Dobbiamo censurare Romeo e Giulietta?

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    101 è il codice che nelle università americane identifica i corsi che trasmettono le conoscenze di base di ogni materia. Oggi, mentre cambiano la società, le arti, la mediasfera, l’ecosistema, dobbiamo rifondare su nuove basi anche la nostra idea di cultura. O meglio di culture, visto che la cultura da sempre si nutre di pluralità e differenze.

    A partire dalle riflessioni sviluppate in Cultura. Un patrimonio per la democrazia (Vita & Pensiero, 2023), cercherò di segnalare in questa rubrica esperienze, ricerche e processi innovativi, per esplorare e discutere con l’aiuto dei lettori di cheFare i nodi problematici di questa svolta culturale. Qui le puntate precedenti

    Cultura 101. Ogni quindici giorni un intervento di Oliviero Ponte di Pino per cheFare

    Capita sempre più spesso che uno spettacolo, un film, un libro, un corso universitario, una mostra vengano preceduti da un avvertimento che mette in guardia su contenuti che potrebbero per un motivo o per l’altro turbare o irritare lo spettatore e la spettatrice, il lettore o la lettrice, il visitatore o la visitatrice, lo studente o la studentessa.

    Nel mondo anglosassone i warnings (avvertimenti), le disclosures (anticipazioni), i disclaimers (dichiarazioni di non responsabilità) sono ormai un ingrediente pressoché immancabile dell’esperienza culturale.

    Quello che avviene nei teatri può farci capire che ci stiamo vivendo un profondo cambiamento di mentalità. Fino a qualche tempo fa, gli avvertimenti agli spettatori riguardano soprattutto il loro comportamento. Per esempio il divieto di portare cibo e bevande in sala o, più di recente, l’indicazione (o l’ordine) di spegnere i cellulari, o almeno di silenziarli perché disturbano attori e pubblico. I frequentatori delle biblioteche erano invitati a restare il silenzio e a non sottolineare o alterare con orecchiette i libri che prendevano in prestito.

    Assai attenti al galateo dei clienti sono da sempre i locali di strip tease e di lap dance, che vietano il contatto fisico tra i/le performer e quello dei i/le performer con gli spettatori. La Lap Dance Association del Regno Unito ha messo a punto un codice di condotta per operatori e danzatori/danzatrici, che può essere applicato quando un locale richiede la licenza. Dell’argomento si è discusso persino in Parlamento.

    Un esempio di galateo da strip club lo offre la Playhouse, un gentlemen club con sedi a Cardiff e Southampton. Le regole di base:

    • Vietato toccare i danzatori/danzatrici;
    • Vietato fare fotografie o video;
    • Presentarsi con un abbigliamento appropriato;
    • Vietato chiedere prestazioni sessuali agli artisti;
    • Vietato portare cibo o bevande dall’esterno;
    • Rispettare gli artisti e le artiste (sul sito si avverte il bisogno di specificare che anche loro “sono esseri umani”, n.d.a.).

    Queste istruzioni specificavano i comportamenti illeciti degli spettatori e oggi riecheggiano nelle lamentele dei veterani di palchi e platee che criticano la maleducazione teatrale dei colleghi (soprattutto giovani) che non riescono a stare zitti e fermi durante lo spettacolo, che smanettano compulsivamente il telefonino, che parlano con gli amici… I quotidiani britannici hanno dato conto di varie risse nei teatri della capitale. Secondo le impressioni di alcuni spettatori, questi comportamenti sarebbero peggiorati dopo la pandemia, quando la scorpacciata domestica di audiovisivi a teatri per cinema chiusi ha modificato il regime dell’attenzione: a casa, davanti allo schermo, è normale alzarsi dal divano per aprire il frigo, chiacchierare con parenti e amici, sospendere e riprendere la visione.

    Negli ultimi anni a queste “istruzioni per l’uso” se ne sono via via aggiunte altre, che hanno contenuti e obiettivi assai differenti: in sintesi, avvertire il fruitore che l’esperienza artistica che sta per vivere potrebbe nuocere al suo equilibrio psicofisico. Sono sempre più numerosi i siti (soprattutto negli Stati Uniti) che spiegano come si devono compilare questi avvertimenti. Il triggerwarningdatabase (https://triggerwarningdatabase.com/masterlist-tw/), relativo alla produzione libraria, elenca decine di categorie e sottocategorie di contenuti “sensibili”, per avvertire il lettore e la lettrice dei rischi a cui va incontro se osa leggere le pagine che seguono. I temi su cui si possono esercitare gli “avvertimenti” sono pressoché infiniti, anche perché chiunque può essere irritato da qualunque cosa, come dimostrano millenni di tabù e censure alimentari, sessuali, comportamentali. Allo stesso modo, chiunque può essere attratto da qualunque cosa: l’essere umano è perverso polimorfo, ciò che per alcuni è ributtante per altri è irresistibile oggetto di desiderio.

    Inutile aggiungere che alcuni autori usano il triggerwarningdatabase come checklist dei temi da inserire nelle loro opere.

    Il Royal Court Theatre di Londra negli anni Sessanta ha portato in scena Angry Young Men come John Osborne e Kingsley Amis, e poi Arnold Wesker, John Arden e Edward Bond. Negli anni Ottanta ha lanciato Martin Crimp, Sarah Kane, Sylvia Wynter, Mark Ravenhill e Martin McDonagh. Lo hanno battezzato In Your Face Theatre: testi aggressivi, scandalosi, che in diversi casi hanno catturato l’attenzione della censura. Sul sito del Royal Court (https://royalcourttheatre.com/), alla pagina Script Submissions Content Warnings, oggi si spiega che gli avvertimenti che precedono i testi devono precedere “contenuti potenzialmente sensibili”, che vanno segnalati affinché il lettore possa prepararsi ad affrontare, o eventualmente ad abbandonare, il testo “per il loro benessere”. Segue una lista (“non esaustiva”) dei principali content warnings:

     Sexual assault  Violenza sessuale
     Abuse  Abuso
     Child abuse/paedophilia/incest  Violenza sui minori/pedofilia/incesto
     Animal cruelty or animal death  Crudeltà o morte di animali
     Self-harm and suicide  Autolesionismo e suicidio
     Eating disorders, body hatred, and fat phobia  Disturbi alimentari, odio corporeo e grassofobia
     Violence  Violenza
     Pornographic content  Contenuto pornografico
     Kidnapping and abduction  Rapimento e sequestro di persone
     Death or dying  Morte o agonia
     Pregnancy/childbirth  Gravidanza/parto
     Miscarriages/abortion  Aborti/aborto spontaneo
     Blood  Sangue
     Mental illness and ableism  Malattia mentale e ableismo
     Racism and racial slurs or hateful language directed at religious groups  Razzismo e insulti razziali o linguaggio odioso rivolto contro gruppi religiosi
     Sexism and misogyny  Sessismo e misoginia
     Classism  Classismo
     Transphobia and trans misogyny  Transfobia e misoginia trans

     

     

    Praticamente tutto quello su cui il Royal Court ha costruito il proprio successo e combattuto le sue battaglie culturali. E tutto quello di cui l’arte tende a occuparsi, dall’antica Grecia a oggi.

    Nel 1966 il giovane Peter Handke (nel 2019 Premio Nobel per la Letteratura, contestato per le sue prese di posizione politicamente scorretto a favore della Serbia) fece scandalo con un testo, diretto nel 1966 da Claus Peymann a Francoforte con successo e riallestito in vari teatri in tutto il mondo, che fin dal titolo preannunciava Insulti al pubblico: “Qui non viene dato al teatro quel che è del teatro. Qui non troverete soddisfazione. Il vostro desiderio di guardare resterà inappagato. Nessuna scintilla scoccherà tra noi e voi. Non si fremerà per la tensione. Queste tavole non significano il mondo. Queste tavole servono soltanto a noi per starci su. Questo non è un altro mondo rispetto al vostro. Voi siete il tema. Voi siete al centro. Voi siete nel punto focale delle nostre parole. (…) Voi siete un evento. Voi siete l’evento.” (vedi Peter Handke, Insulti al pubblico e altre pièces vocali, Quodlibet, 2020).

    Incazzato, provocatorio, ironico, Peter Handke scandalizzava e provocava il suo pubblico, certamente un’élite privilegiata, forse troppo borghese, forse troppo intellettuale. Ma evidentemente erano altri tempi. Il clima culturale sta cambiando. L’avvertimento non è più una provocazione ironica, ma un segnale di pericolo. Sempre più spesso l’esperienza culturale o formativa è accompagnata da avvertimenti più o meno inquietanti. Va bene mettere in crisi, va bene provocare, va  bene inoltrarsi nel lato oscuro. L’arte lo fa da sempre. Ma prima è diventato necessario uno spoiler: “Qui sta per succedere qualcosa che forse può alterare il tuo equilibrio psicofisico”.

    Al Globe Theatre di Londra, prima di Romeo and Juliet, il pubblico veniva gentilmente avvertito che il testo di William Shakespeare contiene “language of violence, sexual references, misogyny and racism”. E in alcune scuole della Florida (dove si moltiplicano le restrizioni e le censure sui testi nelle scuole e nelle biblioteche) del testo di Shakespeare si possono leggere solo alcuni estratti, per la durezza del suo linguaggio.

    Per certi aspetti non è una novità, se pensiamo alla ricezione del King Lear. La terribile parabola del sovrano che abbandona il trono a favore delle figlie ingrate è stata a lungo considerata barbara e moralmente insopportabile. Fino all’Ottocento al testo originale di Shakespeare si preferì lo sdolcinato adattamento firmato da Nahum Tate nel 1681, The History of King Lear, che si concludeva con l’anziano sovrano di nuovo sul trono e Cordelia sposa di Edgar, che nell’ultima battuta decretava il lieto fine: “truth and virtue shall at last succeed” (“alla fine la verità e la virtù trionferanno”). L’atroce finale shakespeariano venne ripristinato solo nel 1823 da Edmund Kean.

    Oggi l’Almeida Theatre di Londra fa morire Cordelia (come accade nel copione di Shakespeare) ma, prima di segnare il numero di telefono da chiamare in caso di difficoltà, avverte che King Lear porta in scena “atti di autolesionismo e di violenza esplicita e riferimenti al suicidio. La messinscena prevede luci stroboscopiche, nebbia, forti rumori improvvisi e il fumo di sigarette vegetali”.

    Sono certo oscillazioni del gusto, ma anche della morale collettiva. Le battaglie culturali che si combattono oggi nell’era del politicamente corretto stanno cambiando il ruolo e le responsabilità dei creatori, dei mediatori (programmatori, giornalisti e critici, formatori) e del pubblico.

     

    Immagine di copertina di Krišjānis Kazaks su Unsplash

     

    Note