Perché il cinema rinascerà soltanto all’insegna della cultura collaborativa

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    Questo articolo fa parte dei contenuti de laGuida, il festival itinerante dei nuovi centri culturali. Ogni tappa de laGuida riunisce i nuovi centri culturali di una determinata zona d’Italia in rassegne online e dal vivo di conferenze, seminari e laboratori per sviluppare nuove competenze, costruire assieme un orizzonte di senso comune e costruire un dialogo con chi costruisce l politiche culturali e sociali. Il tema della prima tappa de laGuida – dedicata ai nuovi centri culturali di Liguria, Piemonte e Valle D’Aosta – è Partecipazione. E lo indaghiamo anche con le righe che seguono.


    Il 15 giugno è stato da tempo indicato dal Governo come il giorno della riapertura delle sale cinematografiche. Dopo le consuete schermaglie tra le parti – identiche a quelle avvenute tra Governo e gestori di spiagge e ristoranti – anche le sale hanno ottenuto qualche deroga in più, a cominciare dalle mascherine (che il pubblico potrà abbassare durante la visione del film) e proseguendo con la vendita di cibo al cinema, che – per chi non lo sapesse – è un introito essenziale per tanti multi-schermi.

    Tutto bene, dunque? Mica tanto. Il primo problema è che, anche così, i costi per tenere aperta la sala, con posti limitati e un pubblico storicamente amante dell’aria aperta da giugno a settembre, saranno molti alti. Inoltre mancano i film. Certo, verranno recuperati un po’ di titoli nel frattempo offerti online, ma ovviamente non sarà la stessa cosa, oltre al fatto che vari spettatori li avranno già visti. Ad essere ottimisti, insomma, apriranno in queste settimane un 30% delle sale italiane, poi se ne riparlerà a settembre, dopo la Mostra del Cinema di Venezia – sempre più indicata come spartiacque del prima e del dopo per tutto il sistema cinematografico.

    Che bilancio possiamo trarre del lungo periodo di cinema esclusivamente in streaming?

    Con un elefante nella stanza, di cui pochi parlano apertamente: l’autunno. Nessuno può sapere se i timori della seconda ondata siano fondati o meno, ma dovremo essere rassicurati settimana dopo settimana, quando raffreddori e bronchiti cominceranno a circolare in ogni caso, i bollettini saranno letti con l’attenzione di chi cammina sopra le uova, l’aria aperta sarà solo un ricordo, sciarpe e nasi che colano ci circonderanno. Sarà possibile “allentare” a novembre o dicembre? Più facile immaginare poltrone distanziate per sicurezza fino a inverno superato. E allora il sistema si sosterrà? Meglio non pensarci al momento. E intanto, che bilancio possiamo trarre del lungo periodo di cinema esclusivamente in streaming?

    Nausea da divano

    Questa è una storia di paradossi. Non sempre favorevoli al cinema. Per esempio, la sensazione è che il lockdown – dopo aver ingigantito inevitabilmente il numero di ore che abbiamo passato davanti a uno schermo casalingo – abbia alla lunga tediato il consumatore, anche quello più “qualitativo” e alla ricerca dei molti appuntamenti culturali e cinefili che aveva a disposizione.

    Fine del divano e ritorno in sala? Mica tanto. Quella a cui assistiamo è ormai una mediafilia complessa, dove l’appassionato slitta da una serie a un film, da uno show sul cibo a uno stand up comedian newyorkese con grande disinvoltura. Dal 18 maggio, questo ipotetico divoratore di prodotti mediali è interessato principalmente a non stare al chiuso, a vivere socialità, strade, piazze, parchi, forse eventi dal vivo. Ecco perché le arene estive funzioneranno e le sale con aria condizionata assai meno. Detto questo, non sappiamo dire se la sbornia è passata e tutto quel fiorire di piattaforme sta per andare in soffitta.

    Piattaforme on demand di nicchia potrebbero supplire alla cronica carenza di spazi per il cinema alternativo

    Probabilmente alcune di esse sì. In altri casi, invece, le proposte sono state apprezzate e – anche se le curve dei contatti e delle interazioni sono fatalmente diminuite – hanno lasciato per il futuro strumenti interessanti. Difficilmente resisteranno se non in modo residuale i sistemi puramente vicari e sostitutivi dell’esperienza in sala: andava bene durante la malinconica solitudine della quarantena, altrimenti esistono già troppi servizi on demand a prezzi convenienti per immaginare un circuito generalista di sale virtuali.

    Piattaforme on demand di nicchia, invece, potrebbero supplire alla cronica carenza di spazi per il cinema alternativo, sperimentale, indipendente. Il vero modello da studiare, tuttavia, appare quello dei festival, soprattutto enfatizzandone il progetto editoriale collaborativo.

    Festival in streaming, do it again

    Sia Biografilm sia Far East Film Festival – nati a Bologna e Udine, ed entrambi a modo loro “cult” per la passione dei partecipanti e la capacità di engagement – si svolgono quest’anno integralmente online. Apparentemente una totale contraddizione: il festival sta al concerto come il film in prima visione sta all’ascolto riprodotto dell’album musicale. Senza l’esperienza “live” non può funzionare. Eppure funziona.

    La prima cosa che viene da pensare leggendo le reazioni positive del pubblico (durante o dopo le proiezioni gli spettatori possono chattare e scrivere le loro impressioni), è che il motivo risieda nella possibilità di vedere film da parte di un pubblico spesso impossibilitato a muoversi per turismo culturale. Ma la vera ragione è probabilmente un’altra: questi festival hanno costruito un’operazione editoriale.

    Il modello da studiare è quello dei festival, soprattutto enfatizzandone il progetto editoriale collaborativo

    Lavorando insieme a un sito dedicato al cinema, molto popolare, come Mymovies (che a sua si trova sotto la direzione e coordinamento di GEDI, quindi potendo sfruttare il sito di Repubblica e altre testate), e disegnando l’offerta in termini di interfaccia grafica e infrastruttura digitale il più possibile user friendly, si è creato un design dell’esperienza festivaliera decisamente piacevole e lungimirante.

    Sinceramente, sarebbe un peccato pensare che tutto questo sforzo di immaginazione debba concludersi per rientrare nei canoni del festival tradizionale, ovviamente insostituibile. Ed è auspicabile che forme ibride, o quanto meno una cospicua parte delle future edizioni, possano affiancare l’esperienza dal vivo anche quando la brutta storia del Coronavirus sarà superata.

    Già a fine agosto, con Il Cinema Ritrovato (storico festival, anch’esso bolognese, dedicato alla storia del cinema, ai restauri, e alle riscoperte) ci potrebbe essere un test di questo tipo: i direttori hanno infatti annunciato un’edizione in sala e in piazza per i residenti e i pochi inviati, combinata con una programmazione in streaming che possa raggiungere i tanti professionisti internazionali che storicamente raggiungevano l’Italia per questo appuntamento, da sempre considerato come “gli stati generali” della cinefilia globale, delle cineteche mondiali, dei ricercatori di tanti Paesi.

    Estrarre dal flusso e curare il progetto

    Insomma, forse durante il lockdown ci siamo concentrati troppo su “che cosa” succedeva con l’offerta online e poco su “come” stava succedendo. Non basta offrire contenuti, bisogna costruire percorsi, stabilire le migliori forme di fruizione, corredare di informazioni, offrire materiali e approfondimenti. Se vedo un film in un festival dal vivo, spesso incontro il regista in sala. Ma se online vedo una clip di presentazione da parte dell’autore, trovo sulla stessa piattaforma un approfondimento scritto, mi confronto con gli altri spettatori, posso rivedere il film o alcune sue parte per almeno 24 ore, posso scegliere quali sottotitoli utilizzare ed essere sicuro della qualità digitale della trasmissione, ho sicuramente un risultato arricchente. Merito del direttore artistico, dei selezionatori, ma anche dei curatori dell’edizione in streaming e dei tecnici.

    E qui emerge la seconda riflessione, a partire da un caso apparentemente irrelato, ovvero la momentanea rimozione del film più visto della storia del cinema, Via col vento, dal servizio streaming HBO Max. Non è questo il luogo per riaprire la vivacissima polemica che si sta svolgendo sulla liceità etica di questa scelta (fatta a seguito di una lettera aperta dello scrittore e regista afro americano John Ridley, che giudica il film razzista e inopportuno nell’epoca del Black Lives Matter).

    Ci eravamo abituati alle piattaforme come a un confuso cestone delle offerte audiovisive, e scopriamo invece che molti spettatori  chiedono scelte critiche, paratesti, indirizzi e guide

    Quel che ci interessa è che HBO Max ha annunciato che, non volendo operare censure, riproporrà il film contestualizzato da qualche operazione di approfondimento storico, in aggiunta a un disclaimer: forse l’introduzione di un critico americano nero, forse altri tipi di riflessione storiografica. Indipendentemente da quel che pensiamo di questa pedagogia per adulti, ecco che nuovamente un processo di estrazione dal flusso neutro delle immagini, presa in carico delle controversie interpretative, risposta al bisogno di saperne di più e di rispettare la sensibilità delle minoranze oppresse, passa attraverso un’operazione editoriale e un affidamento curatoriale.

    Insomma, ci eravamo abituati alle piattaforme come a un confuso cestone delle offerte audiovisive (Amazon Prime Video, per dire, inserisce in catalogo una media di 20 film al giorno di cui nemmeno ci accorgiamo), selezionate per noi da algoritmi informatici che “imparano” dalle nostre scelte e ci profilano come clienti, e scopriamo invece che molti spettatori – per i motivi più vari – chiedono scelte critiche, paratesti, indirizzi e guide.

    Quando torneremo a fare esperienze cinematografiche collettive, in sala, continueremo certamente a consumare – e in maggioranza – prodotti online. Se lo faremo in modo più consapevole, e se le tante iniziative online sapranno come curare in modo attraente e attivo l’esperienza in streaming, potremo finalmente dire di aver imparato qualcosa dal lungo periodo di consumo digitale forzato.

    Note