Rosetta e il piacere: desiderio, ossessione e libertà. Una bibliografia

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    Il percorso dell’edizione 2018 del ciclo di incontri Rosetta, progetto culturale nomade di cheFare e Casa della Cultura, è partito (negli intenti) e si sta concludendo (nelle pratiche) attorno al concetto di piacere/piaceri.
    In modo intuitivo, ciascuno di noi può sentirsi legittimato a declinarne un aspetto, ma il concetto in sé sfugge a una definizione organica, soprattutto perché ogni tentativo risulta schiacciato: sul godimento, sulla politica, sulla proibizione. Nel concetto di piacere si addensano i rapporti di soddisfazione o di frustrazione tra i soggetti e i propri corpi (e quelli altrui): si va dal regime di verità e dal soddisfacimento di un desiderio nel poter dire, nel poter fare, o, per dirla con Lacan, di una jouissance, fino alla cupa correlazione tra corpi, consumo e consumazione. Ne discuteremo con Paolo Mottana, Elena Stancanelli, Monica Stambrini. Ogni ospite raccoglie un’eredità, un percorso, un linguaggio.


    rosetta santeria social club milano

    Martedì 4 dicembre 2018 alle 19.00 Paolo Mottana, Monica Stambrini ed Elena Stancanelli parleranno di piacere, desiderio, ossessione e libertà con Valeria verdolini al Santeria Social Club in Viale Toscana, 31 a Milano


    Il concetto di Piacere è emerso fin dall’inizio delle nostre riflessioni: il tema abusato più di ogni altro negli ultimi vent’anni. Ci sembrava che il suo significato si fosse perso in qualcosa di molto lontano da una definizione comune (dove per comune si intende intergenerazionale, trasversale rispetto ai saperi e ai generi). È stato chiaro da subito di cosa avremmo voluto parlare, ma non come, in che termini.

    Orientarsi tra gli autori, gli approcci e i modelli è ostico, ma un filo comune unisce le varie manifestazioni e riflessioni: il legame tra desiderio e politica.

    Edoardo Sanguineti scrive :
    parliamo, per piacere, dei piaceri della vita, per una volta (ho detto
    alla moglie di Van Rossum, lunedì verso le 11): (che una tedesca di Monaco,
    proprio, sotto i 30, credo, bianca di pelle come un bianco d’uovo):
    e il primo
    piacere è chiavare, certo: e poi, per me, dormire nel sole (come dormivo adesso,

    le ho detto, prima che arrivasse lei: a torso nudo come mi vede, e a piedi
    nudi, ecc.) : e il terzo è bere vino (francese, possibilmente, come quello
    che abbiamo bevuto sabato con Berio, e anche venerdì, a Rotterdam e qui) :
    (e ho concluso che il paradiso è chiavare nel sole, forse, pieni di Saint-Emilion):

    Se il piacere del vino sta trovando sempre più spazio nelle pratiche quotidiane, la riflessione politica legata ai piaceri spesso fatica ad emergere.
    Nella Grecia socratica il piacere era argomento di polemica tra cinici e cirenaici. Causa della schiavitù dell’animo per i primi, motore delle azioni per i secondi. Aristippo fondò la scuola cirenaica e stando alle analisi di Matteo Nucci, riteneva che solo attraverso le armi della conoscenza il piacere possa accompagnarsi senza eccessi alla felicità, a condizione di essere autonomi e consapevoli. Il paradigma si riassume nella frase che ha reso celebre il filosofo proprio rispetto alle sue relazioni amorose con l’etera Laide: “La posseggo, non ne sono posseduto” disse “Ottima cosa è vincere e non essere schiavi dei piaceri, più che il non goderne affatto”. Si deve godere, ma soltanto quando il piacere è in nostro possesso e non siamo noi a esserne schiavi.

    Mario Perniola ripercorre le trasformazioni della definizione di Aristippo: già con Platone il piacere viene scollegato dal corpo per liberare l’anima; con Aristotele si vincola ad un’attività, e assume una definizione metafisica. Infine Epicuro pone il piacere in una prospettiva teleologica e lo indica come raggiungimento e vicinanza agli dèi attraverso la dinamica dell’amicizia.

    L’etica cristiana condanna esplicitamente la ricerca del piacere. Le condotte vengono disciplinate, si esercita un potere di governo sui corpi che si ispira alla liberazione da ogni forma di godimento e rende scandaloso ogni tentativo di argomentazione su questi temi.

    Esiste un fil rouge di eretici che a partire da De Sade, Von Sacher-Masoch e Fourier attraversa due secoli: Nietzsche, Bataille, ma anche Marcuse e Artaud, molto meno evocati dell’attualissimo e citatissimo Foucault, ma direttrici possibili della controeducazione proposta da Paolo Mottana.

    Nel secolo scorso, è Michel Foucault che ritorna sulla questione riproponendo la centralità del desiderio, da opporre come pratica di liberazione al disciplinamento dei corpi. Il filosofo di Poitiers incentra il suo ultimo lavoro genealogico sulla sessualità (tema che attraversa le sue opere dal 1976 al 1984) e dedica esplicitamente all’uso dei piaceri la sua storia della sessualità II. Michel Foucault costruisce la sua forse più potente critica del potere, tracciando il sentiero per la liberazione dei corpi, anche attraverso il suo ultimo lavoro sulle confessioni della carne.

    Se ne “La volontà di sapere” il filosofo delinea e perfeziona il dispositivo di saperi/poteri che si incide sui corpi, il volume II e volume III si adoperano per individuare le pratiche di libertà e le pratiche di liberazione, anche attraverso l’accettazione e l’individuazione dei piaceri e i passaggi da Aphrodisia (ossia le tematiche e le pratiche care ad Afrodite, atti e gesti che provocano una forma di piacere), Chrēsis (ossia i modi, gli usi dei piaceri, ma anche la morale che li regola) a Enkrateia (che l’atteggiamento che si ha verso se stessi, il buon uso dei piaceri, spesso vicino a sophrosyne-la temperanza), fino alla Libertà e verità, ossia il rapporto con la ragione, con logos, e con la razionalità della liberazione degli stessi. Foucault ripercorre, quindi, la costruzione dei sistemi di proibizioni attraverso la regolamentazione dell’uso degli stessi.

    Mentre Foucault, in termini filosofici, critica le teorie e le forme di disciplinamento, il cinema libera i corpi e utilizza il piacere e la sessualità, in linea con Bataille come strumenti di critica del capitalismo. Superfluo quindi citare Pasolini, che da Teorema alla Trilogia della Vita, passando per Comizi d’amore, riflette su corpi e potere dando visione (anticipatoria) ai pensieri foucaultiani.

    Ma in modo più profondo, e in questi giorni quasi necessario da evocare, il tema del piacere permea qualsiasi lavoro di Bertolucci, forse proprio per l’influenza della visione di Max Ophuls e dell’omonimo film. Nel dramma di Ophuls, i tre blocchi di racconti tratti da Maupassant definiscono il rapporto tra spinta vitale ed effimero, tra il ballo sfrenato e la maschera per ingannare il tempo che passa, e poter odorare le pomate e i capelli delle ballerine.

    Dalle pulsioni di Stefania Sandrelli ne Il conformista, passando per gli stravolgimenti di Bowles e Debra/Kit ne Il té nel Deserto, fino al giovane tossicodipendente de La luna il piacere, la scoperta (come in Io ballo da sola) e l’ossessione (che continua anche dopo oltre 40 anni nel dibattito attorno a Ultimo tango a Parigi) sono i temi centrali dell’estetica del regista parmense, che restituisce il senso politico di quel piacere con The dreamers. Il testimone, idealmente, viene passato proprio a Guadagnino (e al suo Chiamami col mio nome tratto da Aciman) all’ultimo salone del libro di Torino, in quell’intenso dialogo su riformismo e rivoluzione che non può non attraversare i corpi e il piacere, e che unisce Parma e Crema -quell’asse lombardo-emiliano sul crinale della storia e della pianura.

    Il legame tra rivoluzione e sessualità, tra piacere e conoscenza viene esplicitato dalla filosofia lacaniana, e soprattutto nelle riletture post-strutturaliste che hanno accompagnato la psicanalisi, soprattutto ad Est. Chiarificatore è il lavoro di Alenka Zupancic su cosa sia il sesso, che diventa, automaticamente, una riflessione sul piacere, e così come nelle riflessioni precedenti tra filosofia e schermo, lo connette al consumo e agli immaginari, e più noto e ormai quasi pop uno dei primi testi di Zizek, Il godimento come fattore politico.

    In un commento poco successivo all’uscita del volume, Pier Aldo Rovatti afferma “Lo sforzo che invece dobbiamo fare è cercare di passare dalla tragedia alla commedia. Ottenere un piccolo intervallo derisorio dalle nostre fantasie e dal loro doppio superegoico, dal nostro bisogno di passività e perfino di schiavitù, dalla nostra voglia di sparire dinanzi alle ideologie e alle leggi”.

    Quel passaggio da tragedia a commedia avviene con un progetto politico e giocoso che si chiama “Le ragazze del Porno”.  Nel loro manifesto affermano: Una brava ragazza è una ragazza cattiva. Ci hanno nutrite del cliché culturale per cui le donne sessualmente attive e indipendenti sono o pazze o lesbiche e quindi pazze. Vogliamo vedere e fare film in cui Betty Blue, Ophelia e Thelma & Louise alla fine non devono morire”. Così, trasformando gli intenti in pratiche, si sviluppano attraverso il crowdfunding due primi cortometraggi, tra cui il più celebre è “Queen kong”. Se la maschera per Ophuls permette di combattere il tempo, il mascheramento per Monica Stambrini libera dagli stereotipi di genere, e di piacere. In Queen Kong, infatti, “Grazie alla sua storia, agli attori, alla troupe di creativi e alla messa in scena Queen Kong non si può propriamente definire un film porno canonico – pur facendo suo il linguaggio pornografico – ossia un film in cui gli attori fanno sesso in scena e i genitali (femminili e maschili!) sono ben visibili. Io girandolo provo una grande emozione: rappresentare il sesso senza vincoli è abbastanza incredibile. Infatti su quel set sentiamo tutti di star facendo qualcosa di pionieristico (e anche per questo riesco a coinvolgere una troupe cinematografica d’eccezione, sia pur con pochi mezzi). Sul set c’è una grande aspettativa, ma quando poi l’atto sessuale si compie davanti a tutti succede qualcosa di strano: il sesso si riduce all’essenziale, si libera dei pudori, degli stereotipi e delle sovrastrutture. Diventa normale e narrativo” (come racconta Monica Stambrini su “Lavoro Culturale”).

    Anzi, il lavoro tra la regista milanese e la protagonista del corto Valentina Nappi prosegue nel docu-film ISVN, trasformandosi, secondo Elisa Cuter, in ‘queer’, proprio perché “il soggetto femminile è compreso culturalmente nella misura in cui abdica alla posizione attiva rispetto al desiderio sessuale, la femme fatale è qualcosa che devia dalla donna “normale” nell’ordine simbolico, perché entra in quello che è inteso come dominio maschile, diventando una figura in un certo senso incomprensibile per il regime eteronormativo”.

    In qualche modo, questo film risponde all’ipersessualizzazione della donna emancipata. Come scrive Carolina Bandinelli, “Dalla sessualità morigerata degli anni Cinquanta, alla sessualità liberata dei Sessanta-Settanta, si è passati alla sessualità aumentata della contemporaneità, evidente nelle immagini proposte dall’industria culturale”.

    Dallo sviluppo del settore Sex-Tech alla dimostrazione pratica dei sex toys, assistiamo ad una polarizzazione: da una parte la dimensione ipersessualizzata e iperliberata, dall’altra la necessità di spiegare le basi del piacere, soprattutto femminile, che non viene più socializzato nemmeno nella dimensione scolastica (su questo si rimanda all’articolo di Giulia Siviero) e che rimanda, secondo il New York Times, a forme di socializzazione solo online (come racconta questa interessante serie di podcast su “modern love” proposta da N+1), ben riassunte nella formula “love me tinder” e felicemente illustrati da Cristina Portolano in “Non so chi sei”.

    Quello slittamento di ordini simbolici ritorna anche nei lavori di Elena Stancanelli, che scrive il romanzo trasformato poi in film dalla stessa Stambrini, “Benzina”. Se il primo lavoro racconta una tragedia surreale di desiderio e liberazione, è con “La femmina nuda” che Stancanelli ci porta nelle pieghe più indicibili del piacere, che sfociano nell’ossessione. “in questo romanzo c’è la descrizione precisa dell’ossessione verso un’altra donna, e dentro l’ossessione c’è il corpo, il sesso, l’audacia: cosa faceva lei che io non sapevo e non avrei mai saputo fare?”. Il piacere che diventa ossessione può assumere molte forme, soprattutto se si fonda sulla prevalenza del corpo.  Come quelle artistiche, ben raccontate in quest’intervista di Stancanelli a Marina Abramovic. O quelle della dipendenza, che verranno forse solo tangenzialmente trattati: si rimanda, tra gli altri, alle pagine bellissime di David Foster Wallace e Lawry tra gli altri -molti- racconti letterari. Per una critica invece, riportiamo, nel contesto italiano i recenti lavori di Vanessa Roghi sull’eroina e alle riflessioni di Enrico Petrilli su Narcocapitalismo).

    Tra biopolitica e immaginari di consumo, come si può oggi riflettere sul piacere sia come dinamica che come esperienza? In che modo le produzioni culturali hanno influenzato e modificato le percezioni del desiderio? Quali sono oggi i temi, le sfere e le percezioni del corpo, alla luce delle differenti declinazioni del desiderare? Dall’ASMR al desiderio di perdere peso, dall’eroina ai piccoli piaceri, quanto ha inciso la tecnologia e l’accesso immateriale a desiderata in questo processo? Dalla pornografia alla politica, dall’estetica all’etica, passando per l’intramontabile tema delle dipendenze, sono molteplici i campi attraversati da questa tematica, e le necessarie riflessioni per comprendere come e quale processo di liberazione (o di schiavitù) è oggi in corso. Avremo la fortuna di avere con noi Paolo Mottana, Elena Stancanelli, Monica Stambrini.
    Vi aspettiamo.


    Immagine di copertina: ph. Luke Michael da Unsplash

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