opere e partecipare alla vita collettiva, raccogliendo fondi e raccontandola.

    I musei italiani e stranieri si sono ingegnati per permettere agli utenti di continuare a sognare, interagire, divertirsi, imparare e stupirsi tramite le loro collezioni. Hanno provato a governare la fragilità della vita collettiva per trasformarla in risorsa.

    Il sistema dell’arte istituzionalizzata ha trasferito alcune attività su internet, creando tour virtuali nei musei, ampliando il catalogo di opere sui siti, continuando l’attività di didattica dedicata ai bambini (che aiuta anche i genitori a gestirli). Queste iniziative hanno provato ad alimentare la trasformazione della fruizione culturale ed hanno dato vita ad un nuovo modo di pensare la fruizione, prima assolutamente marginale, ma che si può immaginare diventerà la modalità “ordinaria” di accesso al patrimonio culturale, almeno nella prima fase del post-epidemia, quando viaggiare ancora sarà sconsigliato e le persone reticenti a farlo.

    I veri protagonisti dello scambio tra mondo della cultura e cittadini sono i social media

    I veri protagonisti dello scambio tra mondo della cultura e cittadini sono però i social media, sia per la comunicazione fatta direttamente dai vari istituti (spiegazioni di opere e luoghi fatte da curatori, personale del museo, direttori) sia per le iniziative che hanno coinvolto, con notevole successo, il pubblico sui social media.

    Le iniziative sono le più varie ma hanno in comune il voler avvicinare le persone alle collezioni e ai luoghi culturali con linguaggi differenti da quello classico di spiegazione, più affini alla leggerezza dei mezzi e più vicine alle sensibilità degli utenti. (Qui per le iniziative promosse dagli istituti Mibact).

    Diverso e complementare è invece il ruolo dell’arte contemporanea in generale e degli street artist in particolare. Questi hanno raccontato e interpretato la crisi attraverso le loro opere regalate ai muri delle città ma anche continuando a veicolare i loro messaggi su internet perché l’arte in strada non è più facilmente fruibile. (qui un servizio di focus sull’arte di strada dedicata alla quarantena). Ma sono stati soprattutto protagonisti della solidarietà verso ospedali ed enti no profit.

    Lo strumento innovativo utilizzato è stato quello delle aste di beneficienza attraverso Instagram. Gli artisti, da soli o con il supporto delle Gallerie, hanno organizzato su profili o ricorrendo ad # delle aste, i cui proventi non transitano sui loro conti, ma vanno direttamente all’ente o associazione destinataria.

    Queste iniziative testimoniano la solida rete presente nel mondo dell’arte “spontanea” e l’attenzione verso il contesto sociale di riferimento. Se in alcuni casi le iniziative si sono svolte in sostegno di enti nazionali o lontani dal contesto locale di riferimento (ospedale Spallanzani, ospedali civili di Brescia, Croce Rossa), più frequente è stata la dinamica cittadina, la volontà di venire in auto ad un certo territorio con iniziative locali connotate da un forte impatto sociale (come #streetartistperfirenze; #unitiperbologna, a cui hanno partecipato anche tattoo artist) promosse da artisti cittadini, principalmente con la partecipazione di altri artisti cittadini, anche molto noti. Una di queste in particolare (#unitisisvolta) ha il merito di aver promosso un’asta per aiutare il tessuto sociale più debole, quello di cui meno ci si ricorda ma che vive nelle condizioni peggiori, raccogliendo fondi in favore di persone che non hanno una casa, vittime di violenza, tratta, sfruttamento lavorativo o escluse dai percorsi di accoglienza.

    Le aste sono trainate da street artist e artisti già affermati, ma sono anche un modo per arricchire il panorama artistico dando spazio al percorso e al lavoro di artisti meno conosciuti, che hanno così l’occasione di farsi notare, e sono accomunati tutti dalla volontà di rendere l’arte simbolo di speranza, mutuo soccorso e positività.

    L’arte urbana si è messa in moto spontaneamente ed ha fatto ricorso a nuovi spazi di comunicazione

    L’arte urbana si è messa in moto spontaneamente ed ha fatto ricorso a nuovi spazi di comunicazione per adattare vecchi strumenti di solidarietà (le aste di beneficienza) e partecipare dello sforzo collettivo contro l’emergenza sanitaria e la crisi sociale che la segue. La donazione diretta di opere da mettere in asta ha espresso così la volontà di questo mondo di trasmettere valori essenziali come quelli di condivisione, solidarietà e partecipazione. Ma chi aiuta gli artisti? Questa domanda non ha una risposta soddisfacente.

    Il sistema dell’arte è sicuramente uno dei più colpiti dalle misure emergenziali, perché vive soprattutto di relazioni sociali e spaziali, di presenza negli spazi pubblici e di partecipazione. La parte più fragile del mondo dell’arte è costituta da artisti emergenti, spazi no profit e piccole gallerie che una lunga inattività porta a non potersi più sostenere. Le piccole realtà artistiche spesso sono le più dinamiche del contesto cittadino, garantiscono spazi di espressione e sperimentazione ma proprio per il loro non essere legati a filiere strutturate ne comporta la maggiore fragilità. Penso sia alle piccole gallerie che danno spazio ad artisti poco noti, sia agli artisti stessi, che come gli altri hanno dovuto chiudere gli studi e con questi la possibilità di vivere delle proprie creazioni.

    Alcune misure economiche sono state promosse dal Governo per provare a mitigare le conseguenze economiche dell’emergenza sul settore culturale, ma si tratta appunto di contributi simbolici, o comunque distribuiti su una platea amplissima di destinatari. (Qui per un approfondimento, anche su cosa è stato fatto all’estero). Situazione che ha portato l’arte ad aiutare sé stessa, con strumenti di mutuo soccorso tra gallerie e artisti che collaborano con loro, per rilanciare l’arte e sostenere gli artisti, come ha fatto la galleria Rosso27.

    Alcuni artisti hanno spostato sui canali social le vetrine dei loro studi. Lo stesso hanno provato a fare le gallerie, soprattutto le indipendenti, come la Street Levels Gallery, che si stanno organizzando per essere presenti con piattaforme on line per portare avanti la loro missione di cultura, informazione e narrazione dei progetti degli artisti.

    C’è bisogno di un recovery fund culturale

    La digitalizzazione degli spazi permette anche di assecondare le richieste di un pubblico che sembra ancora più interessato all’arte in pubblico Lo spostamento su internet della vita artistica, comprese le aste, ha infatti permesso di venire a conoscenza del fatto che alcune opere di street art si possono comprare. Soprattutto però, resistono consapevoli delle difficoltà che saranno presenti anche dopo la fine dell’emergenza, perché a causa della crisi economica che seguirà a quella sanitaria i compratori di arte potrebbero diminuire e con essi la possibilità di finanziare progetti e fare informazione culturale.

    Queste iniziative nate spontaneamente però non danno una soluzione definita e su larga scala a come sostenere il mondo dell’arte in generale e della street art in particolare. Soluzione che potrebbe essere cercata attraverso l’intervento di quella stessa rete istituzionale ed associativa che ha promosso l’intervento dell’arte a sostegno di chi lotta per contenere il contagio, anche facendo pressione a livello nazionale.

    C’è bisogno di un recovery fund culturale. Nell’America del dopo Seconda Guerra Mondiale e, ancora prima, con il New Deal, l’amministrazione americana aveva previsto incentivi statali per la cultura, perché aveva capito la necessità di vincere anche la guerra culturale oltre che quella sui campi di battaglia. Grazie a quella lungimiranza furono prodotti alcuni capolavori del cinema, come Citizen Kane (Quarto Potere).

    Certo, quella in corso non è una guerra, ma allo stesso modo il sistema paese non può ripartire senza un approccio anche culturale alla ripresa. C’è bisogno di una strategia che coinvolga consumatori di arte e istituzioni, perché l’arte è anche economia e ricchezza e perché dietro ad un’opera c’è una vita.

    Note