Un’idea di punk che ancora ci accompagna

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    Tra la fine del 1979 e il 1982, due fratelli originari di Biella, Stefano e Fabrizio Gilardino, sono i due redattori di un quaderno molto particolare. All’epoca Stefano ha 12 anni e Fabrizio ne ha 18. Il quaderno è una sorta di censimento, in tempo reale, della neonata e vivacissima scena musicale punk italiana.

    Del fenomeno se ne discute anche sulla stampa e la tv generalista. Con una grafia ordinata e l’uso di pallini, ovvero ciò che nei menù dei text editor di oggi si chiama «elenco puntato», il quaderno inventaria provincia per provincia le varie band del momento: a Bologna, tra gli altri, Skiantos e Gaznevada; a Milano Aedi e Teenage Depression.

    La mappatura va da Pordenone a Roma, fino a Firenze e perfino Vercelli. Si tratta, volendo classificare il quaderno e l’attività che lo ha prodotto, di una forma, ovviamente non salariata, ingenua e precoce, di lavoro editoriale e culturale, con la particolarità di essere stata svolta in comunione da due fratelli di un piccolo capoluogo piemontese. Quel quaderno, frutto di un’opera accurata di forbici, colla, consultazione e sfoglio di riviste, scontorno manuale di foto, raccolta informazioni e copiatura, è stato per fortuna conservato e si offre a noi come un delizioso reperto. Goodfellas -etichetta di promozione, distribuzione musicale e casa editrice- ha avuto l’idea di pubblicare una riedizione anastatica del quaderno, che esce in libreria col titolo Il quaderno punk e un cd musicale allegato.

    Il quaderno punk è soprattutto un documento utile per chi si occupa di «cultural studies», di sociologia della musica e di punk italiano, cioè una ricchissima produzione artistica che vanta, non solo in Italia, un notevole numero di appassionati e collezionisti. All’anastatica si somma una sezione del libro con una serie d’interviste inedite ad alcuni protagonisti della scena, spesso dimenticati, tra cui Luisa «Elettrasax» Vecchiet. Luisa fu la sassofonista delle dimenticatissime Clito, primo gruppo punk al femminile italiano, nato a Milano in una comune di sole donne verso la fine degli anni 70. Stefano Gilardino è riuscito a ritrovarla, scoprendo che lavorava nell’ufficio postale del suo quartiere. Oggi Fabrizio, il maggiore dei due Gilardino, vive tra Canada e Sudest asiatico, dove si occupa di grafica e cinema di animazione, mentre Stefano vive a Milano ed è scrittore e giornalista, nonché autore del recente La storia del punk (Hoepli)

    Stefano, che cosa significava nel 1979 avere 12 anni, vivere a Biella e ascoltare band come i Neon e i Tampax?

    In verità nulla di preciso. Da bambino il punk era una passione come un’altra. L’unico momento bizzarro è stato quando la maestra, in quinta elementare, mi ha trovato un quaderno (un altro!) con una foto di Sid Vicious con la svastica e ha chiamato mia madre. Il tutto si è risolto in fretta e senza punizioni, per fortuna. Qualche anno più tardi, da adolescente, ho cominciato a capire di avere interessi differenti rispetto alla maggior parte dei miei coetanei e a vivere Biella come una prigione.

    Il quaderno punk non sarebbe stato possibile in assenza di un supporto fisico e quindi di copertine, retrocopertine, buste interne, che diventavano oggetto di studio e anche di questa sorta di lavoro nerd e amanuense. Gli ascoltatori di un tempo avevano un approccio alla cultura musicale più rigoroso e scientifico rispetto agli ascoltatori di oggi?

    Copertine, testi, fotografie, grafiche erano importanti quanto la musica. Molto più di quanto lo siano oggi in un’epoca “liquida” e digitale. Passavamo ore a esaminare foto e ritagli, copiare informazioni, imparare formazioni di gruppi e discografie a memoria, oltre che ad ascoltare dischi. Si può essere appassionati di musica senza conoscere nulla di tutto ciò, ma è chiaro che il messaggio nella sua totalità arriva incompleto o, quantomeno, banalizzato.

    Tu che cosa leggevi?

    Tutto ciò che passava per casa. Spesso i rotocalchi e i giornali femminili erano la fonte migliore per quanto riguarda il punk, molto più delle riviste di musica. Grazia, Annabella, Stop, Gente. Poi c’erano Ciao 2001, Popster/Rockstar, Musica 80, il primissimo Rockerilla, Re Nudo, Gong. Il Guerin Sportivo aveva un’interessante sezione dedicata alla musica, da cui sono tratte alcune foto del quadernone.

    Qual era la leva che ti spingeva a questo tipo di lavoro di copiatura e riproduzione, che immagino potenzialmente anche molto noioso e ripetitivo?

    Mi sento quasi in imbarazzo a dirlo, ma se devo dire la verità non lo so neppure io, non in maniera cosciente almeno. Lo facevamo per avere sotto controllo tutto ciò che accadeva in un microcosmo musicale che sentivamo nostro più di altri. Forse c’era già in nuce una tendenza alla categorizzazione e al collezionismo, chissà…

    Quando fu il tuo primo concerto punk da spettatore?

    Faccio molta fatica a focalizzare quel momento. Il primo in assoluto fu Eugenio Finardi nel 1979, ma per il punk credo di aver aspettato almeno un paio d’anni.

    Si dice che la trap sia il nuovo punk. Che ne pensi?

    Considera la forza rivoluzionaria del punk in ogni campo artistico -musica, cinema, pittura, grafica, moda, fotografia, letteratura- e poi fai un paragone con la trap. La risposta viene facile.

    Il punk italiano vanta estimatori molto illustri, come l’ex Sonic Youth Thurston Moore. Che cosa lo ha reso tanto speciale?

    Ci sono varie fasi, quella di fine anni Settanta e l’hardcore hanno poco in comune, se non un’ingenuità particolare che li rende speciali e inimitabili. Non per niente, molti dischi di quel periodo sono ricercati e collezionati in ogni parte del mondo.

    Tu sei uno storico del punk, che in qualche modo, con il quaderno di cui stiamo parlando, ha iniziato la sua attività nel 1979. Che cosa significa scrivere e riflettere su una cultura e un linguaggio artistico che per eccellenza è selvatico, fatto per bruciare, che vive d’immediatezza, rifiuta la riflessione e forse è perfino refrattario al lavoro critico, storico e di approfondimento?

    Posso parlare per me ovviamente e dirti che sono felice di pubblicare ora un’opera così grezza, innocente e naïf come questo quaderno perché rispecchia una mia idea di punk che ancora mi accompagna. Dopo averne scritto una storia ragionata per Hoepli ed essendo ben conscio del fatto che il punk, come qualunque altro genere sia ormai pronto per i musei, avevo bisogno di riportare tutto quanto a un livello “inferiore”, se così posso dire. Non a livello qualitativo, ma di ambizioni, quantomeno. Quello che trovi nel quadernone è la mia –e di mio fratello, ovviamente- versione del punk nel 1979, nuda e cruda.

    Quali sono stati i percorsi di vita di chi ha suonato nel punk in Italia? Si sono integrati oppure in qualche modo sono riusciti a vivere «fuori dal sistema», per usare un’espressione di quegli anni?

    Ciascuno ha seguito una propria parabola però credo che il punk, in qualche modo, abbia segnato ognuno di loro. O forse mi piace pensare che sia così, come lo è stato per me e mio fratello. Johnny dei Dirty Actions è stato per anni un disegnatore della Disney, ora credo faccia altro. Luisa delle Clito ha lavorato in posta per una vita intera e, al contempo, si occupava di poesia sonora. Fabio/Miss Xox degli HItlerSS fa il geometra in comune a Pordenone ed è una delle persone più genuinamente punk che abbia mai conosciuto, Ado dei Tampax si occupa di organizzazione di concerti a livelli altissimi (uno su tutti i Pink Floyd a Venezia), Marco ed Enrico dei Confusional Quartet fanno i produttori musicali, Giorgio dei Gaznevada lavora per Marvel Italia. Eccetera, eccetera.

    Sei ancora d’accordo con il tuo giudizio di allora sui Decibel di Enrico Ruggeri, ovvero che ebbero due fasi e che la seconda fu molto più commerciale?

    Beh, credo sia innegabile, senza che questo debba essere per forza un giudizio di merito. Il primo album era più “intransigente” e ha certamente poco in comune con pezzi come Contessa e Indigestione disko. 40 anni dopo, tuttavia, posso dire di essere ancora un fan di entrambe le fasi.

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