Quali comunità? La Convenzione di Faro e gli esempi di comunità di patrimonio

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    Gli ultimi decenni hanno visto il concetto di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale evolversi e divenire sempre più importante per lo sviluppo locale e sostenibile. 

    Parlare oggi di patrimonio culturale vuol dire considerarne non solo gli aspetti di promozione, tutela, conservazione e valorizzazione, ma soprattutto evidenziarne il valore identitario e di appartenenza ad un certo luogo e ad una comunità.

    La Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società del 2005, firmata dall’Italia nel 2013 e ratificata nel 2020, ha messo l’accento sul tema del patrimonio come mezzo di soddisfacimento dei bisogni materiali e immateriali delle comunità, enfatizzandone il ruolo e la capacità di costruire senso di appartenenza, capitale sociale, coesione e identità locale.  

    In particolare la Convenzione invita gli stati firmatari a riconoscere l’interesse pubblico associato agli elementi del patrimonio culturale in funzione della loro importanza per la società e delinea il quadro dei diritti e delle responsabilità dei cittadini nella partecipazione al patrimonio culturale mettendo in luce il significato del suo “valore” attraverso un approccio multidimensionale che rivela il contributo del patrimonio culturale allo sviluppo degli esseri umani e della società. 

    Nell’ambito del percorso di ricerca “La partecipazione alla gestione del patrimonio culturale. Politiche, pratiche ed esperienze” promossa e condotta dalla Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali, è stata “lanciata” la Mappa delle Comunità che restituisce un paesaggio articolato e ricco di gruppi e comunità che curano e gestiscono patrimonio culturale.

    La varietà delle esperienze ci ha spinto ad indagare di più e ad avvicinarci ad alcune di esse. Le due “comunità” qui presentate raccontano realtà e storie ricche, interessanti ed estremamente distanti tra loro e proprio per questo meritano di essere presentate. Il nostro Paese, l’immenso patrimonio culturale dei nostri territori i gruppi e le comunità producono forme e esperienze di tutela e valorizzazione tutte “speciali” che meritano di essere conosciute per le eccellenze che producono e per le difficoltà che affrontano.

    A Napoli la comunità del Molo S. Vincenzo (Friends of Molo S. Vincenzo, Napoli) nasce tanti anni fa grazie alla battaglia portata avanti da Umberto Masucci, presidente del Propeller Club di Napoli, per favorire la riapertura del molo di S. Vincenzo. Il Molo S. Vincenzo è un elemento di grande valore simbolico per la città, costituisce infatti la diga foranea che chiude il porto storico della città. 

    Si tratta di un luogo storico voluto nell’ambito del piano di ampliamento della città di Napoli da Don Pedro di Toledo e progettato, alla fine del 1500, dall’Architetto Domenico Fontana, lo stesso che realizzò il Palazzo Reale di Napoli, il Complesso dell’Eremo dei Camaldoli e varie importanti chiese e opere pubbliche a Napoli e in Campania.

    Il molo è caratterizzato da 2 km di passeggiata nel mare e dalla presenza del Bacino di Raddobbo Borbonico. La parte in radice del molo è occupata dal Comando Logistico della Marina Militare; si tratta quindi di fatto di un’area interdetta alla pubblica fruizione. Il molo, dal Bacino di Raddobbo  in poi, invece, è di competenza dell’Autorità di Sistema portuale del Mar Tirreno Centrale al quale è possibile accedere solo previa autorizzazione da parte della Marina militare. 

    Questa condizione lo rende uno spazio inutilizzato e interdetto sia come spazio della città e che come luogo culturale. 

    Come rappresentante del Friends of Molo S. Vincenzo, Napoli abbiamo incontrato Eleonora Giovene di Girasole.

    Federica Antonucci: Con quale obiettivo si è formato il gruppo? E che motivi vi hanno spinto ad attivarvi come comunità?

    Elena Giovene di Girasole: L’obiettivo e al tempo stesso la necessità che ci ha guidato e spinto ad attivarci è stato quello di restituire uno spazio collettivo alla città. Il lavoro è iniziato con un processo di action research portato avanti da ricercatori-architetti dell’IRISS (l’Istituto di Ricerca su Innovazione e Servizi per lo sviluppo) del CNR con gli psicologi di comunità del Dipartimento di Studi Umanistici Federico II, attivando processi partecipativi che coinvolgessero la comunità. Sono iniziate così nel 2014 le prime attività sul Molo, come le passeggiate, che hanno visto la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti, compresa la Marina militare. Negli anni successivi la partecipazione sia all’ideazione delle attività che alla fruizione delle stesse è aumentata, coinvolgendo sempre più associazioni, ricercatori e cittadini e oggi si è arrivati alla costituzione di un tavolo tecnico tre le istituzioni interessate con l’obiettivo di valorizzazione il sito nella sua interezza. 

    FA: Avete incontrato difficoltà nel vostro percorso (per esempio per la presa in carico del bene, processi burocratici/amministrativi complessi, ecc.)?

    EGG: A dir la verità non molto e questo è stato un bene. Il sindaco attuale della città di Napoli ha inserito nel suo programma la valorizzazione del Molo cercando di sfruttare ogni congiuntura positiva si presentasse. Le difficoltà incontrate sono state principalmente con la marina, poiché trattandosi di una base militare si configura come un territorio delicato; tuttavia, grazie agli sforzi di tutti e contemperando le esigenze di ciascuno si è riusciti a stabilire una situazione di pacifica e fruttuosa collaborazione. Non mancano, infatti, esempi di attività diverse, dalle maratone ai convegni, che hanno visto la partecipazione di tutti. L’idea di base è che tutte le parti coinvolte rimangano tali, sarebbe impossibile pensare all’esclusione della Marina, per esempio.  Al contrario ciò che rende il progetto così bello è la collaborazione e lo scambio che avviene proprio grazie alla presenza di tutti. 

    FA: Da quante persone è formata la comunità?

    EGG: La comunità consta di due dimensioni: un gruppo associato che è composto da cinque persone che sono i fondatori dell’associazione e da un gruppo esteso, variegato e multiforme che comprende tutte le persone che scelgono volontariamente sia di prendere parte alle attività proposte che di aiutare alla loro ideazione e gestione.

    FA: Ci sono tanti giovani che fanno parte della comunità o che prendono parte alle vostre attività? 

    EGG: La comunità è composta da un campione variegato a livello anagrafico: ci sono persone di tutte le età che fanno parte della nostra comunità. Per quanto riguarda i giovani, come ricercatori ci capita spesso di coinvolgere studenti universitari e dottorandi che collaborano all’organizzazione dei diversi eventi come passeggiate e spettacoli. Ciascun evento organizzato è sempre libero e aperto alla partecipazione di tutti. 

    Il lavoro all’interno della comunità è molto flessibile e dipende dall’iniziativa di ciascuno. Le attività avvengono su iniziative personali, proposte e a seconda della disponibilità del gruppo ci si da sostegno reciproco. Per noi è il modo più utile e funzionale per portare avanti il lavoro dell’associazione.

    FA: Qual è, a vostro parere, il modo più efficace per coinvolgere la cittadinanza? 

    EGG: L’associazione ha sviluppato un framework teorico che si ispira alla teoria dei Commons di Elinor Ostrom, con lo scopo di creare ed evidenziare valori e obiettivi condivisi al fine di far diventare il Molo San Vincenzo un bene comune. Uno strumento di coinvolgimento molto efficacie è stato il workshop di progettazione collaborativa, vale a dire un workshop interdisciplinare che coinvolge tutti gli stakeholder del territorio sia nella parte di ascolto che di discussione. Per far sì che il dialogo fosse reale e consistente, abbiamo ideato delle “feedback station”, punti di ascolto che aiutano nello sviluppo progettuale. È stato anche definito per il molo San Vincenzo un masterplan condiviso all’interno del quale sono condivisi obiettivi e desiderata.

    In particolare, è rilevante il lavoro svolto con gli psicologi di comunità, ed è interessante un progetto a cui anche loro hanno contribuito e che ha avuto molto successo, ovvero il progetto di rigenerazione urbana partecipata di Porta Capuana, un rione di Napoli, in uno spazio aperto alla città. 

    FA: Come si svolge una giornata tipo della comunità?

    EGG: Noi siamo ricercatori, quindi la nostra giornata tipo si articola tra l’essere un ricercatore attivo e lavorare all’ideazione di nuovi eventi per il Molo: spesso ci troviamo anche con i soci dell’associazione il sabato e la domenica per organizzare le attività, come l’open port, le passeggiate e le visite guidate. 

    FA: Avete raggiunto gli obiettivi che vi eravate posti? Prossime sfide?

    EGG: Sì! Il primo obiettivo era far conoscere il Molo alla città e oggi, dopo 9 anni di attività, siamo riusciti a portare sul molo più di 3000 persone, realizzato tre Passeggiate patrimoniali, quindici 15 walking tour, due concorsi fotografici, tre maratone, cinque workshop e circa 20 conferenze. Il secondo obiettivo era che il Molo e la sua rigenerazione facesse parte dell’agenda politica e divenisse catalizzatore di interesse; il terzo è che il Molo divenisse quindi luogo di interesse e fosse sempre aperto e accessibile.

    Oggi possiamo dire che il sito sia diventato un bene comune, di cui si parla, si discute e al quale ci si interessa. Il prossimo passo è che si avvicini sempre più al concetto di commons, raggiungendo un accordo tra le parti su regole e valori condivisi. 

    Il processo si concluderà quando il molo sarà totalmente valorizzato, esisterà un progetto reale e verrà messo del tutto in sicurezza.  Adesso non siamo ancora a questo punto, ma abbiamo in agenda una serie di eventi legati ai mari internazionali e alla funzione del molo, ne sentirete parlare, speriamo, nel 2024!

    Vista del Villaggio Crespi d’Adda dalla ex casa del medico – sito Unesco dal 1995

     

    A Crespi D’Adda – Patrimonio Unesco – nel 2000, un gruppo di giovani, tenendo ben presente la “Carta del Turismo Culturale” dell’ICOMOS, che mette in guardia da “ambivalenze” e “pericoli” presenti nel turismo e auspica un coinvolgimento della comunità locale, dà vita a CRESPI CULTURA. 

    In quegli anni coloro che avviano CRESPI CULTURA si chiedono se sia possibile dare vita ad una realtà culturale che non pesi sulle casse pubbliche e che agisca in modo consapevole e determinato, e coerentemente con le politiche culturali del nostro Paese. Le attività vengono progettate e svolte perseguendo un approccio responsabile e rispettoso sia del luogo medesimo che della comunità residente: l’obiettivo primario è indirizzare lo sviluppo turistico del Villaggio di Crespi verso un modello di tipo sostenibile e a forte valenza culturale ed educativa.

    Elena Pelosi: Qual era l’obiettivo quando si è formato il gruppo? E cosa vi ha spinto?

    R: CRESPI CULTURA ha l’obiettivo di educare, sensibilizzare, tutelare e valorizzare il sito Unesco di Crespi d’Adda, coerentemente con i principi della Carta del Turismo Culturale dell’ICOMOS dell’UNESCO e poi della Convenzione di Faro e quindi coinvolgendo la comunità locale che nel caso del Villaggio Crespi d’Adda è formata da discendenti di chi ha lavorato nel cotonificio e vissuto nel Villaggio, da diverse generazioni. CRESPI CULTURA ha dato vita ad un format per scoprire il proprio paese basato su tematiche di valore educativo e sull’incontro con il divulgatore che è “testimone”, portatore di una memoria viva e di esperienze dirette legate al luogo e alla comunità.

    Intervento di recupero delle storiche cementine nella sede di Crespi Cultura

     

    Il vero motore è stato quello di aiutare il mondo della scuola e incidere nel processo di educazione delle future generazioni, per contribuire al delicato compito istituzionale di insegnanti e dirigenti scolastici. Si parte dalle nostre storie nel Villaggio per affrontare tematiche importanti per il mondo della scuola. Si valorizzano memoria storica, aneddoti e documenti storici per aiutare le giovani generazioni ad immergersi nel nostro passato e le azioni di tutela del sito per far comprendere il valore dell’essere cittadino attivo. Raccontare il nostro Villaggio è parte integrante del concetto di “tutela del luogo” perché significa sensibilizzare il visitatore al tema della protezione, salvaguardia e conservazione del sito, facendogli comprendere non solo l’autenticità del sito ma anche della comunità che lo abita. 

    EP: Da quante persone è formata la comunità? Ci sono tanti giovani che fanno parte della comunità o che prendono parte alle vostre attività? 

    R: Con diversi livelli di coinvolgimento, circa una ventina. Se per giovani intendiamo persone con età compresa tra i 20 ed i 30, nel nostro gruppo ce ne sono due, pochi.

    EP: Come viene diviso il lavoro e l’organizzazione delle attività?

    R: Le attività vengono divise a seconda delle competenze e delle necessità. Per quanto riguarda le attività didattiche, l’organizzazione è più complessa: oltre ai divulgatori, c’è un coordinatore che segue trasversalmente tutte le attività e cura l’impostazione nei contenuti, definisce le azioni di aggiornamento e le metodologie didattiche delle esperienze proposte; ci sono inoltre informatici, un paio di persone che curano gli aspetti organizzativi e sono preposte all’accoglienza delle scolaresche, chi cura la pulizia dell’area di arrivo dei gruppi. Per le visite turistiche tradizionali è più semplice perché, al di là dell’attività di accoglienza e di segreteria, l’attività è svolta in autonomia dalle guide turistiche. Per le azioni di tutela, dipende dalla loro natura, così come per quelle di sensibilizzazione.

    EP: Qual è, a vostro parere, il modo più efficace per coinvolgere la cittadinanza? 

    R: Per coinvolgere la cittadinanza è bene entrarne in sintonia, farne parte e vivere problematiche e opportunità e soprattutto condividere valori comuni che caratterizzano il “bene” in cui si vive e si opera. Inoltre non guardare al sito solo come un “monumento” ma un luogo vivo, abitato e dove la qualità della vita è opportuno rimanga alta. 

    In altre parole è opportuno comprendere nel profondo il significato delle parole che Valeria Benaglia, un’abitante del Villaggio, venuta a mancare diversi anni fa, disse in occasione di un’intervista “Crespi non è soltanto un patrimonio di muri. C’è dentro la storia e la fatica di tante persone”. 

    La comunità a Crespi è fiera del suo borgo e forte è la memoria storica. Con CRESPI CULTURA abbiamo voluto favorire, attraverso le attività didattiche e divulgative, un incontro sereno, rispettoso e stimolante tra chi abita nel Villaggio e chi vi giunge in visita.

    Prima e dopo il recupero operato da “Crespi Cultura”. La manutenzione si ripete ogni anno, sempre ad opera di Crespi Cultura

    In occasione del decennale della nomina Unesco abbiamo promosso e collaborato alla realizzazione con l’Università degli Studi di Bergamo alla prima e unica indagine sulla percezione della qualità della vita degli abitanti e sul profilo e le opinioni dei visitatori del sito. Era il 2005 e lo sviluppo della nostra attività ha tenuto conto anche degli esiti di questi importanti lavori. Inoltre la valorizzazione locale avviene davvero se, all’attenzione, alla partecipazione e al coinvolgimento si aggiunge il confronto con altri contesti basato sullo scambio di conoscenze e di esperienze. Ad esempio nel 2019 abbiamo organizzato un viaggio-studio nei principali siti storici britannici analoghi a Crespi d’Adda: New Lanark in Scozia e Style in Inghilterra.

    EP: E voi di quali altri strumenti avreste bisogno per svolgere al meglio il vostro lavoro?

    R: La recente normativa sul terzo settore è già una base importante di riferimento, ma da sola non basta. Sarebbe importante far comprendere meglio la peculiarità e la specificità del luogo e l’importanza della sua comunità. Il Villaggio Crespi d’Adda è un unicum tra i Siti Unesco, non solo in Lombardia ed in Italia ma nel Mondo e come tale andrebbe trattato. Nel 2019 erano 1.121 i siti Unesco, di cui il 78% «Culturali», il 19% «Naturali», il restante 3% «Misto». Degli 869 siti Unesco «Culturali» solo il 18% (157) soddisfano anche il criterio 5 con il quale si riconosce che “Crespi d’Adda costituisce esempio eminente di insediamento umano rappresentativo di una cultura, specialmente se divenuto vulnerabile per l’impatto di cambiamenti irreversibili”. L’ICOMOS e l’UNESCO valorizzano il concetto di “insediamento umano” ed il fatto che questo rappresenta una “cultura” che stenta a sopravvivere. Nel mondo sono 49 i siti «industriali» inseriti nella Lista del Patrimonio Mondiale e tra questi solo cinque soddisfano il criterio 5 e ben quattro sono abitati. Se analizziamo però il periodo di fondazione di questi siti emerge che risalgono al 1300, al 1500 e al 1700 circa. Solo il Villaggio di Crespi d’Adda è di recente ideazione: è stato fondato nel 1878 e l’esperimento sociale è andato avanti fino agli anni ‘70. La comunità di circa 450 abitanti, in prevalenza discendenti dei dipendenti del vecchio opificio tessile, persone che vivono lì da sempre, è testimone in prima persona della sua recente storia e del suo presente.  E’ con loro che CRESPI CULTURA ha costruito un’ “alleanza” per “accogliere” ed è lo stesso UNESCO ad affermare che è necessario migliorare il coinvolgimento delle parti interessate a tutti i livelli, in particolare con le comunità locali, garantendo così che il patrimonio abbia una funzione nella vita delle comunità. 

    EP: Avete raggiunto gli obiettivi che vi eravate posti? Quali sfide vi aspettate di dover intraprendere in futuro?

    R: Le scuole confermano ogni anno scolastico l’interesse verso le attività proposte; la sede aperta al pubblico è stata ampliata e ristrutturata coinvolgendo professionisti di qualità, residenti nella comunità, dall’elettricista, all’idraulico, all’impresa edile che più di chiunque altro potevano comprendere il connubio tra praticità e valorizzazione del passato. 

    Abbiamo per esempio, preso in “cura” la Via Adda, parte integrante del disegno urbanistico della famiglia Crespi, invasa da rovi e sterpaglie, cresciuti a dismisura, che avevano invaso talmente tanto la strada da consentire il passaggio di una sola persona alla volta nascondendo addirittura ben 4 paracarri. Annualmente ci occupiamo della sua manutenzione e di piccoli interventi di cura nel Villaggio.

    Tolti due anni di pandemia Covid19 e le difficoltà che ha inevitabilmente comportato, siamo soddisfatti dei risultati finora raggiunti e lieti finalmente di riprendere le varie attività che auspichiamo riprendano regolarmente con il nuovo anno scolastico.

    Ora stiamo lavorando ad un progetto di gestione degli spazi pubblici comunali, al momento utilizzati dall’Amministrazione solo a fini turistici, per dar vita ad una gestione integrata e partecipata, che coinvolga diverse realtà del territorio e la comunità del Villaggio. Un progetto di gestione che sia in grado di garantire un’attenzione anche alle attività sociali e ambientali, in una logica di sviluppo locale, ancor prima dello sviluppo turistico. Abbiamo già avviato incontri con l’ente gestore e diverse realtà associative. 

    EP: Vi fa piacere condividere un aneddoto particolare?

    R: Prima del covid abbiamo donato un’altalena da collocare nel parco pubblico. Perché un’altalena? Quella esistente era mal ridotta e bisognosa di essere sostituita ma la scelta è stata più che altro simbolica. 

    Installazione dell’altalena nel Parco Pineta, donata da Crespi Cultura al Comune

     

    L’altalena è quel gioco che piace sia ai piccoli che agli adulti; è un momento di sospensione che può diventare riflessione. È un gioco utilizzato sia da bambini che abitano o che hanno i nonni nel villaggio ma anche dai bambini che con le proprie famiglie o la scuola vengono a scoprire il sito. È stato un dono che rende felici tutti. Per quasi due anni è stata interdetta, immobile. Da diversi mesi è finalmente tornata a dondolare e quando dalla sede di CRESPI CULTURA ci sporgiamo per guardare il parco, l’altalena in movimento è un momento di gioia e speranza.

    Passeggiando per le case del Villaggio, quindi nel bel mezzo del sito Unesco, è normale imbattersi, soprattutto nei fine settimana, in persone che giunte a Crespi chiedano “dove è l’ingresso del Villaggio?” oppure “Dove vado per vedere il sito Unesco?”…e non si accorgono di essere già nel suo cuore…. e si stupiscono che il Villaggio sia un luogo tutt’ora abitato. 

    Uno scorcio delle casette operaie del Villaggio Crespi d’Adda e della quotidianità

    Note