Su Giovanni Gastel, un amico e un grande fotografo

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    Un volto femminile, leggermente reclinato all’indietro, rivolge verso lo spettatore uno sguardo obliquo, ma diretto e intenso, velato di malinconia. In un gioco di rimandi e di sperimentazioni, alla stampa in bianco e nero si sovrappone una cascata di pietre preziose, multicolori, che dà forma alla capigliatura e al vestito della modella.

    Una grande pietra trasparente isolata, a forma di goccia, si trasforma in un’unica grande lacrima che scende lungo la guancia sinistra della figura e crea una vibrazione nella perfezione quasi classica della composizione. Questa stessa lacrima, grande e leggera, acquista improvvisamente oggi un significato inaspettato e malinconico, ci accompagna con tristezza nel ricordo di un grande uomo, di un grande fotografo, di un grande amico e ci fa immediatamente ripensare ai mondi immaginati che era in grado di mettere in scena, alle atmosfere che sapeva ricreare nel suo studio.

    La fotografia fa parte del nucleo di oltre 280 stampe di Giovanni Gastel conservate nelle collezioni del Museo di Fotografia Contemporanea. Tra queste ci sono le fotografie originali esposte nella mostra Fashion in still-life, la sua prima mostra personale, presentata nel 1986 presso la galleria Il diaframma da Lanfranco Colombo, a cui Giovanni era legato da un’amicizia lunga e profonda, tanto da esserne stato successivamente testimone di nozze. Si tratta di alcune serie caratterizzate da linguaggi, tecniche di ripresa e di stampa, montaggi, formati molto diversi, come diversi sono anche i soggetti: still-life con composizioni sorprendenti, capi indossati, raffinati ritratti, molte immagini di prodotto realizzate per il marchio Trussardi nei primi anni Ottanta, in una Milano che iniziava ad affermarsi sulla scena internazionale come straordinario laboratorio interdisciplinare in cui dialogavano moda, design, arte, fotografia, comunicazione.

    È in questo clima culturale che Gastel, grazie a una estrema dedizione e nonostante le profezie poco incoraggianti del padre Giuseppe, inizia ad affermarsi nel mondo della moda realizzando campagne per i grandi marchi del Made in Italy e collaborando con riviste come Vogue, Mondo Uomo e Donna.  La sua fotografia è elegante, intensa, equilibrata. Sperimenta linguaggi, cromie, novità tecnologiche con estrema sapienza e crea un proprio mondo narrativo nel quale solo la raffinatezza è di casa. In tempi recenti, parlando delle sue immagini, raccontava che se gli capitava di vedere qualcosa che gli interessava non gli veniva in mente di fotografare “dal vero” ma di ricostruire in studio quello che aveva visto. “Il mio piccolo mondo lo costruisco in studio”, diceva.

    Il legame di Giovanni Gastel con il Museo di Fotografia Contemporanea non si ferma alle opere conservate all’interno del patrimonio fotografico. In anni recenti, su invito della Triennale, Gastel ha accettato di far parte del Consiglio di Amministrazione del Museo insieme a me, Lorenza Bravetta, Sabino Frassà e Giorgio Zanchetti. Sono anni delicati per il Museo, che affronta una prima ristrutturazione di governance con l’ingresso della Triennale come Partecipante, e poi numerosi assestamenti, progetti di rilancio, ipotesi di trasferimento, studi di fattibilità e, non da ultimo, come tutti gli altri luoghi della cultura, le ferite impreviste e tremende della pandemia.  Giovanni ha sempre guardato alle sorti del Museo con fiduciosa, affettuosa partecipazione, saggezza e senso di realtà. Aveva bene in mente l’importanza di questa istituzione, della sua storia eccezionale e del suo patrimonio ma quello che lo interessava di più erano le persone che ci lavorano, le competenze, la dedizione, l’entusiasmo, il suo “capitale umano”.

    Appena entrato in Consiglio ha fatto la cosa più naturale da farsi, eppure quella più rara e sorprendente: è venuto in visita al Museo. Non per una visita sommaria o di cortesia. Per capire e conoscere l’istituzione voleva vedere con i propri occhi e confrontarsi lungamente con chi vi lavora e che in quel luogo, in quel progetto, ha investito in sogni, impegno, sacrifici, sfide. Giovanni ha raccolto le voci e tradotto questa esperienza sul campo in un moto costante di stima e di attenzione nei confronti del gruppo di lavoro. Il suo generoso invito a immortalare tutti loro in un ritratto collettivo è rimasto purtroppo sospeso.

    Giovanni ha condiviso nelle riunioni di Consiglio il suo inconfondibile garbo, il profondo rispetto per le persone e le cose, e una gentile ironia capace di stemperare anche i rari momenti di tensione o preoccupazione.

    Vorrei concludere questo contributo, che mi è stato richiesto anche in virtù del mio ruolo di Presidente del Museo di Fotografia Contemporanea, con una riflessione strettamente personale che ho già in parte condiviso con il Corriere della Sera. Ho intervistato Giovanni Gastel nel 1985 per una rivista di fotografia e lui mi ricordava spesso di essere stata la prima persona a dedicargli un’attenzione giornalistica. L’ultima volta che ci siamo visti è stato il 18 febbraio 2021, in occasione di una conversazione online sulla sua mostra The People I Like. Significano quarant’anni di conoscenza, frequentazione, stima, collaborazioni professionali per i diversi giornali per i quali ho lavorato. Sono stata anche invitata al ballo che festeggiava il suo matrimonio. Giovanni Gastel era un amico, era un grande fotografo, era milanese e cittadino del mondo e nel suo caso “milanese” indica quanto di generoso, di bello, di colto e un pochino anche di snob che Milano può regalare.

    A Milano lo legava la storia della sua famiglia, un affetto profondo e ricambiato. Al Palazzo della Ragione aveva presentato nel 2009 una formidabile mostra dal titolo “Maschere e Spettri” curata da Germano Celant e nel 2016, stesso luogo e stesso curatore, una grande antologica che ripercorreva la complessità della sua ricerca nella moda, nell’informazione e nella sperimentazione visiva.

    Periodicamente pubblicava su Facebook le sue poesie, sua vera grande passione. Il 18 febbraio, nella conversazione online, ci ha dedicato una lirica del 2014, “Zanzibar”: “Approdato in questa epoca come un naufrago in una terra sconosciuta, ho misurato il territorio e appreso la lingua dei nativi. Sono invecchiato raccontando del mio mondo lontano ma ancora, la notte, nel buio, sogno navi amiche che mi riportino a casa”. Le sue poesie, le sue opere rimangono. Giovanni ci manca e ci mancherà.


    Le immagini di Giovanni Gastel pubblicate nell’articolo, datate tra il 1980 e il 1991, appartengono alla collezione del Museo di Fotografia Contemporanea, Fondo Lanfranco Colombo/Regione Lombardia,  © Eredi Giovanni Gastel

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