Il viaggio in Italia come spaesamento

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    CTRL è il nome di un magazine «locale, cartaceo, tascabile e gratuito», nato a Bergamo nove anni fa e poi approdato anche in rete. Francesco Guglieri (sull’inserto Robinson di Repubblica, 11\2\2018) lo citava accanto ai nomi di altre riviste, più o meno giovani, spesso esclusivamente on line, e tutte animate dalla giusta ambizione di costruire uno spazio alternativo – anche per anagrafe – alle piattaforme tradizionali dell’informazione e della critica culturale.

    Tuttavia CTRL in questo nuovo panorama di firme e di sguardi è sempre stato, sommario alla mano, diverso da tutti. Quanti articoli sono usciti in questi anni sul femminismo della terza ondata e quante esegesi su House of cards, quante analisi politiche sulle coreografie di Beyoncè al Super Bowl e quante spigolature a cavallo tra costume e politica sulla serata degli Oscar? Troppe, semplicemente.

    Il dubbio è che questa offerta di nuovi contenitori, stretta nell’angusto sentiero scavato tra strategie di posizionamento, magrissime economie e necessità di conquistare pubblico e inserzioni (o mecenati), abbia generato, non sempre ma spesso, un nuovo conformismo. La vocazione di CTRL, assecondata con naturalezza e in autonomia, con innocenza più che con spocchia, non è mai stata la critica militante, ma nella sua diversità mai snob ha espresso senz’altro un valore e una differenza rispetto a quello che definirei «il discorso dominante delle nuove riviste», il capostipite delle quali fu Vice ormai parecchi anni fa.

    In che cosa è consistita, quindi, questa vocazione e diversità? Spesso nel racconto di biografie e vicende di sconosciuti, collocate in provincia o nei paesi, con una scrittura generalmente non ombelicale, non velleitaria, asciutta, precisa, documentata, al servizio della voce e della storia, e soprattutto mandando giovani scrittori e giornalisti sul campo, fornendo un’occasione di lavoro e di scrittura oggi non così consueta. Specie se parliamo di piccole riviste indipendenti.

    In archivio si trovano pezzi come quello di Mirco Roncoroni su una famiglia d’immigrati della cosiddetta «Rubber Valley», vicino Bergamo, impiegata in un assurdo e oltremodo ripetitivo lavoro domestico; oppure quest’altra, sempre di Roncoroni, così riassunta nel sommarietto: «[…] Pierluigi Facchinetti, di Trescore, deve scontare 17 anni. Il fratello Emiliano si presenta al colloquio. Sono vestiti uguali, si assomigliano. Distraggono le guardie. Si scambiano di posto. Emiliano diventa Pierluigi e finisce in carcere. Pierluigi esce indisturbato dall’ingresso principale ed è di nuovo libero»; o la cover story del numero #64, raccolta da Nicola Feninno: «In redazione irrompe un redattore, ha trovato un quadro. L’autore è Giorgio Michetti. Wikipedia: nato nel 1912, pittore di Viareggio, nessuna data di morte. Facciamo qualche ricerca, attiviamo qualche contatto e decidiamo di partire. Pochi giorni dopo siamo nel suo studio»; infine quella davvero poetica di Valerio Millefoglie, fotografata da Thomas Pololi, che racconta un referendum celebrato in un paesino svizzero nel settembre 2016, pro o contro l’installazione dell’illuminazione pubblica. Non posso nascondere che in quell’archivio si nascondono anche un paio di pezzi del sottoscritto. Sono lì a ricordarmi che forse altrove non sarebbero mai stati pubblicati.

    Qualche mese fa CTRL si è trovato in grave difficoltà economica. Più a causa della sofferenza strutturale del mercato della scrittura, che non per un calo di gradimento o del lettorato. Tant’è che CTRL ha pensato di aprire un crowdfunding e la risposta è stata sorprendente. Con i soldi raccolti è stato finanziato un libro dal titolo: «Viaggio nell’Italia in minoranza». Dentro sono raccolti una serie di reportage sull’Arbëreshë, il Walser, il Tabarchino, l’Occitano e infine il Grico. Ovvero sulle minoranze linguistiche tutelate dall’articolo 6 della Costituzione. Nel reportage di apertura Valerio Millefoglie viaggia per alcuni paesini della Basilicata (San Costantino Albanese, San Marzano di San Giuseppe, etc.), dove si parla la lingua dei discendenti della diaspora albanese. Gira per giorni tra bar e piazzette, intrufolandosi praticamente ovunque -più Zavattini che inviato della tv di oggi- domandando a chi incontra di scegliere una parola da salvare tra quelle comprese in questa lingua antica e miracolosamente preservata.

    È l’occasione per un percorso rapsodico, divagante, nel corso del quale ascoltiamo le voci di ex operai alla FIAT di Melfi e figuranti nel Vangelo secondo Matteo di Pasolini. Viola Bonaldi sale in corriera dalle parti del Monte Rosa per conoscere i discendenti dei coloni che, dall’attuale Svizzera, arrivarono in questi luoghi nel XIII secolo.

    Anne racconta a Viola che un tempo lo spazzaneve non era altro che un cuneo di legno sospinto da un camion, mentre Marilena confessa che dopo il matrimonio ha dovuto imparare il titsch, variante di Macugnaga del walser, per poter parlare col marito. «Il titsch è il tedesco antico del medioevo, che una volta arrivato qui si è ibernato. È un po’ come se arrivasse Dante Alighieri e ci parlasse il suo italiano, per dire».

    Cambio di scena: sul ponte esterno di un traghetto diretto in Sardegna un profumo di marjuana, fumata da una ragazza, vince «la pazzia delle correnti d’aria» e precede l’arrivo di Mirco Roncoroni in Sardegna sull’isola di Carloforte, dove il couscous si chiama cascà e i discendenti dei coloni portoghesi parlano il tabarchino. Nel 1914 a Carloforte avevano tutti la corrente elettrica in casa, mentre il resto dell’Italia andava a petrolio. L’isola ha sempre avuto un’economia florida, legata alla pesca del tonno, al trasporto del minerale dal Sulcis e alle saline. Tuttavia i tempi sono cambiati e ora l’economia punta sul turismo, con la conseguenza per chi vive nell’isola «di non riuscire più a essere, ma di riuscire solo a rappresentarsi».

    Nel penultimo reportage Nicola Feninno inizia il suo racconto seguendo, letteralmente, le orme di un cane che lo conduce proprio alla persona che stava cercando: Franco Baudino, ex sindaco di Elve in Piemonte. Feninno, mi si passi la battuta, non scrive affatto da cani, ma con grandissimo stile. Ci racconta, tra le tante cose, la storia del Movimento Autonomista Occitano e del taglio e commercio di capelli, scelti fra le chiome delle valligiane più povere, che venivano destinati alla lavorazione delle parrucche, poi vendute a Torino, Londra, Parigi e New York. L’ultimo reportage è firmato dal noto scrittore e «paesologo» Franco Arminio.

    Peccato per un eccesso di piombo in pagina e per le foto così piccole a illustrazione dei pezzi. Le foto di Emanuela Colombo, che invece scorrono a metà del libro, riescono a raccontare con grande poesia i luoghi delle minoranze linguistiche. Nessuna nostalgia, ma una miscela perfetta e riuscita di arcaico e contemporaneo, natura e architettura. Come poteva finire questo viaggio nei luoghi delle lingue in via di estinzione? Forse con il silenzio. La redazione di CTRL quindi ha un’idea. Lo scrittore e performer Gianni Miraglia viene spedito nella camera semi-anecoica del dipartimento d’ingegneria dell’Università di Ferrara.

    Che cos’è una camera anecoica? Un ambiente chiuso che ricrea le condizioni di uno spazio aperto e infinito, dove il suono non viene riflesso. In sostanza nella camera anecoica il silenzio è pressochè assoluto. «Unica pulsazione è il mio acufene», scrive Miraglia, «fruscio all’orecchio sinistro che mi porterò dentro, fino all’ultimo attimo della mia esistenza». Il racconto di Miraglia è breve, fulminante, potente, e vale da solo l’acquisto del libro.

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