‘Fare grafica editoriale’ di Franco Achilli è un libro che fa venire voglia di progettare

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    Leggere il libro di Franco Achilli fa venire voglia di mettersi a progettare: progettare per bene, soppesando tutto con cura, fin dall’inizio.

    Non si legge piacevolmente come un romanzo; si consulta piuttosto, attentamente, quando serve, dopo un ripasso generale di quanto sapevamo già, di quel che non avevamo mai messo a fuoco con tale chiarezza e di quel che pensavamo di sapere ma ora ne sappiamo certamente di più. È un manuale molto utile, anzi necessario, per apprendere i fondamentali.

    Un testo di cultura grafica raffinata quanto operativa, che riposa sulla tradizione tipografica e attualizza tutto con il sapere di chi fa. È dedicato agli studenti di design grafico e in particolare a quelli di Achilli, ai quali egli è grato perché per insegnare occorre soprattutto imparare; sono stato finora un uomo fortunato, perché ciò accade ancora ogni giorno, come un dono, ogni volta che entro in un’aula e incontro i miei studenti.

    Lo conferma Armando Milani (Presidente Alliance Graphique Internationale, Italia): Mi sarebbe piaciuto possedere questo libro a vent’anni, quando ero studente di grafica alla Società Umanitaria con il mio maestro Albe Steiner: è un importante strumento di orientamento, che merita di essere distribuito in tutte le scuole, non solo di design, perché testimonianza di storia e cultura e sinonimo di civiltà.

    Il volume di Achilli si divide in quattro parti. La prima traccia la storia del design grafico approfondendo la questione delle tecniche di stampa, dai “tipi” di Gutenberg alla composizione digitale, con una tranche finale dedicata ai protagonisti di questa storia, giustamente definiti giganti. La seconda parte è dedicata ai materiali grafici, gli strumenti fondamentali, come il carattere “tipografico”, il colore e la gabbia. La terza parte è dedicata al progetto grafico editoriale, attraverso l’analisi delle diverse fasi del processo, dalla scelta del formato alla consegna del lavoro (file) al cliente. (Achilli ci dice proprio tutto, generosamente, portandoci dietro le quinte. Noi, designer, lo ringraziamo di cuore; ma chi glielo fa fare?) La quarta parte è un glossario dei termini utili alla professione del grafico, seguita da una bibliografia ragionata, non senza indice dei nomi e delle illustrazioni: tutto sapientemente progettato secondo le puntuali indicazioni del libro. Quello che Achilli dice fa.

    L’opera di Achilli raggiunge dunque in uno quattro risultati importanti: è un libro di storia del design grafico, utile allo studioso; è un manuale dei processi tecnico-costruttivi dell’oggetto libro e della sua terminologia, utile al tipografo; è una raccolta di suggerimenti e indicazioni operative, utili al professionista; è un testo etico e responsabile, utile a tutti.

    È un libro di storia del design grafico, dicevamo, che inquadra i temi fondamentali attraverso un’analisi attenta e mai scontata.

    Nelle prime pagine, per esempio, quando Achilli tratta il caso della stampa a caratteri mobili – la nascita della tipografia – mette l’accento non sulla figura di Gutenberg quale eroico inventore ma sulla geniale capacità del designer ante litteram nel mettere a sistema un processo complesso, unificando gli esperimenti precedenti, ne coglie la portata e dà concretezza all’invenzione con la stampa della prima opera seriale con i caratteri tipografici. Fondamento della disciplina grafica è poi il De Divina Proportione di Pacioli (1509), ancora oggi […] un punto di riferimento nella storia dell’evoluzione della scrittura e del carattere per la stampa.

    La sua scrittura si basa sull’individuazione del modulo, che a partire dal quadrato è in grado di definire non solo l’alfabeto ma anche la proporzione delle aste e degli spessori. Tale storia antica quanto appassionante culmina nel Bauhaus, la cui produzione resta un patrimonio della cultura storica del design editoriale internazionale: nuovo ordine razionale per la diffusione della conoscenza nel mondo.

    Al Bauhaus, una scuola di “giganti”, segue l’attività dei giganti della grafica editoriale del XX secolo: Johnston, Koch e Gill, e poi quella di El Lisisckij e Tschichold: gli altri giganti. Tschichold, dopo aver dettato nuovi standard tipografici e letteralmente una Neue Typographie, afferma: Non abbiamo bisogno di libri pretenziosi per ricchi, abbiamo bisogno di libri comuni ben fatti. El Lisisckij, che fa dall’avanzamento tecnico la sua arte, afferma: Finché il libro sarà necessariamente un oggetto palpabile […] dovremo aspettarci giorno per giorno nuove, fondamentali invenzioni nella sua produzione, per raggiungere anche qui il livello della nostra epoca. Ci sono segni che questa invenzione fondamentale sia da attendere nel settore della fototipia. Si tratta di una macchina che porta la composizione tipografica su una pellicola e di una macchina da stampa che ripoduce il negativo della composizione su carta sensibile. Così spariscono l’enorme peso del materiale da composizione e il barattolo del colore, così abbiamo anche qui la dematerializzazione. E la storia non mente: con il digitale la “smaterializzazione” profetizzata da El Lisisckij è cominciata.

    Il libro di Achilli è un manuale incentrato sulle tecniche – dai processi di stampa alla cartotecnica – con una terminologia molto puntuale, oggi misconosciuta dalla gran parte degli addetti ai lavori (!) per quanto utilissima. Tale bagaglio di cultura materiale – ancora una volta – riposa nella storia: la nomenclatura e le definizioni legate al carattere tipografico hanno mutuato dal disegno dei caratteri in piombo i termini che ancora oggi utilizziamo per indicare le loro caratteristiche. Anche se la nostra epoca è definitivamente quella della composizione digitale e l’espressione “font” si diffonde sempre più nel linguaggio parlato e nella comunicazione commerciale, in questo libro continueremo […], per rispetto alla secolare cultura della stampa nel nostro paese e alla storia del disegno dei caratteri, a utilizzare prevalentemente il termine “carattere tipografico”. La tipografia digitale, se così si può dire, ha infatti un’origine “atomica”, dal momento che il sistema di misurazione del carattere adottato in Europa e in molti altri paesi è basato sul “punto” Didot, pari a 0,376 mm.

    Allo stesso modo, la dimensione del carattere, cioè la sua altezza complessiva, si definisce “corpo”, e naturalmente anch’essa si esprime in punti tipografici. L’analisi “clinica” va dalla lettera – scomposta in becco, braccio, coda curva, coda retta, collo, cravatta, occhiello, orecchio, pilastrino, uncino (gancio), vertice superiore, vertice inferiore… – al libro, le cui parti costitutive sono: sovracoperta, bandella o aletta, copertina, dorso, risguardo o sguarda, pagina 1 (occhiello), pagina 3 (frontespizio), blocco libro, taglio.

    Il volume di Achilli è inoltre una raccolta di suggerimenti e indicazioni operative. Vale insomma come vademecum per progettisti grafici, i quali dovrebbero sempre ricordare che in un libro si usa la composizione a pacchetto per il testo principale […] ed è sempre da evitare la composizione con giustificazione forzata; o che la composizione a bandiera con le parole spezzate è da sconsigliare: i trattini di “a capo” aumentano l’irregolarità del testo alla fine della riga e rendono la lettura difficoltosa e in alcuni casi sgradevole; o che accanto al numero di un colore Pantone c’è sempre una lettera, la “C” (Coated) se la stampa avviene su carta patinata o la “U” (Uncoated) se la stampa avviene su carta usomano.

    È importante indicare sempre questa lettera perché stampare con un colore C su una carta usomano porterà a un risultato molto diverso da quello che vi attendete. Inoltre, meglio non fidarsi dei monitor e richiedere sempre una prova di stampa certificata (digicromalin). O ancora il “centro ottico”, in un formato verticale, non è il punto di incontro delle diagonali, bensì una posizione leggermente superiore, individuabile empiricamente da un occhio esperto, ma comunque identificabile attraverso una serie di quattro passaggi.

    Quello di Achilli è poi un testo etico. E lo si capisce fin dalla prima citazione, di Richard Buckminster Fuller: Se vuoi fare il designer devi scegliere se dare un senso alle cose o far denaro. Per Achilli, infatti, progettare un libro vuol dire non solo confezionare un prodotto bello e funzionale ma anche assicurarsi che il processo che prelude alla sua realizzazione sia quanto più “giusto” possibile.

    Oggi quasi tutte le cartiere internazionali e gli attori della filiera di stampa aderiscono a protocolli dell’associazione internazionale FSC, Forest Stewardiship Council: il logo identifica i prodotti contenenti derivati dal legno proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo standard ambientali, sociali ed economici. Quando scegliete la carta per un libro e lo stampatore, accertatevi che entrambi possano fregiarsi del marchio FSC, che conferisce valore aggiunto allo stampato. Achilli insomma mette in guardia i progettisti grafici dai furti sia all’ambiente – quando si utilizzano carte “sbagliate” – sia gli stessi progettisti quando si utilizzano le immagini progettate da altri in modo sbagliato: Non devono mai essere utilizzate immagini prelevate da siti web: oltre a essere a bassissima risoluzione (inadeguata alla stampa in offset), non sono garantite contro distorsioni, alterazioni e infine le rivalse dei legittimi proprietari, spesso ignari dell’uso illegittimo.

    Ancora: Achilli dà indicazioni precise sul ruolo del designer, che non può limitarsi a mettere in forma le cose (testo e immagini nella gabbia) ma deve innalzarsi al rango di “intellettuale tecnico”: Un progettista consapevole e preparato sa che il suo ruolo va oltre la stretta attività grafica e che la responsabilità si estende anche alla verifica della forma grammaticale e ortografica del testo, e che l’attribuzione di valori e caratteristiche a un testo si traduce implicitamente in impegno culturale rilevante, oltre che tecnico o estetico.

    Conseguentemente, il progettista grafico deve sapere quando si mette un accento grave o acuto, un apostrofo, le virgolette (all’italiana o all’inglese), i puntini di sospensione… Deve sapere fare editing, entrare nel merito del testo; deve sapere comporre le note e le didascalie, come pure una bibliografia.

    È un libro serio, quello di Achilli, fatto di regole. L’autore è un progettista rigoroso: la prima tra tutte le raccomandazioni, di qualsiasi tipo siano la gabbia e il formato, è il rispetto degli allineamenti. Regole, sì, quante sono le pagine del libro, ma con qualche necessaria infrazione, non senza ironia. Non essere governato dalla gabbia, governa tu la gabbia. Una gabbia tipografica è come la gabbia del leone: se il domatore ci resta troppo a lungo, il leone se lo mangia. Devi sapere quando lasciare la gabbia. La gabbia è come la biancheria intima, la indossi ma non la devi esibire (Massimo Vignelli).

    Soprattutto Fare grafica editoriale è un libro sul libro in quanto tale: oggetto grafico senza tempo, una forma di tecnologia evoluta e ancor oggi insuperata; un oggetto che sorprende, ogni giorno, per la sua utilità […] che coincide, quasi sempre, con la sua potente e ontologica bellezza. […] La magia della carta che “flagra”, diversamente dall’indiscutibile emozione della potenziale interattività di un ebook, rende le distanze tra noi e un autore (narratore, artista, scienziato o poeta) più intime e ricche di senso. […] Per il visual designer, qualsiasi sia il campo disciplinare prevalente del suo intervento, il progetto del libro è quindi “il” sapere fondamentale, quel retroterra da cui estrarre metodologia, disciplina e passione per la propria attività.

    Anche l’ebook, argomento introdotto dall’autore per amor di completezza, è pur sempre un libro: un libro non “flagrante” – con i suoi pro e i suoi contro –, tanto affascinante virtualmente quanto inconsistente materialmente, senza la tradizione, un’esperienza sensuale, il conforto degli oggetti e, anche un po’ di umanità (come dice Chip Kidd, citato a mo’ di chiosa). Nondimeno, è una nuova sfida per il design editoriale, una nuova occasione per rendere il libro (di carta o senza) sempre più affascinante. E per continuare a progettare libri, comunque. Ma questa è un’altra storia.

    Note