Nel 1989, sulla storica rivista Raw, il fumettista americano Richard McGuire pubblicò « Here ».
Era una storia di sei pagine, in bianco e nero, che aveva come punto di partenza un’idea semplice e al tempo stesso formidabile: raccontare la vita di un unico luogo, e di ciò che lì era accaduto nel corso del tempo. Lo spazio era un punto fisso, un microcosmo apparentemente insignificante; il tempo una potenza inarrestabile, variabile travolgente e in continua evoluzione. McGuire raccontava il mondo attraverso l’angolo di una casa (un salotto, per la precisione), presentandolo attraverso gli eventi e silenzi che l’avevano attraversato in epoche differenti. Nascite, morti, giorni di sole e notti di pioggia, battaglie, sussurri, litigi, dichiarazioni d’amore, momenti di studio, annunci solenni e momenti di noia, albori e tramonti di civiltà. Tutto accadeva nella stessa porzione di mondo, che era inquadrata sempre allo stesso modo e raffigurata innumerevoli volte, in anni che dal 500,957,406,073 avanti Cristo arrivavano fino al 2033 dopo Cristo. Gli spazi temporali si sovrapponevano uno sull’altro: una conversazione dei tempi del Rinascimento stava accanto a una sera davanti alla tv in un salotto anni sessanta, uno sprazzo di paleolitico risplendeva sullo stesso piano del futuro. Quasi trentacinque anni dopo, alla fine del 2014, Richard McGuire trasformò « Here » in un libro vero e proprio, che venne pubblicato da Pantheon e poi in Italia da Rizzoli, l’anno successivo. 584 pagine in cui il tempo diventa eterno e lo spazio si divide, racconta, esplode e implode. « Here » è un’opera sconfinata che può essere letta in moltissimi modi e sensi diversi: eppure sfogliando quelle pagine, oltre alla commozione per i luoghi, gli esseri e le cose, il sentimento che ne viene fuori è sempre certezza: quella che un luogo non è mai solo una cosa, ma il risultato di tutto quello che è stato in secoli di storia, in quello che è nel momento in cui lo guardiamo, e in quello che forse diventerà.
Sarebbe bello provare a scrivere una versione di « Here » anche qui a CasermArcheologica. Caserma, palestra, palazzo nobiliare, forse perfino convento durante il medioevo. Caserma ha avuto molte vite, e i suoi muri lo testimoniano. Sono muri spessi, complicati, pieni di tracce, residui, ricchi di indizi e di strade. E, come la terra cui appartengono, conservano impronte e segni di passaggio. Dagli incantesimi della sala rosa, ai segreti delle stanze del canestro, che insieme ai ricordi affastellano oggetti, frammenti, echi lontani, qui ogni spazio è diverso e unico nella sua anima e nella sua storia. Respira seguendo un suo tempo, che prescinde da quello del borgo in cui si trova, dalle stanze che gli sono accanto, da quello che tra quei muri accade, ricorda o aspetta. Le stanze di caserma sono anime antiche, e insieme figlie del tempo, custodi e testimoni di momenti e di riti di passaggio. Sono luoghi saggi, eppure sempre entusiasti: di un nuovo inizio o di un suono imprevisto. In questi mesi sono state gremite, illuminate dal sole, poi piano piano le abbiamo viste svuotarsi, ritrovare quel silenzio in cui a lungo sono rimaste prima che l’avventura di CasermArchelogica avesse inizio. E se ricostruire tutti i paesaggi, i ricordi della lunga storia di un luogo come questo è impossibile, è stato bello e prezioso vederli cambiare in questi mesi, evolvere insieme alle stagioni, vivere malgrado le emergenze e perfino attraverso di esse.
Racconto di: Eleonora Marangoni
Foto: Silvia Noferi