Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Antinomie.
Nei giorni ovattati e sospesi del Coronavirus, il mantra ricorrente è quello di restare a casa. TV, radio, social e web si affannano nel ricordare, ognuno a proprio modo, che è necessario prendere coscienza in maniera definitiva che l’unico orizzonte possibile dove vivere la quotidianità nelle prossime settimane è la nostra casa.
Probabilmente mai come in questo periodo della storia recente siamo stati bombardati di immagini di interni domestici, reali o rappresentati: storytelling di vita vissuta, collage anacronistici che mescolano cataloghi di Ikea, dipinti del danese Hammershøi e pittura olandese del Seicento, riferimenti alla letteratura e alla cinematografia nazionale e internazionale, intasano le home dei social network, mentre anche produttori e aziende – celebre l’esempio di Lonely Planet Italia – declinano i propri prodotti in salsa domestica.
Si tratta di inviti più o meno subliminali a stare comodamente seduti in poltrona, persi dietro viaggi di fantasia guidati dalla lettura di un romanzo o – e questo è divenuto ormai un vero e proprio tormentone – vere escursioni fuori dalle mura di casa possibili grazie ai dispositivi tecnologici odierni che permettono di spostarci virtualmente nel tempo e nello spazio senza bisogno di muovere un passo dal salotto. Da qui la rincorsa allo streaming selvaggio di musei, teatri e luoghi della cultura vari, nonché delle celebri piattaforme, ormai fonte principale dell’entertainment contemporaneo.