Il misterioso successo delle rassegne stampa nell’epoca digitale

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    Nel 2008, la diffusione del principale quotidiano italiano, il Corriere della Sera, era di 630mila copie. Nel 2020, questa cifra è scesa a 260mila: un calo del 59% (dati ADS). Ancora peggiori i numeri di Repubblica, passata dalle 580mila copie del 2008 alle 176mila dell’anno passato (-70%). L’entità della crisi dei quotidiani di carta si è inevitabilmente riflessa sul loro principale canale di vendita, le edicole, che dal 2005 al 2020 sono scese da 42mila a 26mila sul territorio italiano e che in sei casi su dieci realizzano utili inferiori ai 10mila euro annui.

    In un’epoca in cui i giornali di carta – come si usa dire – “non li legge più nessuno”, si registra però il successo delle rassegne stampa che proprio grazie ai quotidiani vivono. E che proliferano anche su canali che dovrebbero guardare ai giornali di carta come a una bizzarra reliquia del passato. Nate in radio e poi approdate in televisione, le rassegne stampa giocano infatti un ruolo cruciale anche sulle testate online, sui podcast e addirittura su social network come Clubhouse o Twitter Spaces, che si sono contesi la rassegna stampa “Fuori dalla bolla” tenuta da Cecilia Sala e Guido Canali. 

    Non è paradossale che i quotidiani di carta siano ancora l’ossatura su cui si reggono format che vivono nel web e nei social? “A un primo sguardo potrebbe sembrarlo, ma in realtà non lo è”, spiega a cheFare Francesco Costa, vicedirettore de Il Post e autore della nuova rassegna stampa Morning. “Sicuramente sono meno letti, ma il loro peso non si misura con le copie vendute: i talk show sono tutti costretti a parlare di ciò che c’è sui giornali, la classe dirigente e i politici leggono i giornali, i TG scelgono le notizie anche sulla base dei giornali e anche i temi di cui si discute sui social riflettono spesso ciò che c’è sui giornali. I quotidiani esercitano un’influenza su tutto il resto del panorama mediatico. È questo che rende interessante scoprire ogni giorno cosa c’è al loro interno e i modi diversi in cui vengono trattate le notizie”. 

    La diffusione dei quotidiani sarà insomma drasticamente crollata, ma lo stesso non si può dire della loro influenza. E così, le rassegne stampa diventano spesso l’unico strumento che permette a un’ampia fetta della popolazione di scoprire che cosa c’è all’interno dei quotidiani: “Sembra quasi che i giornali di carta oggi esistano principalmente per i giornalisti che fanno la rassegna stampa”, scherza Tiziano Bonini, docente di Mass media, cultura digitale e società presso l’università di Siena. “Per quanto vengano comprati poco, sono ancora loro a settare l’agenda del dibattito quotidiano. D’altra parte, le rassegne stampa si tengono ancora tutte di primo mattino, sono quindi ancora legate al rito dell’andare in edicola a comprare il giornale prima di bere il caffé al bar. Solo che in edicola non ci si va più”. 

    La diffusione dei quotidiani sarà drasticamente crollata, ma lo stesso non si può dire della loro influenza

    C’è un altro elemento: in un’epoca in cui la credibilità dell’informazione e dei giornalisti è ai minimi storici, le rassegne stampa sono in grado di ricreare proprio quel rapporto di fiducia: “Nel caso delle rassegne stampa d’autore c’è il filtro di una persona di cui ti fidi ed è anche per questo che diventano un modo interessante per restare aggiornati”, spiega Silvia Bencivelli, giornalista scientifica e conduttrice della rassegna stampa culturale Pagina 3 di Radio 3. “È una funzione ancora più importante nel momento in cui i giornali di carta, almeno in campo culturale, hanno perso la funzione di setaccio e critica vera: sono diventati quasi delle bacheche in cui si trovano solo recensioni positive. Se la qualità generale delle pagine culturali peggiora, il ruolo delle rassegne diventa ancora più importante”. 

    Con un esito inevitabile: “I rapporti di forza tra radio e quotidiani si sono invertiti”, afferma Nicola Lagioia, scrittore e anche lui conduttore di Pagina 3. “Prima un articolo culturale di apertura su un grande giornale avrebbe dettato la linea e noi ci saremmo soltanto adeguati, riportando di mattina presto un dibattito provocato dall’articolo che già iniziava a serpeggiare tra gli addetti ai lavori. Adesso invece è molto difficile che un articolo su un grande giornale scateni da solo il dibattito. Al contrario: di solito se ne accorgono in pochi fino a quando non lo riprendiamo noi in radio. È solo in quel momento che le persone si accorgono di ciò che è uscito su Repubblica, il Manifesto o il Foglio. D’altra parte, quante persone leggono un articolo di cultura su un grande giornale? Cinquemila? Diecimila? Noi lo portiamo a centinaia di migliaia di persone”.

    Francesco Costa: “Se le rassegne stampa crescono, e i giornali calano, gli equilibri di potere inevitabilmente variano”

    Ormai, anche le rassegne stampa sperimentali hanno un’audience in grado di competere con quella di molti quotidiani, se è vero il dato – riportato da Il Sole 24 Ore – secondo cui  la già citata “Fuori dalla Bolla”, su Twitter Spaces, raggiunge ogni giorno oltre 20mila persone. “Se le rassegne stampa crescono, e i giornali calano, gli equilibri di potere inevitabilmente variano”, prosegue Francesco Costa. “Secondo me questa tensione c’è però sempre stata: quando lavoravo per l’Unità, all’inizio della mia carriera, ricordo che alcuni colleghi la sera prima spedivano il pezzo via mail a Dagospia nella speranza che lo riprendessero. E parliamo di oltre dieci anni fa”. 

    Se è vero che la selezione di articoli copia-incollati da Dagospia è spesso ambita da giornalisti ed editori, che ritengono il ritorno in termini di visibilità superiore al danno economico provocato, va anche sottolineata la strana situazione per cui mezzi di comunicazione dalla portata molto superiore a quella dei giornali di carta continuino ad avere bisogno di questi ultimi per trovare materiale da ripubblicare, rimaneggiare o commentare. “È anche per questo che in redazione ci siamo spesso posti una domanda: la rassegna stampa deve farti venire voglia di comprare i giornali o deve fartela passare?”, si chiede Silvia Bencivelli. “Forse l’unica risposta è che una rassegna stampa fatta bene può permetterti di fare a meno di leggere il giornale. Se vogliamo, quello che si instaura è un rapporto paternalistico – a me, che vengo dalla medicina, ricorda quello medico/paziente – in cui sono io autrice della rassegna stampa a scegliere per te un numero limitato di articoli e a dirti che cosa vale la pena leggere”. 

    Il ruolo crescente delle rassegne stampa è dimostrato anche da un altro, cruciale, elemento: alcune rassegne, soprattutto quelle più verticali, non si limitano più a selezionare ciò che esce sui tradizionali quotidiani di carta, ma sono in grado di portare alla ribalta anche articoli di qualità pubblicati da riviste online o addirittura post di social network: “È la radio che dà notorietà a ciò che altrimenti non lo avrebbe”, prosegue Lagioia. “Di conseguenza, è possibile conferire lo stesso peso a un pezzo uscito su un grande quotidiano italiano o su un blog o su una rivista culturale online. Questo discorso può valere anche per dei materiali presi dai social, per esempio quando una scrittrice, un artista o un attore scrivono cose abbastanza articolate direttamente sui loro profili”. 

    Silvia Bencivelli: “La forza della prima pagina è anche di raccontare la linea editoriale del giornale”

    Da un estremo, quindi, rassegne stampa che possono reperire contenuti direttamente sui social network; dall’altro, le tante testate native digitali che ogni mattina pubblicano la gallery delle prime pagine dei quotidiani. Due apparenti cortocircuiti che dicono molto della difficoltà di inquadrare in maniera univoca le direttrici su cui si muove questo mondo: “L’informazione online è un flusso costante, in cui il ciclo delle notizie è perenne”, spiega Francesco Costa. “Le prime pagine dei quotidiani permettono ancora di scattare una fotografia di quel ciclo, di analizzare la scelta delle parole, le dimensioni dei caratteri, la gerarchia delle notizie. Le prime pagine sono una storia nella storia, che permette di vedere come il giornale ha deciso di valutare e pesare le notizie. Sono tutti aspetti che online sono più difficili da indagare”.

    E così, paradossalmente, la prima pagina di un quotidiano di carta si rivela interessante anche per chi un giornale non l’ha mai comprato, diventando un elemento che attira l’attenzione sul web o in radio: “La forza della prima pagina è anche di raccontare la linea editoriale del giornale”, prosegue Silvia Bencivelli. “L’abbiamo visto con Repubblica, in cui i cambi di direttore hanno significato moltissimo. Dai titoloni di Carlo Verdelli che sembravano richiamare quelli del Manifesto, all’arrivo di Maurizio Molinari che ha riportato l’attenzione su altri temi. Le prime pagine ti dicono molto dell’identità del giornale”. 

    Tutto questo non si riesce a replicare online, dove ciò che caratterizza fortemente un giornale sembra parzialmente smarrirsi, rendendo meno interessante anche l’idea di una rassegna stampa basata magari sulle aperture delle homepage: “Una prima pagina dà una gerarchia alle principali notizie, mentre l’homepage è più un flusso in cui la gerarchia è debole e il nostro approccio più simile allo scrolling”, precisa Tiziano Bonini. “La rassegna delle homepage si fa solo nel caso delle breaking news, per esempio per vedere immediatamente come tutte le principali testate online del mondo abbiano coperto in tempo reale una grande notizia”.

    A questo punto, è abbastanza evidente quali siano gli elementi principali del successo delle rassegne stampa: la perdurante influenza dei quotidiani, su cui spesso le rassegne ancora si basano, e la capacità dei giornali di scattare, con le loro prime pagine dalle diverse sensibilità, un’istantanea di ciò che di importante è avvenuto. L’altro elemento di successo è rappresentato dal rapporto di fiducia che si instaura tra il curatore della rassegna e il suo pubblico. In entrambi i casi, l’aspetto essenziale è la curatela e la selezione umana in un’epoca in cui questo ruolo, sui social ma non solo, è sempre più delegato agli algoritmi. 

    “Gli algoritmi sono la risposta del capitalismo industriale di grande scala al problema della selezione nel momento in cui online abbiamo a disposizione milioni di contenuti”, prosegue Bonini. “Le altre forme sono invece la risposta artigianale, la dimostrazione che c’è un bisogno estremo di cura umana informata ed esperta. C’è il bisogno di qualcosa che scelga per noi e sollevi dal fardello di doverci costantemente orientare tra una marea d’informazione che ci bombarda. E questo lo dimostra anche il grande successo delle newsletter, che nel loro formato classico sono comunque una forma di rassegna stampa, spesso molto verticale”. 

    Da questo punto di vista, uno dei vantaggi del prodotto cartaceo – e che gradualmente potrebbe magari venire riscoperto – è proprio quello di permettere una consultazione più rilassata. Mentre online siamo circondati, quasi assediati, da contenuti che ci piovono addosso da ogni luogo – social network, homepage, motori di ricerca, piattaforme di messaggistica, email e altro ancora –, il vantaggio di un quotidiano o di una rivista è proprio quello di essere già curato, filtrato e impacchettato. Non dobbiamo fare altro che sfogliarlo.

    Non solo: “I giornali cartacei hanno ancora al proprio arco tutta una serie di risorse che le riviste online non hanno”, precisa Lagioia. “Se esce un’intervista a Stephen King è molto più probabile che venga pubblicata sul Corriere o su Repubblica, che magari l’acquistano dal Guardian o dal New York Times. Per come funziona la macchina dell’informazione è più facile che esclusive di questo tipo escano su un quotidiano, ed è ancora molto raro che possa avere un ruolo il fatto, per esempio, di essere un influencer sui social. Probabilmente tra cinque anni sarà diverso, ma al momento la situazione è ancora questa”. 

    Nicola Lagioia: “I giornali cartacei hanno ancora al proprio arco tutta una serie di risorse che le riviste online non hanno”

    Già adesso le cose iniziano però a cambiare, tra testate native online dal prestigio crescente e testate tradizionali che – soprattutto nella loro versione online – proprio quel prestigio rischiano di perderlo del tutto a furia di inseguire i click a colpi di articoli sensazionalistici e di pessima qualità. Un altro elemento da considerare è la diffusione del paywall, che, nonostante sia ancora agli inizi, promette di portare l’informazione più di qualità dei grandi giornali anche nella loro versione online, e magari di sostituire gradualmente il cartaceo. Sulla base di tutto ciò che abbiamo detto finora, però, la sensazione è che la carta conservi ancora un suo ruolo specifico e che l’influenza dei quotidiani – nonostante la gravissima crisi di vendite – sia ancora tale da rendere necessaria la loro esistenza. 

    “Forse la riscoperta del giornale potrebbe tornare in alcuni settori ad alto tasso culturale”, prosegue Bonini. “Un po’ come avvenuto col vinile, si può immaginare un ritorno del quotidiano di carta come un’altra forma di distinzione sociale, di status, grazie alla quale possiamo fare finta di non essere su Facebook o su Instagram. Quel che è certo è che ormai c’è una stanchezza nei confronti dei grandi social network e anche per la selezione automatizzata. Non parlo di grandi volumi, ma per esempio tra i miei studenti è una cosa che inizio a vedere”. 

    “Personalmente credo che diventeranno sempre più dei prodotti di lusso”, sottolinea Silvia Bencivelli. “Immagino un giornale più breve, dalla forte identità, con ottimi inserti e sempre più meditato. E questo anche perché c’è una questione identitaria che continua a esistere: alla gente piace comprare il giornale in cui si rispecchia. Non solo per mostrarlo, ma anche per avere la sensazione di far parte di una cerchia ristretta”. 

    “Sono sicuro che continueranno a esistere, magari non tutti sopravviveranno e altri nuovi ne nasceranno”, conclude Francesco Costa. “Ci sarà un cambiamento di ruolo, di approccio e di contenuto, ma troveranno una nuova forma e un nuovo spazio. È un processo che avrà sicuramente delle difficoltà, anche perché sono prodotti che devono essere reinventati. Credo però che avremo i giornali di carta ancora per molto tempo, e personalmente è qualcosa di cui sono contento”. 

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