Dal 2012 a cheFare ci occupiamo di costruire ponti tra mondi diversi, prima finanziando e poi raccontando i mondi della cultura collaborativa, spesso co-progettando percorsi assieme a organizzazioni dal basso, istituzioni, policy makers e centri di ricerca.
laGuida è il punto di arrivo di anni di lavoro nei quali abbiamo cercato di aiutare l’emersione di queste realtà. È un festival itinerante dei nuovi centri culturali perché nel tempo abbiamo realizzato che proprio in questi spazi ibridi trovano casa molte di quelle forme che rendono viva e vitale la cultura in Italia. È un modo diffuso capillarmente eppure ancora relativamente poco conosciuto.
Ogni episodio de laGuida si compone di tre momenti: ilCamp, laPiazza e laFesta. Avrebbero dovuto realizzarsi in tre giorni consecutivi, ma le limitazioni imposte dal Coronavirus ci hanno obbligati a separarli e diluirli.
Così dal 22 giugno all’1 luglio si è svolto ilCamp della prima tappa de laGuida, grazie al contributo di Compagnia di San Paolo, al quale hanno partecipato otre 50 operatori dei nuovi centri culturali locali di Liguria, Piemonte e Valle D’Aosta e centinaia di persone da tutta Italia tra conferenze, laboratori e tavole rotonde.
laPiazza è il secondo momento de laGuida, e si svolgerà il 13 e 14 di ottobre. laPiazza è la costruzione di una piattaforma di traduzione tra i mondi dei nuovi centri culturali e quelli delle politiche.
Se visti come facenti parte di una tendenza più ampia di portata nazionale e internazionale, i singoli nuovi centri culturali sono molto di più di sperimentazioni locali: sono connettori di relazioni, pratiche, linguaggi e produzioni che costruiscono senso.
Spesso chi entra in relazione con un nuovo centro culturale – come frequentatore, come organizzazione che collabora, ma anche in quanto finanziatore o policy maker – tende a considerare la specifica realtà come un unicum, una bizzarra eccezione che per i motivi più diversi è capitata proprio lì.
E quindi, di volta in volta, i quadri di riferiremo dei nuovi centri culturali si sono legati a settori delle politiche più disparate, a seconda di quali sono stati i primi punti di contatto, delle motivazioni politiche, della buona volontà di singoli dirigenti: dalle attività commerciali allo spettacolo dal vivo, passando per il welfare, la rigenerazione urbana, l’innovazione sociale e quella culturale.
Questa iper-localizzazione vincola lo sviluppo dei singoli spazi in direzioni che ne limitano le potenzialità generative di impatti territoriali ad ampio spettro, producendo quello che tra gli addetti ai lavori viene definito “effetto Frankenstein”: la giustapposizione convulsa di elementi progettuali causata dalla rincorsa di bandi e finanziamenti che porta, nel tempo, a costruire organizzazioni dall’identità debole e dall’efficacia limitata.
Inoltre, individualizza il rischio che operazioni sperimentali come i nuovi centri culturali necessariamente comportano, addossandolo alle sole organizzazioni promotrici e, eventualmente, al singolo dirigente o referente politico che le ha facilitate. Questo meccanismo rende, da un lato, instabili e precarie le condizioni di lavoro in cui operano i nuovi centri culturali e costituisce, dall’altro, un costante e imperdonabile spreco di occasioni di apprendimento istituzionale per i policy maker che si relazionano con loro.
Vieni a laPiazza, la nostra 2-giorni di eventi online con i nuovi centri culturali per conoscere nuovi stakeholder e costruire nuove politiche.
Quello che abbiamo capito negli anni a cheFare – invece – è che se visti come facenti parte di una tendenza più ampia di portata nazionale e internazionale, i singoli nuovi centri culturali sono molto di più di sperimentazioni locali: sono connettori di relazioni, pratiche, linguaggi e produzioni che costruiscono senso. Quel senso del quale siamo costantemente alla ricerca, soprattutto in un momento difficile come il 2020.
Perché è nella risposta puntuale alla crisi portata dal Coronavirus che in molte parti d’Italia i nuovi centri culturali hanno fatto da base operativa alle forme di solidarietà di base che si sono organizzate per portare una risposta ai gruppi sociali più colpiti. Non solo solidarietà materiale – costituendo punti logistici per la raccolta e la distribuzione – ma anche supporto e sviluppo di progetti di cultura di prossimità. Ed è proprio alla cultura di prossimità che dobbiamo guardare in questi mesi: il dispiegamento sui territori – nei centri come nelle periferie, nelle metropoli come nelle aree interne – di pratiche culturali accessibili, distribuite, capillari.
Per noi, la traduzione tra mondi diversi che vivono gli stessi territori è una delle operazioni più delicate e complesse in assoluto. Sappiamo che ci si trova costantemente a utilizzare le stesse parole per indicare cose diverse, mentre altre restano in confortevoli nubi d’indeterminatezza. Quello che non vogliamo fare è parlare per conto di altri: sempre più spesso i nuovi centri culturali danno vita a reti di secondo livello o entrano a far parte, cambiandone in parte i connotati, di associazioni storiche; sono i nostri partner di rete, che in questi mesi stanno diventando sempre più forti, pur tra le mille avversità del periodo. Al contrario, vogliamo fare quello che pensare di saper fare meglio: aiutare a incontrarsi, costruire relazioni, connessioni e nuovi modi di comprendersi e di cooperare.