C’è chi la racconta come la storia di una sconfitta, chi come un momento chiave per la storia del design moderno. È la sera del 20 aprile 1978 e a New York va in scena il dibattito tra il designer modernista Massimo Vignelli, e John Tauranac, presidente del comitato che per la mappa della New York Metropolitan Transit Authority. John Tauranac è profondamente contrario alla mappa della metropolitana progettata da Massimo Vignelli nel 1972 e, per bocciare il progetto, ha coinvolto psicologi, urbanisti, designer, cittadini della classe media che ogni giorno si muovono lungo quelle linee sotterranee. Massimo Vignelli sa che uscirà sconfitto dal confronto, forse considera i suoi avversari una minoranza rumorosa. “Il 50% dell’umanità è orientato visivamente” dice “l’altro 50% è orientato alla parola. Le persone visivamente orientate non hanno problemi a leggere qualsiasi tipo di mappa, le altre non potranno mai leggere una mappa ma hanno un grande vantaggio: possono essere ascoltati”.
Il punto è che il designer italiano aveva disegnato una mappa funzionale, diagrammatica, senza corrispondenza con la geografia reale della città e i newyorkesi, nonostante i sei anni di utilizzo, non l’hanno mai né amata né capita. Ma è chiaro che questa è la sintesi che possiamo fare oggi, con la prospettiva che ci concessa da quarant’anni di storia e da tutti i documenti pubblicati sulla vicenda. “The New York Subway Debate” è l’ultimo della serie, a cura dal filmaker Gary Hustwit (che sulla storia di Massimo e Lella Vignelli aveva già curato il documentario Helvetica), pubblicato da Standard Manuals e con la prefazione di Paula Scher.
Raccoglie la trascrizione fedele del dibattito di quella sera di aprile del 1978 nell’aula magna di una università privata di Manhattan, la Great Hall della Cooper Union. Quella sera non fu semplice per nessuno, volò qualche insulto, il moderatore dovette faticare a calmare gli animi. Erano due visioni opposte della progettazione, del design, della grafica, a parlare e per nessuna la mediazione era una opzione. Il pubblico poneva domande e dubbi, gli psicologi sottoponevano i risultati dei loro test, i designer presenti tra il pubblico nell’aula magna mostravano il loro disappunto verso un certo modo di rappresentare la città, e forse anche verso un lavoro che non avevano realizzato loro. New York, nel progetto di Vignelli, era stata tradotta in cinque blocchi colorati, l’acqua del fiume e del mare che circonda l’isola di Manhattan era uno fondo beige, Central Park un simbolo dalla forma quadrata. E sotto quell’idea città scorrevano le linee della metropolitana, collegavano le stazioni con angoli costanti di 45 e 90 gradi, la distanza tra le fermate era uniforme per facilitare la lettura ed il testo, naturalmente, era in Helvetica, uno dei pochi caratteri con cui Vignelli lavorava, considerando tutti gli altri delle derivazioni utili solo ai fini commerciali.
New York non sarebbe stata la prima città ad avere una mappa della metropolitana più funzionale che realistica. Era dal 1932 che i londinesi sceglievano treni, linee, stazioni di scambio servendosi del diagramma colorato su fondo bianco progettato da Harry Beck e completamente scollegato dalla realtà geografica della metropoli. Ma a Londra la cosa era stata accettata. Intanto a Londra non c’erano alternative, la densità di linee e di stazioni nella zona centrale è sempre stata troppo elevata per permettere alla grafica di avere una corrispondenza con la realtà. Secondo, quella mappa su fondo bianco e nessun riferimento, neanche simbolico, alla città in superficie era davvero un’astrazione. La mappa di Vignelli, invece, era quasi-geografica, non spegneva del tutto i livelli geografici della città, quella dimensione ibrida lasciata aperta ai newyorkesi una possibilità di scelta e di critica.
La posizione di Massimo Vignelli e di John Tauranac non è mai cambiata, nessuno dei due ha mai trovato un compromesso rispetto al punto di vista espresso quella sera nell’aula magna della Cooper Union. Chi ha cambiato idea è Paula Scher, che firma la prefazione al libro: all’inizio critica con Vignelli, nel tempo ha accolto la sua interpretazione moderna e funzionalista. “Paula Scher faceva parte della scena del design illustrativo di New York degli anni ’70” ha detto Gary Hustwit al CityLab di Bloomberg “quindi aveva un certo punto di vista sulla questione. Ma, oltre ad essere una affermata designer professionista, dipinge anche mappe, possiamo quindi dire che ha un punto di vista anche sull’idea che le mappe possono anche essere fuorvianti, intenzionalmente o per errore”.
Naturalmente, tutto il dibattito sarebbe rimasto una polemica circoscritta e anche poco interessante – negli anni ’70, la metropolitana di NY doveva affrontare problemi ben più grossi di una discussione sulla mappa, osserva Hustwit – se non ci fossero in ballo i principi del design moderno. Astrazione contro realismo, semplicità contro complessità, forma contro contenuto. Ma è stata anche una discussione sulla gerarchia visiva delle informazioni e sul modo in cui esse vengono presentate. E poi è la storia dell’altra faccia della sconfitta.
La storia del design è una storia di vincitori, il design è fatto di prodotti, ed è implicito che i prodotti abbiano superato l’esame dell’industria, del mercato, della possibilità di essere prodotti, a volte anche della comprensione da parte del pubblico che li usa.
I prototipi, le idee senza esito sono cose che si guardano per passione, non per necessità. E allora chi ha vinto, se ogni giorno, da quarant’anni, turisti e newyorkesi prendono in mano la mappa scelta da John Tauranac (progetto: Michael Hertz) e solo se entrano al MoMA trovano la mappa di Vignelli (oggetto 371.2004.1-2 della collezione)? Chi è uscito sconfitto se decine di libri raccontano come Massimo Vignelli ha concepito la sua mappa della metropolitana di New York? Come ha preso Vignelli il fatto di essere entrato nella storia con il suo progetto bocciato dai comitati e dai focus group dei newyorkesi? Gary Hustwit racconta che, durante il suo primo incontro con Vignelli all’epoca del documentario “Helvetica”, quando estrae dalla cartellina la stampa della sua mappa della metropolitana, al designer si sono illuminati gli occhi “Ma non so se ha mai avuto a cuore la critiche alla sua mappa, o se ha semplicemente riso e si è dedicato al prossimo progetto”.
La discussione tocca talmente i fondamentali della progettazione che, oggi, ci si domanda se il digitale avrebbe potuto fare la differenza. Gary Hustwit, infatti, ha scoperto l’esistenza della registrazione del dibattito alla Cooper Union durante le ricerche per un documentario su una nuova versione digitale della mappa della metropolitana di New York, affidata allo studio Work & Co. Di recente, infatti, Work & Co ha ricevuto l’incarico di progettare per la prima volta una mappa “live” della metropolitana di New York, una mappa che da statica diventasse dinamica, in grado di mostrare in tempo reale la posizione dei treni, i ritardi, le chiusure durante i week end, i lavori lungo le linee, i bypass e tutto ciò che avviene in quel labirinto sotterraneo in continuo movimento. Per questo lavoro, i designer di Work & Co hanno preso come punto di partenza la mappa di Massimo Vignelli. Ma la differenza, oggi, è che che la mappa digitale ha permesso la convivenza tra i livelli: quando si allarga lo zoom e si vede la città nella sua interezza, la mappa assomiglia al progetto di Massimo Vignelli, con le linee a 45 e 90 gradi, eccetera. Quando si stringe e si entra nei dettagli, allora inizia a fondersi con la realtà geografica della città. John Tauranac, a quarant’anni dal dibattito, ha visto l’App e non ha cambiato idea. “È stato fatto un pasticcio geografico” ha detto “le informazioni di base sono state ricavate dalla mappa fallita di Vignelli. Quelle linee rettilinee e curve semplificate, con gli angoli a 45 e 90 gradi, sono in contrasto con la verità, con la realtà del percorso di una metropolitana unica al mondo, che segue linee ben più complicate”.
C’è una versione molto italiana della vicenda. Nel 2017 il MoMA dedica un libro alla vicenda della mappa, con una serie di tavole illustrate di Emiliano Ponzi. Secondo questa storia, quando riceve l’incarico di riprogettare la mappa della metropolitana, Massimo Vignelli osserva la complessità della città, cerca a lungo un punto di vista che possa risolvere l’enigma, cerca di capire come ridurre il numero di informazioni anziché aumentarle, perché è questo il cuore della comunicazione secondo il designer modernista. L’osservazione dura parecchio tempo, fino a quando l’intuizione arriva di fronte ad un piatto di pasta, un groviglio di spaghetti: quando vengono avvolti nella forchetta e sollevati, gli spaghetti si trasformano in una serie di segmenti chiari e definiti e, quando li immaginiamo colorati, ecco che si definiscono le linee dei treni. Sono quelle cose che ci rendono simpatici ma che, può capitare, ci allontanano da una certa idea che gli americani hanno della loro storia.