Sembra che non riusciamo a immaginare il futuro senza un po’ di nostalgia

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    Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Wired. Clicca il pulsante in basso per leggere il testo completo.

    Viviamo in quello che è senza dubbio il tempo più tecnologicamente avanzato che l’umanità abbia mai prodotto e – almeno sulla carta – quello in cui si dovrebbero vedere i prodotti e gli scenari di quello che avrebbe dovuto essere il futuro. Eppure, se si guarda ai tratti culturali e politici dell’oggi a dominare sono piuttosto tratti nostalgici, intrisi di romantico rimando a un passato spesso idealizzato verso il quale auspicare di tornare per sfuggire ai tratti insicuri di un presente complesso, instabile e, in molti aspetti, brutale.

    La nostalgia è a tutti gli effetti “lo zeitgeist culturale” di questa epoca. Nel suo libro Zeitgeist Nostalgia. Populism, work and “the good life” (Zer0 Books – ma di prossima traduzione italiana da parte di Treccani), Alessandro Gandini, professore associato di Sociologia presso La Statale di Milano, analizza i tratti di questa egemonia della nostalgia nella politica e negli stili di vita contemporanei a partire dai ribaltoni politici del 2016, un anno che segnò almeno due fatture importanti nel clima politico-sociale del contemporaneo, causate dalla vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti di quell’anno e dal successo del “Leave” nel referendum sulla Brexit nel Regno Unito. Per Gandini quei due eventi hanno marcato l’emersione mai così palese di narrative nostalgiche nel discorso pubblico, mentre i mantra populisti di destra sul “riprendere il controllo” diventavano egemoni.

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