La neolingua della politica: generica quanto indifferente ai significati

Scarica come pdf

Scarica l'articolo in PDF.

Per scaricare l’articolo in PDF bisogna essere iscritti alla newsletter di cheFare, completando il campo qui sotto l’iscrizione è automatica.

Inserisci i dati richiesti anche se sei già iscritto e usa un indirizzo email corretto e funzionante: ti manderemo una mail con il link per scaricare il PDF.


    Se inserisci il tuo indirizzo mail riceverai la nostra newsletter.

    image_pdfimage_print

    Nell’ultima versione del Contratto per il governo del cambiamento ci sono, su 29 pagine, circa 250 parole e espressioni tra virgolette; virgolette alle volte doppie alle volte singole senza distinzione. Si trova per esempio:

    […] il nostro compito è quello di sostenere la “green-economy”, la ricerca, l’innovazione […]

    […] l’azione dell’amministrazione deve contemperare l’interesse del cittadino al pagamento di quanto l’interesse a ricevere il minor aggravio possibile, evitando ogni forma di pressione tale da ingenerare uno “stato di paura” nei confronti delle istituzioni e dei soggetti preposti alla riscossione […]

    Sul piano della lotta all’evasione fiscale, l’azione è volta a inasprire l’esistente quadro sanzionatorio, amministrativo e penale, per assicurare il “carcere vero” per i grandi evasori.

    Inoltre è doveroso il ripristino della piena funzionalità del ‘sistema giustizia’ […]

    legge “Severino”

    recente ‘riforma Orlando’

    Le virgolette sono spesso messe a caso: per esempio nell’intestazione Luigi Di Maio è definito capo politico del “MoVimento 5 Stelle” con virgolette, mentre Matteo Salvini è segretario federale della Lega senza virgolette. Oppure sono usate per sottolineare locuzioni abbastanza incomprensibili:

    Solo il controllo diretto e capillare degli interessati può garantire il rispetto di quei parametri di civiltà del vivere, troppo spesso disattesi in strutture che frequentemente si configurano come atroci terminali di “esistenze non più funzionali al sistema”, piuttosto che ambienti dove avviarsi serenamente e con dignità al naturale concludersi della propria vita.

    È stato sottolineato già da qualche linguista come questo testo sia scritto in una lingua farraginosa, oscura, burocratica nel senso peggiore del termine, simile all’antilingua che già Italo Calvino stigmatizzava in un citatissimo articolo del 1965. Giuseppe Antonelli, docente a Cassino di Linguistica, ha appuntato in tweet:

    “Per quanto concerne”, “al fine di”, “addivenire”, “decisore”, “problematica”. L’#italianocontratto di Lega e Cinquestelle è ancora l’antilingua di cui parlava Calvino: quella di chi non sa dire «ho fatto», ma deve dire «ho effettuato». Dal vaffa al vacuo.

    È abbastanza paradossale che in un documento di un’alleanza di governo che si propone tra i suoi obiettivi prioritari la semplificazione dell’apparato amministrativo invece si usi gergo così fumosamente ministeriale. Ma nell’abuso delle virgolette in questo testo definito contratto c’è qualcosa di più di una mera sciatteria, riflesso di un’involuzione linguistica: quello che Calvino definiva il “terrore semantico”, ossia la “fuga di fronte a ogni vocabolo che abbia di per se stesso un significato […]. Nell’antilingua i significati sono costantemente allontanati, relegati in fondo a una prospettiva di vocaboli che di per se stessi non vogliono dire niente o vogliono dire qualcosa di vago e sfuggente”.

    Nelle virgolette quest’insipienza non viene mascherata, ma addirittura esposta; non c’è terrore semantico, ma indifferenza, incoscienza semantica. Chiunque abbia un minimo di cultura giuridica o abbia una conoscenza della storia della stesura della costituzione italiana, riconosce lo sforzo di chiarezza che i padri della repubblica fecero, chiamando a rivederlo diversi linguisti. Lo stesso linguista Tullio De Mauro amava far notare come, al contrario di molti testi che affollavano la macchina dello Stato, la costituzione fosse un esempio di chiarezza, e proprio a partire da quel modello e dall’esempio della scuola di De Mauro, negli ultimi anni, in diverse amministrazioni pubbliche, insieme al lavoro sulla semplificazione normativa e procedurale si è cercato di semplificare e rendere più comprensibili i testi dello stato.

    Immaginate, per paradosso, una costituzione che contenga delle virgolette.

    L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul “lavoro”. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti “inviolabili” dell’uomo. Tutti i cittadini hanno pari “dignità sociale”.

    Nel 1984, al tempo delle Lezioni americane, ossia a vent’anni dalla stesura dell’articolo sull’antilingua, e poco prima della sua morte, Calvino fa il bilancio della sua esperienza di intellettuale e riconosce nella sua idiosincrasia che gli fa amare l’esattezza, a cui dedica la terza lezione, un tratto non solo personale, ma un connotato politico.

    Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una perdita del linguaggio che si manifesta come perdita della forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati.

    L’abuso delle virgolette in un testo così importante come un programma politico di un governo sembra avverare in maniera plastica la profezia di Calvino: la genericità, l’astrazione, la diluizione dei significati sono i segni di quell’epidemia pestilenziale che oggi, diventata una pandemia cronica, è più difficile diagnosticare prima ancora che curare.

    Ma quali sono le cause che hanno generato questo morbo? Forse si possono rintracciare analizzando l’area semantica di un altro termine che ricorre ben sette volte tra le pagine del del contratto per il cambiamento: governance. Per fare degli esempi:

    Per assicurare protezione e inclusione ai soggetti con disabilità o non autosufficienti è necessario superare la frammentazione dell’intervento pubblico nazionale e locale, attraverso una governance coordinata e condivisa sugli interventi e la messa in rete degli erogatori degli interventi.

    Il recupero delle risorse avverrà grazie ad una efficace lotta agli sprechi e alle inefficienze, e grazie alla revisione della governance farmaceutica e sanitaria […]

    Un Paese come l’Italia non può non avere un Ministero del Turismo, che non può essere solo una direzione di un altro ministero (il turismo culturale è solo uno dei “turismi”), ma ha bisogno di centralità di governance e di competenza, con una vision e una mission coerenti ai grandi obiettivi di crescita che il nostro Paese può raggiungere.

    Governance è la parola chiave delle neolingue della politica contemporanee, lo analizza con cura Alain Denault nel libro intitolato proprio Governance appena tradotto da Alberto Folin per Neri Pozza. Da termine che non ha quasi una storia linguistica (le prime attestazioni in documenti ufficiali sono del 1995) oggi è diventata onnipresente nei discorsi che parlano di politica. Con quali effetti però Denault lo mette in luce:

    Contrariamente ai termini “democrazia” o “politica” che essa tende a occultare, “governance” non definisce niente in modo netto e rigoroso. L’estrema malleabilità della parola elude il senso, e questo sembra precisamente il suo scopo. Tutto avviene come se si sapesse ciò che si vuol dire proprio nel bel mezzo di una totale vanità semantica. Ci si convince. A causa della sua indeterminatezza, l’espressione offre scarsi appigli alla discussione o alla disputa, pur rilasciando un messaggio fondamentale: si tratta di una politica “senza governo”, promossa a livello mondiale, che membri sociali isolati in rappresentanza di interessi diversi praticano secondo una modalità gestionale o commerciale. Spregiudicati finanziatori non hanno dovuto faticare molto per trovare nel popolo degli universitari, dei giornalisti e dei responsabili aziendali, ribattezzati “società civile”, individui pronti a diffondere la Buona Novella.

    Come sa chiunque si sia mai occupato di linguistica, noi non siamo solo esseri parlanti, ma siamo in un certo senso parlati dalle espressioni che usiamo. Che questa lingua sia così generica, così indifferente ai significati, proprio quando invece le chiediamo un sovrappiù di esattezza, è l’indice di una sconfitta civile che possiamo, senza quasi accorgercene, infliggere a noi stessi.


    Immagine di copertina: ph. di Ozgu Ozden da Unsplash

    Note