Dov’è il «soggetto decentrato»?

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    Quando gli ideologi del cyberspazio decostruzionista (opposti agli ideologi del cyberspazio New Age predominante) cercano di presentare il cyberspazio come qualcosa che procura una realizzazione o una conferma «empirica», da «vita reale», delle teorie decostruzioniste, di solito puntano l’attenzione su come il cyberspazio «decentra» il soggetto. Sia Stone sia Turkle affrontano la cosa attraverso la relazione tra Mud e Disordine della Personalità Multipla (Mpd) post‐traumatico. Ci sono quattro varianti nella relazione tra il Sé e il «proprio» Corpo che violano la norma standard etico‐giuridica di «una persona in un corpo»:

    reale

    Pubblichiamo un estratto da Che cos’è l’immaginario di Slavoj Žižek – Il Saggiatore

    Molte personalità in un solo corpo (la «patologia» del Mpd): questa variante è «patologica» in quanto non vi è chiara gerarchia tra la pluralità delle persone – manca La Persona che garantisca l’unità del soggetto.

    Molte persone fuori da un solo corpo (i Mud del cyberspazio): queste personalità rimandano al corpo che esiste fuori dal cyberspazio, nella «realtà», con il presupposto (ideologico) che questo corpo fornisca una «vera personalità» dietro le molteplici maschere (le personalità video) della Realtà Virtuale.

    Molti corpi in una sola persona: questa variante è ancora una volta «patologica» in quanto molti corpi si uniscono immediatamente a una singola personalità collettiva, e in tal modo violano l’assioma «un corpo – una persona». Si consideri l’immaginario degli alieni, «una molteplicità di corpi, ma una mente collettiva»; o il caso dell’ipnosi, nel quale la personalità di un corpo possiede un altro corpo – per non citare la popolare immagine delle società «totalitariste» che funzionerebbero come un formicaio – il Centro (il Partito) controlla totalmente le menti individuali…

    – Molti corpi fuori da una sola persona (un’istituzione, una personalità «giuridica» – o, come dicono in Francia, «morale»). Questo caso è quello di come «normalmente» abbiamo rapporti con un’istituzione: diciamo «lo Stato, la Nazione, la compagnia, la scuola… lo vuole», sebbene «sappiamo molto bene» che un’istituzione non è un’entità effettivamente vivente con una volontà propria, ma è una funzione simbolica.

    La tentazione che va qui evitata è quella di «decostruire» troppo in fretta il limite che, in entrambi i casi, separa il «normale» dal «patologico». La differenza tra il soggetto che soffre di Disordine della Personalità Multipla e quello che gioca nei Domini Multi Utente non sta nel fatto che nel secondo caso resta ancora un nucleo del Sé saldamente ancorato alla «vera realtà» fuori dal gioco virtuale. È piuttosto il soggetto che soffre di Mpd a essere ancorato troppo saldamente alla «vera realtà»: ciò che gli manca è, in un certo senso, la mancanza stessa: il vuoto che rende conto della dimensione costitutiva della soggettività. Sarebbe a dire: i «molteplici Sé» esternati sullo schermo sono «ciò che voglio essere», il modo in cui mi piacerebbe vedere me stesso, le rappresentazioni del mio ego ideale; come tali, essi sono come gli strati di una cipolla: non c’è niente nel mezzo, e il soggetto è questo stesso «niente». È perciò fondamentale introdurre qui la distinzione tra «Sé» («personalità») e soggetto: il «soggetto decentrato» di Lacan non è semplicemente una molteplicità di buoni vecchi «Sé», di centri parziali; il soggetto «diviso» non significa che ci sono semplicemente più Ego/Sé in uno stesso individuo, come nei Mud.

    Il «decentramento» è il decentramento di $ (il vuoto del soggetto) rispetto al suo contenuto (il «Sé», il nodo dell’identificazione immaginaria e/o simbolica); la «scissione» è la scissione tra $ e la «personalità» fantasmatica come «essenza dell’Identità». Il soggetto è scisso anche se possiede un solo Sé «indiviso», dal momento che questa scissione è la scissione stessa tra $ e Sé…

    In termini più topologici: la divisione del soggetto non è la divisione tra un Sé e un altro, tra due contenuti, ma la divisione tra qualcosa e niente, tra il carattere dell’identificazione e il vuoto.

    Pertanto, «decentramento» indica per prima cosa l’ambiguità, l’oscillazione tra identificazione simbolica e immaginaria – fino all’indecidibilità su dove sia la mia vera essenza, nel mio sé «reale» o nella mia maschera esteriore, con la possibile implicazione che la mia maschera simbolica possa essere «più vera» di ciò che nasconde, della «vera faccia» dietro di lei. A un livello più radicale, ciò dimostra che lo stesso scorrere da un’identificazione a un’altra, o tra «molteplici sé», presuppone la distanza tra identificazione in quanto tale e il vuoto di $ (il «soggetto barrato») che identifica se stesso – funge da vuoto mezzo dell’identificazione. In altre parole, proprio il processo di trasformazione tra le molteplici identificazioni presuppone una sorta di fascia vuota che renda possibile il salto da un’identità all’altra, e questa fascia vuota è il soggetto stesso.

    Per rendere più chiaro il concetto di «decentramento» del soggetto bisogna rifarsi a quello di «sistema operativo» informatico: un programma che agisce come mio sostituto, eseguendo una serie di funzioni specifiche. Un «sistema operativo» agisce in entrambe le direzioni: da una parte può servire come mia estensione e agire per me, passando in rassegna un immenso conglomerato di informazioni ed evidenziando ciò che mi interessa, portando a termine per me compiti più o meno semplici (mandare messaggi ecc.); dall’altra, può agire su di me e controllarmi (per esempio, può controllare automaticamente la mia pressione sanguigna e avvertirmi se sale troppo).

    Un programma del genere che agisca come mio sostituto entro il cyberspazio fornisce un quadro quasi perfetto del concetto lacaniano di ego come contrario del soggetto: un sistema operativo non è «un altro soggetto» ma semplicemente l’ego del soggetto, l’ego come supplemento del soggetto – esso è, naturalmente, una specie di «alter ego», ma il punto di Lacan è che l’ego stesso è già – sempre «alter» rispetto al soggetto di cui è l’ego.

    Per questa ragione, il soggetto intrattiene nei suoi confronti quella relazione di accettazione-rifiuto descritta da Turkle: «si sa benissimo che è solo un programma e non una persona reale viva», ma è proprio per questo motivo (cioè perché si sa che «è solo un gioco») che ci si può permettere di trattarlo come un amorevole partner… Qui incontriamo ancora una volta l’ambiguità radicale dei supplementi elettronici: essi possono migliorare le nostre vite, liberandoci da pesi non necessari, ma il prezzo che paghiamo è il nostro radicale «decentramento» – vale a dire che, fra l’altro, i sistemi operativi ci «mediatizzano». Dal momento che il mio sistema operativo è un programma esterno che agisce per conto mio, decide quali informazioni avrò e leggerò, e così via, è facile immaginare la possibilità paranoica di un altro programma che controlla e dirige il mio sistema operativo a mia insaputa – se ciò dovesse succedere, io sarei, per così dire, dominato dall’interno; il mio stesso ego non sarebbe più mio.

    Uno dei luoghi comuni sul Romanticismo è che esso sostiene la pazzia in quanto fondamento positivo della «normalità»: non è la pazzia che è una distorsione secondaria e accidentale della normalità; piuttosto, è la normalità stessa che non è niente se non pazzia acculturata/regolata (per citare Schelling) – in questo modo il Romanticismo preannuncia chiaramente la tesi freudiana secondo cui il «patologico» fornisce la chiave per il «normale». Ma già molto prima del Romanticismo Malebranche adottava lo stesso approccio. Nel pensiero illuminista del XVIII secolo, l’uomo cieco agiva come modello per permetterci di afferrare la logica della visione: possiamo rivendicare di aver compreso la vista solo quando possiamo tradurre l’atto del vedere in una procedura accessibile anche a una persona che, propriamente, non vede (vedi Zupančič 1996).

    Nello stesso modo, Malebranche sostiene che il caso «patologico» di percepire la mano che non si possiede fornisce la chiave per spiegare come una persona «normale» sente la mano che possiede davvero – come in psicoanalisi, dove il «patologico» fornisce la chiave interpretativa del «normale». Non stupisce, dunque, che Malebranche, in effetti, abbia anticipato la famosa battuta di Lacan sulla pazzia («Pazzo non è solo un mendicante che pensa di essere un re, ma anche un re che pensa di essere un re» – cioè, che basa direttamente il suo mandato simbolico sulle sue immediate proprietà naturali): in stretta analogia, Malebranche afferma che pazzo non è solo una persona che sente la sua mano destra senza averne effettivamente una – cioè, una persona che può provare dolore nei suoi arti mancanti – ma anche una persona che sente una mano che in effetti ha, dal momento che quando affermo di sentire direttamente la mia mano, io confondo due mani ontologicamente differenti: la mano materiale, fisica, e la rappresentazione di una mano nella mia mente, che è l’unica cosa di cui sono a conoscenza davvero.

    Pazzo non è solo un uomo che pensa di essere un gallo, ma anche un uomo che pensa di essere a tutti gli effetti un uomo – sarebbe a dire, di essere solo questo corpo materiale che egli sente direttamente come suo proprio. Qui Malebranche evoca la problematica dei due corpi, quello comune materiale e quello sublime: il fatto che posso pienamente sentire l’arto che non ho dimostra che la mano che sento non è la mano corporea ma l’idea di questa mano piantata nella mia mente da Dio. (Nella sua musica per pianoforte, Robert Schumann utilizza la stessa dicotomia a proposito di una melodia che ci si aspetta – il cui luogo strutturale è costruito – ma che poi non viene effettivamente suonata: per questa ragione la sua presenza è percepita con ancora maggior forza.)

    E il fallo non è forse quello strano organo corporeo nel quale la causalità fisica e mentale sono separate e allo stesso tempo si uniscono strettamente (la sua erezione non obbedisce forse alla mia volontà conscia, eppure posso avere un’erezione involontaria tramite meri pensieri)? Probabilmente questa simultanea separazione/coincidenza definisce la «castrazione simbolica». Si può così dire che il fallo sia l’ultimo oggetto occasionalista: il punto in cui il divario stesso che separa la serie delle cause mentali dalla serie delle cause corporee è inscritto nel nostro corpo…

    Note