Matera 2019 per un futuro open

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    Diamo inizio con oggi ad un percorso di narrazione di quanto stia avvenendo a Matera nella realizzazione del dossier che l’ha resa Capitale Europea della Cultura per il 2019.

    Questo spazio non vorrà essere un semplice storytelling, ma il tentativo di rendere vivo un laboratorio che da qui a oltre il 2019, può diventare punto di riferimento solo se è in costante dialogo attivo con le realtà locali, nazionale ed internazionali. Dobbiamo convincerci che alla narrazione (in tutte le sue dinamiche descrittive di realtà non solo positive ma anche fallimentari), si debba affiancare sempre più un lavoro di tessitura, di parola che chiami altre parole e pratiche. E visioni da costruire insieme. Questo è lo spirito del dossier di Matera 2019, nel quale lo slogan di Open Future, nasce proprio da un senso di responsabilità collettiva verso nuove dimensioni.

    In questo preciso momento, aprile 2016, accusiamo un ritardo rispetto all’agenda che la Fondazione Matera-Basilicata 2019 si era preposta: questo dovuto principalmente a varie ‘beghe’ politico-amministrative, sulle quali vi lasciamo alle cronache dei giornali. Particolarmente positiva è stata di recente la nomina di Aurelia Sole, rettrice dell’Università della Basilicata, a presidente della Fondazione, con l’augurio di intrecciare sempre più i percorsi di ricerca con una fattiva visione del futuro, così come sempre delineato da Paolo Verri, direttore del dossier.

    Ma in questo luogo ci interessa invece parlare di quanto si stia facendo davanti ma soprattutto dietro quelle scene, con la speranza sempre che esercizi di co-costruzione, riusciranno un giorno anche ad influenzare quel livello di gestione politico, attraverso un profondo lavoro sulla comunità di cittadini.
    Ora ripartiamo.

    A breve dovrebbe finalmente prendere avvio la nuova governance della Fondazione, con la messa a punto della macchina che dovrà accompagnare questo processo. Nel frattempo, unica Capitale Europea a farlo, si è deciso di attivare un processo di capacity building, per realizzare un percorso di formazione di nuove professionalità che dovranno accompagnare questo processo anche oltre il 2019. Con l’aiuto della Fondazione Fitzcarraldo, si stanno definendo le azioni prospettate dal dossier (Change Makers, Materalinks e Matera Public Service), che avranno il compito rispettivamente di lavorare sulla creazione di figure manageriali (che gestiranno i vari progetti), di ‘tessitori’ (che avranno il compito di mettere in rete nuovi attori e lavorare all’audience development), e di potenziare l’azione delle amministrazioni locali, aiutandole ad aprirsi all’innovazione.

    Passi necessari questi, non solo per preparsi all’evento 2019, ma per iniettare, qui, al Sud, un nuovo senso della cultura intesa essenzialmente come lavoro, come reale e necessario trasformatore socioeconomico.

    Nel frattempo, mentre si stanno montando gli ingranaggi, diversi progetti stanno prendendo il via, in forme anche autonome dal dossier stesso, a rimarcare l’azione positiva che il processo di candidatura ha avviato nelle coscienze locali. Ad esempio a maggio partirà il progetto di Amabili Confini, gestito da un’associazione materana, che, percependo la necessità di stimolare ‘letterature’ locali, affiancherà i quartieri a produrre autonarrazioni, facendosi accompagnare da famose scrittrici e scrittori quali Michela Murgia, Lidia Ravera, Diego De Silva, ecc.

    Parte integrante dell’azione della Fondazione sono invece i Future Digs, altro elemento immaginato nel dossier, grazie ad un’idea di Chris Torch, consulente per il processo di candidatura e di recente regista della vittoria di Rijeka come Capitale Europea della Cultura per la Croazia nel 2020.

    Future Digs sono incontri/scavi stratigrafici, mirati a costruire, partendo dalla consapevolezza di quanto è stato fatto, visioni del futuro. Sono e saranno momenti di coinvolgimento della cittadinanza, costruiti anche attraverso lavori preparatori con le scuole, associazioni e realtà/enti locali: temi quali innovazione digitale, letteratura e narrazione, cittadinanza e cittadinanza temporanea (turismo, migrazione), ecc. Il compito di questi incontri è informare ma soprattutto creare connessioni, e mettere la comunità in condizione di immaginarsi altrimenti, oltre le stasi locali.

    La settimana scorsa è stato organizzato il primo appuntamento, Tracce di futuro remoto: imparare dalle nanoteconologie con ospite Mauro Ferrari, famoso ricercatore, ma oserei dire, maestro di connessioni, fra nanotecnologie e umanità varia. Italiano (friulano, ma come ama dire, con padre gallipolino – a unire le anime opposte dell’Italia), emigrato da 35 anni negli Stati Uniti, è a capo di uno dei più grandi centri di ricerca, lo Houston Methodist Research Institute, con altissime competenze nelle nanotecnologie applicate all’oncologia, all’ortopedia e alla cardiologia e altre branche della medicina quali la neuroscienza, immunologia, ecc. 1500 ricercatori (dove peraltro, dopo la comunità cinese, quella italiana è la seconda per numero), fra i primi negli Stati Uniti (e quindi al mondo), per la qualità della ricerca. Il team di Mauro Ferrari è stato di recente al centro dell’attenzione mondiale per la scoperta di un potenziale nanofarmaco per curare le metastasi, che potrebbe sconvolgere la cura del cancro.

    Ma che c’entrano le nanotecnologie con Matera, con la Basilicata, con una terra che sicuramente non è, almeno in questo settore, all’avanguardia e neppure in grado di immaginarsi, nell’immediato, enti di ricerca/produzione?

    La scintilla che ha unito Matera 2019 e questo mondo, è nata su di un altro nanofronte, sempre del Sud Italia, Gagliato, piccolo paese calabrese di 400 abitanti. Meno di 10 anni fa, Paola Ferrari, insieme al marito Mauro, decisero, per una serie di felici accadimenti, di comprare casa in questo borgo, alla ricerca di una dimensione altra rispetto al loro luogo di residenza. Neanche la vicina Soverato, con le sue belle spiagge, andava bene, perché percepita come troppo affollata.

    A Gagliato, vittima come migliaia dei nostri paesi, di un crescente drammatico spopolamento (nonostante rappresentino l’ossatura storica dell’Italia), si sono poi immaginati, grazie all’incredibile energia di Paola, un luogo dove far venire ogni anno i più grandi esperti mondiali di nanoteconologia e medicina per incontri mirati, avendo posto 2 condizioni agli ‘scienziati’ : 1) che si portassero la propria famiglia – per rompere la dimensione ‘scientifica’ 2) che si facessero coinvolgere in un dialogo attivo con la popolazione locale ed, in particolare, con i più giovani. Da lì è nata l’Accademia di Nanogagliato, che ha in qualche modo ‘sconvolto’ la comunità locale, ma anche quella scientifica, unendo due mondi apparentemente agli antipodi e generando incredibili cortocircuiti, perché capaci di rimettere al centro l’essere umano come comune denominatore.

    I ricercatori hanno così scoperto che, lontano dai luoghi asettici dove abitualmente si confrontano, pensano la ‘scienza’ e le frontiere della ricerca in forma diversa proprio perché a contatto con più realtà più vere; d’altra parte ragazze e ragazzi di Gagliato, sollecitati da questi mondi ‘fantascientifici’ a contatto con gli scienziati (dei quali sono state prodotte anche ‘figurine’ che si scambiavano, e sulle quali chiedevano autografi) iniziano a immaginarsi un mondo altro, oltre (ma anche per) la loro terra. Questo nuovo connubio sta producendo ulteriori effetti a cascata: da frantoi che diventeranno nuove ‘case della cultura’ a corsi live per ragazzi da Houston, agli scienziati stessi che comprano casa a Gagliato. Fino a quelle scosse che, percepite da una amministrazione comunale intelligente, ha coinvolto i propri cittadini in nuove forme di autoresponsabilità, creando ad esempio squadre che si occupano dei beni comuni.

    La sintonia con i Ferrari è nata da questo spirito, nel capire come mettere in connessione queste realtà. La settimana scorsa abbiamo organizzato incontri con Mauro e Paola insieme alle associazioni che si occupano di divulgazione scientifica (Minerva Scienze e Liberascienza), a imprese culturali come Materahub, al centro di eccellenza di ricerca lucano oncologico (CROB), al Centro di Geodesia Spaziale, fino alle scuole superiori. Tutto questo per immaginarsi nuove sintonie e collaborazioni fra scienza e società.

    Momento clou è stato quello della splendida lezione/chiacchierata di Mauro Ferrari di fronte ad una grande platea piena di giovani e meno giovani.

    Spiegare la sua scoperta (prima mondiale peraltro!) ad un pubblico in larghissima parte profano, non era cosa semplice: ma la sua capacità di narratore/scienziato è emersa con grande energia, rendendo quasi comprensibili le teorie e le pratiche che 15 anni e più di lavoro hanno portato alla grande ultima scoperta sui nanofarmaci e le metastasi. Non starò qui a tentare una sintesi (che troverete nel video o negli innumerevoli articoli che ne hanno parlato), ma mi ricollegherò, per finire, ad una sua bellissima metafora.

    Il successo di questa ultima ricerca (condotta per ora su topini, ma che dall’anno prossimo, andando contro il trend nazionale americano che prevede in media un intervallo di 17 anni fra scoperta scientifica e applicazione, dovrebbe già iniziare ad essere sperimentato su pazienti umani) è stata costruita su di un approccio che Mauro Ferrari descrive in questo modo: bisognava andare oltre le mura ‘medievali’ della metastasi, sulle quali la ricerca si è sempre concentrata, perché i nanofarmaci, in formazione dispersa, si ritrovassero poi dentro le mura, si riaggregassero e ricongiunti, diventassero letali per la metastasi stessa. Un modo per aggirare il monolite, e cambiarlo/annientarlo dall’interno. Piccole nanoparti autonome che stravolgessero, una volta ricongiunte, il sistema malato.

    Il tutto condotto con un approccio che Mauro Ferrari definisce, ‘superdisciplinare’, oltre l’interdisciplinarietà, affrontando la ricerca con discipline che dialogassero fra loro oltre i propri steccati. Una lezione per il III millennio.

    La serata si è conclusa con Mauro e Paola che si sono fermati a parlare a lungo con ragazze e ragazzi conquistati da queste visioni, dalla ricerca all’avanguardia di Houston al piccolo grande mondo di Gagliato. Un pubblico entusiasta non solo per aver finalmente ‘capito’ la ricerca scientifica, ma perché si è sentito coinvolto, innanzitutto, e stimolato.

    Per Matera 2019 un punto di inizio di un percorso, reso fervido anche dalla particolare sintonia che si è accesa, anche e soprattutto dal punto di vista etico, dimensione spesso dimenticata. Al di là di progetti immaginati sulla divulgazione scientifica e la crescita di una comunità territoriale più consapevole (anche rispetto a dinamiche sociali locali) e su sintonie fra centri di ricerca, la grande spinta è venuta da un sentire comune nel ‘rivoluzionare’ queste nostre terre e diventare veramente un laboratorio aperto europeo/internazionale. Un modo nuovo anche per riaprire i dialoghi fra gli umanesimi delle piccole realtà dei paesi e le grandi scienze delle cittadelle della ricerca avanzata, per rigenerare, in maniera superdisciplinare, quel rapporto storico interrotto fra le scienze ‘dure’ e quelle umanistiche.

    Come tante nanoparticelle, portatrici sane delle proprie caratteristiche ed esperienze, dobbiamo trovare la chiave per portarci al cuore dei problemi, e lì trovare la capacità aggregativa per costruire qualcosa di nuovo e trasformare i vecchi sistemi.

    Un approccio di avvicinamento al 2019 (e da lì ad un nuovo open future), che caratterizzerà anche i futuri incontri di Future Digs, la formazione dei giovani manager, dei ‘tessitori’, e delle pubbliche amministrazioni. E che, a partire proprio dal processo formativo, come luogo anche di laboratorio, condizionerà la realizzazione dei tanti progetti da mettere in campo.

    E per ora, nano nano (per dirla alla Mork/Robin Williams), a presto per ulteriori aggiornamenti del comune cammino..

    Note