Tornano i Seminari Umberto Eco a Bologna: da Alessandro Baricco a Geert Lovink

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    Nati da un’idea di Umberto Eco quest’anno i Seminari di Scienze Umane offriranno una serie di incontri denominati ‘Un lessico per le scienze umanep’. Si parte venerdì 8 novembre presso il Centro Internazionale di Studi Umanistici “Umberto Eco” a Bologna con Alessandro Baricco e alcuni degli autori intervenuti in The Game Unplugged (Matteo De Giuli, Pietro Minto e Andrea Zanni).

    A che gioco giochiamo? Perché Baricco ha ragione e noi dovremmo smetterla di fare quella faccia

    E da quest’anno prende anche avvio una collaborazione tra Centro Internazionale di Studi Umanistici “Umberto Eco” e cheFare dedicata alla promozione dei seminari sia per quanto riguarda la comunicazione che l’eventuale sviluppo dei contenuti. Tra gli ospiti previsti per l’edizione dei Seminari di quest’anno: Andrea Pinotti, Andrea Dubosc, Paolo Spinicci, Luciano Floridi, Geert Lovink e molti altri, seguiteci sui nostri canali social e tramite la nostra newsletter.

    Per l’occasione abbiamo incontrato e rivolto qualche domanda a Claudio Paolucci con cui abbiamo già collaborato per il progetto Nube di Parole). Claudio Paolucci oltre che Professore associato presso il Dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell’Università di Bologna e Coordinatore del Corso di Dottorato in Philosophy, science, cognition, and semiotics è anche Coordinatore scientifico dei Seminari presso il Centro Umberto Eco.

    Da quanto tempo esistono i seminari? Chi li ha promossi? Quale è l’obiettivo che si pongono? Da quando ti occupi della loro strutturazione?

    I cicli di seminari che organizziamo attualmente vengono da un’idea di Umberto Eco, che fondò l’allora Scuola Superiore di Studi Umanistici sul modello delle grandi Écoles francesi, con l’obiettivo di fornire didattica dottorale di eccellenza. Eco li chiamava “seminari transgenici”. Lo faceva per varie ragioni, ma credo che la più importante fosse l’effetto che a suo modo di vedere dovevano ottenere su chi li seguiva.

    “Ci interessa costruire anche un piccolo osservatorio sulla contemporaneità”

    L’idea era che un giovane ricercatore che si occupava di filosofia venisse ad ascoltare degli antropologi e dei semiotici, che il ricercatore che si occupava di antropologia venisse ad ascoltare dei linguisti o degli storici e così via. Questo portava alla “transgenicità”: un effetto di transito e di oltrepassamento della tua disciplina, con l’obiettivo di darti la possibilità di diventare qualcos’altro attraverso la conoscenza di quello che si fa fuori dal tuo campo. Se ci pensi, alcune delle cose culturali più belle sono nate così. Io me ne occupo più in prima persona nel 2014, quando Eco mi nominò coordinatore scientifico col compito di curare proprio i seminari.

    Come si sono evoluti negli anni i Seminari?

    Lo spirito che cerchiamo di mantenere è sempre quello che aveva ispirato Eco: del resto siamo un’istituzione da lui fondata e che porta il suo nome. Oltre ai seminari più accademici e di ricerca, ci interessa però costruire anche un piccolo osservatorio sulla contemporaneità, cercando di individuare alcuni temi (o parole-chiave) che ci consentano di capire meglio quello che sta succedendo fuori dall’Università attraverso il sapere prodotto in Università. Il ciclo del “Lessico” in collaborazione con voi è proprio un esempio di questo.

    I seminari sono rivolti solo a studenti o sono aperti al pubblico?

    Il pubblico di riferimento sono i dottorandi di area umanistica dell’Università di Bologna, che è già un pubblico molto eterogeneo, dal momento che, come detto, un dottorando in storia ha spesso interessi diversi rispetto a uno di semiotica o di italianistica. E questa è già una grande sfida. Poi una cosa bella dell’università italiana, che spesso non è sottolineata a dovere, è che l’università è veramente aperta a tutti e chi vuole venire ad ascoltare davvero può farlo ed è sempre più che benvenuto.

    “Una cosa bella dell’università italiana è che è veramente aperta a tutti e chi vuole venire ad ascoltare può farlo ed è sempre più che benvenuto”

    E devo dire che, specie negli ultimi anni, su molti temi abbiamo avuto persone non strettamente legate al mondo studentesco che hanno partecipato assiduamente alle nostre attività. E questa è stata ovviamente una soddisfazione per tutti.

    Ricordi un momento nei passati seminari particolarmente efficace? Un incontro che ha illuminato il confronto?

    Onestamente moltissimi. Lakoff e Hofstadter che discutevano di metafora con Eco. Claudio Magris, Orhan Pamouk e Jean Petitot che fecero lezioni magistrali bellissime. Shaun Gallagher sulla metodologia tra filosofia e scienze cognitive: un seminario bellissimo che continuò poi al bar, perché nessuno ne aveva avuto abbastanza.

    Di recente, quando ero più coinvolto in prima persona, Philippe Descola portò idee straordinarie nel 2015 e mi è molto piaciuto il dibattito che ci fu l’anno scorso sul libro di Eco sulla televisione con Gianfranco Marrone, Angelo Guglielmi e tanti altri colleghi.

    “Ascoltare un seminario può essere anche molto divertente, oltre che intellettualmente stimolante”

    Devo dire però che personalmente resto molto legato ai litigi di Calboli e Montefusco sulla retorica quando, da dottorando, misi per la prima volta piede in quella sala. Ascoltare un seminario può essere anche molto divertente, oltre che intellettualmente stimolante.

    Come si configura e struttura l’edizione dei seminari di quest’anno?

    Ci sono tre cicli: uno legato ai temi più vicini al pensiero di Eco, uno legato alla rivoluzione digitale e al rapporto tra scienze umane e computer science e infine, il ciclo del Lessico, l’osservatorio sul contemporaneo di cui parlavamo sopra. E tutti con ospiti che secondo me vale proprio la pena ascoltare.

    Chi vorresti portare a Bologna durante i seminari e ancora non sei riuscito?

    Bruno Latour! Non mi ha mai risposto. In generale, molti colleghi che lavorano in USA o in Australia sono sempre un po’ inarrivabili per motivi di budget legati al loro viaggio, quindi abbiamo sempre preferito rivolgerci all’Europa, facendo inviti da oltreoceano in misura molto molto ridotta.

    “Mi piacerebbe mettere a frutto di più i seminari lavorando su quello che accade dopo”

    Ma non sto certo qui a lamentarmi del budget, che per chi lavora nella cultura è sempre insufficiente. Però Bruno Latour, che sta a Parigi, secondo me farebbe la felicità di molti colleghi e di molti studenti.

    Quale obiettivi ti poni nei prossimi tre anni nello sviluppo dei seminari?

    Innanzitutto, consolidare quello che abbiamo fatto negli ultimi anni, in cui viene sempre davvero tanta gente a sentire le nostre iniziative. Mi piacerebbe mettere a frutto di più i seminari lavorando su quello che accade dopo che sono stati tenuti: la condivisione delle registrazioni e dei dibattiti. Anche la pubblicazione dei contributi migliori: credo che gli editori possano essere interessati. Insomma, raggiungere anche un pubblico che non è a Bologna e non può venire ad ascoltare, ma è comunque interessato. Da qui anche la partnership con cheFare, che crediamo possa aiutarci tanto in questo senso.

    Note