Comunità seriali

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    Pubblichiamo un estratto da Comunità seriali. Mondi narrati ed esperienze mediali nelle serie televisive (Meltemi). Ringraziamo l’editore per la disponibilità

    Le quattro stagioni di Halt and Catch Fire (2014-2017) sono un’immersione nella cultura mediale degli anni Ottanta, un decennio attraversato da importanti rivoluzioni tecnologiche tra cui la nascita dei primi personal computer, il passaggio dai sistemi operativi a riga di comando a quelli dotati di interfaccia grafica, la guerra di marketing tra Ibm, Apple e Microsoft, i giganti del settore informatico, la commercializzazione delle prime console per videogiochi e dei software antivirus, l’iniziale diffusione di Internet su scala globale, infine l’arrivo del Web e dei primi browser. Dal Texas alla Silicon Valley, dai garage, adattati a laboratori di fortuna, ai palazzi di vetro, sedi delle grandi multinazionali della comunicazione: Halt and Catch Fire è un viaggio a ritroso, costellato da tante idee e diversi fallimenti, in cui l’avventura nell’archeologia dei media digitali si coniuga con la nostalgia per l’effervescenza creativa della popular culture.

    La seconda stagione è dedicata al progetto Mutiny, una startup che vuole esplorare le possibilità dell’online e dell’intrattenimento digitale, coniugando le prime chat e i primi forum con i videogame. Nonostante le limitazioni tecniche, dovute soprattutto alle ridotte capacità di elaborazione dei computer dell’epoca e alla scarsa velocità di connessione e trasmissione dei dati, Mutiny contiene tutte le potenzialità per ridefinire l’esperienza delle pratiche di gaming dalla fruizione domestica della console a quella collaborativa di Internet.

    Mentre Donna (Kerry Bishé) tenta di costruire lo spazio per l’interazione a distanza, dotandolo delle infrastrutture necessarie per garantirne la crescita all’interno della Rete, Cameron (Mackenzie Davis) crea le storie e allestisce i mondi che popoleranno questo nuovo spazio. Donna, Cameron e il loro gruppo di programmatori danno vita a una forma embrionale di comunità online in cui i racconti interattivi non solo costituiscono il collante per la creazione del senso di appartenenza, ma possono anche essere esplorati, modificati e implementati dagli stessi giocatori, ovvero da quella comunità che si riconosce come tale attraverso la frequentazione di questi ambienti narrativi.

    Nella puntata conclusiva de Il Trono di Spade, dinnanzi al consiglio composto dai nobili sopravvissuti di Westeros, Tyrion Lannister (Peter Dinklage) è chiamato a esprimere il suo parere sulla scelta del nuovo re.

    Nonostante sia considerato dai più un traditore e per questo messo in catene, sono sufficienti poche battute per far risaltare le sue grandi doti di retore e consigliere del potere: “Cosa unisce le persone? Gli eserciti? L’oro? Una bandiera? Sono le storie. Non esiste nulla di più potente di una bella storia. Niente è in grado di fermarla. Nessun nemico può sconfiggerla. E chi ha una storia migliore…” Con grande arguzia, Tyrion propone Bran Stark (Isaac Hempstead Wright) come futuro re: un ragazzo menomato che reca sul corpo le tracce del passato, disinteressato al potere, impossibilitato ad avere una discendenza e soprattutto un veggente, saggio custode della memoria di un intero mondo e delle sue storie. Solo mantenendo viva e condivisa la memoria sarà possibile ricostruire il presente e immaginare nuove prospettive per il futuro. Per questo Arya Stark (Maisie Williams) parte alla volta delle terre ignote oltre il Continente occidentale, mentre Jhon Snow (Kit Harington), assieme al Popolo libero, ritorna nelle terre selvagge oltre la Barriera.

    Halt and Catch Fire esalta i tratti euforici collegati ai processi di formazione e sviluppo che presiedono la nascita di una nuova comunità, in cui le relazioni sono rese possibili dagli sviluppi tecnologici e dal potenziale narrativo dei media digitali. Il Trono di Spade utilizza il finale per proporre una rilettura di quanto accaduto durante otto stagioni, concentrandosi soprattutto sulle catastrofi occorse, che devono essere ricordate per richiamare i superstiti alle loro responsabilità e permettergli di ridefinire i princìpi su cui fondare i rapporti interpersonali e le relazioni di potere. Memoria e narrazione sono dunque strumenti efficaci per garantire alle comunità di formarsi e prosperare.

    La seconda stagione di Halt and Catch Fire e il finale de Il Trono di Spade appena analizzati sono casi esemplari del legame sempre più intenso che si è creato tra le forme della serialità e la costruzione di comunità. Le conclusioni sono strategicamente adatte a ricapitolare e rilanciare i diversi livelli che sostanziano questo rapporto, a partire dalle strutture testuali fino ai contesti produttivi, distributivi e ricettivi.

    La tenuta della comunità è uno dei temi principali della serialità. Si pensi agli antieroi e ai difficult men: le loro azioni sgretolano i gruppi a cui appartengono e innescano un contagio mimetico che porta gli altri personaggi ad assoggettarsi a regimi di illegalità e immoralità. Al contrario, la presenza di soggettività propositive rende possibile la ridefinizione e l’ampliamento dei legami comunitari. Dal punto di vista delle strutture narrative, le comunità sono il soggetto collettivo che abita i mondi seriali e ne garantisce la continuità orizzontale, da una stagione all’altra. Le linee narrative verticali, dedicate all’approfondimento dei personaggi e delle loro relazioni e che si esauriscono in una o più puntate, sono spesso contraddistinte dalle dinamiche familiari, oppure dalle affinità e dai contrasti che si generano all’interno di gruppi sociali più ampi. Infine, le comunità si trovano implicate anche a un livello riflessivo: sono gli stessi ingranaggi da cui dipende il funzionamento del testo a configurare uno spazio metaoperativo, che mette al centro le articolazioni e i risvolti comunitari del racconto.

    L’aumento della domanda di serie televisive e la crescita delle piattaforme Ott hanno prodotto, in termini di formato, una contrazione delle stagioni e hanno permesso all’antologia e alla miniserie di tornare in auge, spesso a discapito della lunga serialità. Le ridefinizioni delle dimensioni relative al formato non hanno però impedito alla complessità, intesa come peculiare tecnica di storytelling delle serie televisive, di continuare a diffondersi sul mercato internazionale e di attecchire all’interno dei generi più disparati, dal melodramma al crime, dal dramma storico fino al biografico. Le strategie produttive, le dinamiche distributive e le modalità ricettive attingono dalla complessità seriale risorse per costruire momenti di aggregazione in cui gli spettatori condividono pratiche di visione. A loro volta, queste pratiche sono un incentivo ad allargare i contenuti della narrazione, oltrepassando il tempo necessario alla loro fruizione e continuando a convivere con essi durante le interazioni sui social network e nelle occasioni di socialità in presenza.

    La serialità attraversa i supporti, attinge, prolunga e rimedia storie provenienti dalla letteratura, dal cinema e dagli altri media. Attraverso queste operazioni di bracconaggio e riscrittura, affiancate dall’attitudine a rielaborare eventi e immagini della cronaca e della storia, la serialità coglie tempestivamente desideri e paure collettive per offrirci degli spazi narrativi in cui rimodulare i significati dello stare assieme. In un tempo in cui il bisogno di comunità si espone ai rischi molteplici, come la pervasività delle tecnologie del controllo, la frequente inconsistenza delle reti sociali online, a cui spesso si accompagna la tendenza all’utilizzo di un linguaggio violento, l’esclusione dell’alterità, interpretata pregiudizialmente come una minaccia, le narrazioni seriali ci aiutano a immaginare forme alternative di incontro e di scambio, supportandoci nella condivisione delle esperienze e delle memorie.

     

    Immagine di copertina di Diego González su Unsplash

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