Tutto il caotico ammasso del sociale ruota intorno a questo referente spugnoso, a questa realtà tanto opaca quanto traslucida, a questo niente: le masse.
Sfera di cristallo delle statistiche, le masse sono “attraversate da correnti e flussi”, a immagine della materia e degli elementi naturali. Almeno, è così che le rappresentano. Esse possono essere “magnetizzate”, il sociale le avvolge come un’elettricità statica, ma il più delle volte fanno precisamente “massa”, cioè assorbono tutta l’elettricità del sociale e del politico e la neutralizzano per sempre.
Esse non sono buone conduttrici del politico, né buone conduttrici del sociale, né buone conduttrici del senso in generale. Tutto le attraversa, tutto le magnetizza, ma tutto vi si diffonde senza lasciare traccia.
E l’appello alle masse è in fondo rimasto sempre senza risposta. Esse non irradiano più, al contrario assorbono tutte le radiazioni delle costellazioni periferiche dello Stato, della Storia, della Cultura, del Senso. Sono l’inerzia, la potenza dell’inerzia, la potenza del neutro.
Per questo la massa è caratteristica della nostra modernità come fenomeno altamente implosivo, irriducibile a ogni pratica e teoria tradizionali, possiamo dire a qualsiasi tipo di pratica e di teoria.
Nella rappresentazione immaginaria, le masse ondeggiano da qualche parte tra la passività e la spontaneità selvaggia, ma sempre come un’energia potenziale, una riserva di sociale e di energia sociale, oggi referente muto, domani protagoniste della storia, quando prenderanno la parola e cesseranno di essere la “maggioranza silenziosa”.
Ora, semplicemente, le masse non hanno storia da scrivere, né passata né futura, non hanno energie virtuali da liberare, né desideri da soddisfare: la loro potenza è attuale, è interamente qui, ed è quella del loro silenzio.
Potenza di assorbimento e di neutralizzazione, ormai superiore a tutte le forze che sono esercitate su di loro. Potenza d’inerzia specifica, la cui efficacia è diversa da quella di tutti i modelli di produzione, di radiazione e di espansione su cui funziona il nostro immaginario, anche nella volontà di distruggerli. Figura inaccettabile e inintelligibile dell’implosione (è ancora un “processo”?) – ostacolo per tutti i nostri sistemi di senso che contro di essa si armano di tutte le loro resistenze, coprendo, con un focolaio di tutti i significati, con una fiammata di tutti i significanti, il collasso centrale del senso.
Il vuoto sociale è attraversato da oggetti interstiziali e ammassi cristallini che vorticano e si aggregano in un chiaroscuro cerebrale. Questa è la massa, assemblaggio sottovuoto di particelle individuali, di rifiuti del sociale e d’impulsi mediatici: nebulosa opaca la cui densità crescente assorbe tutte le energie e i fasci luminosi circostanti, per sprofondare definitivamente sotto il proprio peso. Buco nero dove il sociale s’inabissa.
Esattamente l’opposto, dunque, di un’accezione “sociologica”. La sociologia non può che descrivere l’espansione del sociale e le sue peripezie. Essa non vive che dell’ipotesi positiva e definitiva del sociale. Il riassorbimento, l’implosione del sociale le sfugge. L’ipotesi della morte del sociale è anche quella della sua propria morte.
Il termine “massa” non è un concetto. Leitmotiv della demagogia politica, è una nozione morbida, viscosa, sotto-analitica. Una buona sociologia tenterà di superarla mediante categorie “più raffinate”: socioprofessionali, di classe, di status culturale, etc.
Sbagliato: è aggirando queste nozioni molli e acritiche (come un tempo quella di mana) che si può andare più lontano della intelligente sociologia critica.
Retrospettivamente, allora, si noterà che i concetti di “classe”, di “relazione sociale”, di “potere”, di “status”, di “istituzione”, e anche quello di “sociale”, tutti questi concetti troppo espliciti che fanno la gloria di scienze legittime, non sono stati mai altro che delle nozioni confuse sulle quali ci si è però accordati per finalità misteriose, quelle di preservare un certo codice dell’analisi.
Voler specificare il termine “massa” è precisamente un controsenso – è dotare di senso ciò che non ne ha. Si dice: “la massa dei lavoratori”. Ma la massa non è mai quella dei lavoratori, né di qualche altro oggetto o soggetto sociale. Le “masse contadine” del passato non erano per niente masse: fanno massa solo coloro che sono sciolti dai loro obblighi simbolici, “affrancati” (presi nelle “reti” infinite) e destinati a non essere altro che l’incalcolabile terminale dei medesimi modelli, che non riescono a integrarli e che li producono alla fine soltanto come rifiuti statistici.
La massa è senza attributi, senza predicato, senza qualità, senza riferimento. È la sua definizione, o la sua radicale assenza di definizione.
Essa non ha alcuna “realtà” sociologica. Essa non ha nulla a che vedere con alcuna popolazione reale, con alcun corpo o aggregato sociale specifico. Ogni tentativo di qualificarla non è che uno sforzo per indirizzarla verso la sociologia e strapparla da questa indeterminatezza che non è nemmeno quella dell’equivalenza (somma illimitata di individui equivalenti: 1 + 1 + 1 + 1 – questa è la definizione sociologica), ma quella del neutro, cioè del né l’uno né l’altro (neuter).
Non c’è più polarità dell’uno e dell’altro nella massa. Questo è ciò che causa il vuoto e che esercita il potere di far collassare tutti i sistemi che vivono sulla separazione e sulla distinzione dei poli (due, o di più nei sistemi più complessi).
Questo è ciò che rende la circolazione del senso impossibile: si disperde istantaneamente come gli atomi nel vuoto. Questo è ciò che rende anche impossibile, per la massa, di essere alienata, poiché né l’uno né l’altro esistono più.
Massa senza parola a disposizione di ogni portavoce senza storia. Ammirabile congiunzione tra coloro che non hanno niente da dire e le masse che non parlano. L’infausto nulla di tutti i discorsi. Né isteria né potenziale fascismo, ma simulazione per precipitazione di tutti i referenti perduti. Scatola nera di tutti i referenti, di tutti i significati non catturati, della storia impossibile, dei sistemi di rappresentazione introvabili, la massa è ciò che resta quando il sociale è stato completamente dimenticato.
Quanto all’impossibilità di far circolare il senso, il migliore esempio è quello di Dio. Le masse non ne hanno trattenuto che l’immagine, mai l’Idea. Esse non sono mai state raggiunte dall’Idea di Dio, che è rimasta un “affare da preti”, né dai tormenti del peccato e della salvezza.
Ciò che esse hanno mantenuto è la fantasmagoria dei martiri e dei santi, del giudizio universale, della Danza dei morti, è la stregoneria, è lo spettacolo e il cerimoniale della Chiesa, è l’immanenza del rituale – contro la trascendenza dell’Idea. Le masse erano e sono rimaste pagane, a modo loro, mai ossessionate dalla Suprema Istanza, ma vivendo della piccola valuta delle immagini, della superstizione e del diavolo.
Pratiche degradate rispetto alla posta in gioco spirituale? Senz’altro. È il loro modo, attraverso la banalità dei rituali e dei simulacri profani, di superare l’imperativo categorico della morale e della fede, l’imperativo sublime del senso, che hanno sempre rifiutato.
Non che non abbiano potuto accedere alle luci superiori della religione: le hanno ignorate. Non si rifiutano di morire per una fede, una causa, un idolo. Ciò che rifiutano è la trascendenza, è l’incertezza, la differenza, l’attesa, l’ascesi che costituiscono il termine sublime della religione. Per le masse, il Regno di Dio è da sempre già stato sulla terra, nell’immanenza pagana delle immagini, nello spettacolo che ha dato la Chiesa. Deviazione fantastica del principio religioso. Le masse hanno assorbito la religione nelle forme proprie della pratica stregonesca e spettacolare.
Tutti i grandi schemi della ragione hanno subito la stessa sorte. Essi non hanno descritto la loro traiettoria, non hanno seguito il filo della loro storia che sulla cresta sottile dello strato sociale del senso (e in particolare del senso sociale), ma per l’essenziale non sono penetrati nelle masse che al prezzo di una deviazione, di una distorsione radicali. Così è stato della Ragione storica, della Ragione politica, della Ragione culturale, della Ragione rivoluzionaria – e anche della Ragione stessa del sociale, la più interessante poiché è quella che sembra inerente alle masse e averle prodotte nel corso della sua evoluzione. Le masse sono lo “specchio del sociale”? No, esse non riflettono il sociale, né si riflettono nel sociale – è lo specchio del sociale che viene a infrangersi su di esse.
Quest’immagine non è però corretta perché evoca ancora l’idea di una sostanza piena, di una resistenza opaca. Ma le masse funzionano piuttosto come un gigantesco buco nero che flette, curva e distorce inesorabilmente tutte le energie e le radiazioni luminose che vi si avvicinano.
Sfera implosiva dove la curvatura degli spazi accelera, dove tutte le dimensioni s’incurvano su sé stesse e involvono fino ad annullarsi, lasciando al loro posto nient’altro che una sfera d’inghiottimento potenziale.
Estratto da Jean Baudrillard, All’ombra delle maggioranze silenziose (Mimesis)