Come i bambini si trasformano in maestri per gli adulti

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    Nella pratica della lettura condivisa come nell’esplorazione delle cose spirituali, gli adulti di riferimento possono trovare nei bambini i loro maestri.1Suggerire questa capacità dei bambini di intercettare una dimensione sottile, imprevedibile, profonda non vuole in alcun modo dipingerli come naturalmente buoni, o perfetti, o per forza saggi. È solo un tentativo di richiamare l’attenzione su questa straordinaria possibilità di farsi indicare dai bambini momenti e particolari che aprono squarci nella realtà che per gli adulti altrimenti difficilmente si aprirebbero.

    Pina Tromellini esplora il sorgere delle prime domande quando nei bambini sono in pieno funzionamento l’immaginazione, l’indagine, la creatività con il risultato che essi colgono relazioni e nessi tra vissuti, esperienze fisiche e metafisiche e le trasformano in una molteplicità di rappresentazioni in cui dubbi e incertezze diventano protagonisti della loro “teatralità interiore”.

    È allora che sta per iniziare quel “volo lungo i sentieri della trascendenza” dove i bambini si spingono per avere conferma che la vita ha un significato. Ecco, in questo volo i bambini non amano essere soli.

    Pubblichiamo un estratto da Una frescura al centro del petto di Silvia Vecchini, Topipittori

     

    È un volo che non sappiamo dove li porterà, se approderà a una credenza o al suo rifiuto, ma che è comunque necessario perché attinge a domande che si ripresenteranno nel corso di tutta la loro vita e in particolare nell’adolescenza. Molto interessanti, se si vuol avere un’idea del manifestarsi delle domande di senso nella preadolescenza e adolescenza, sono i libri di due grandi autori come Guus Kuijer e David Almond. Romanzi come Per sempre insieme, amen o Storia di Mina registrano come sismografi queste onde di interrogazioni, quest’ansia di ricerca e comprensione di cose grandi, del mistero della vita stessa, senza filtri o indugi.

    La scrittura poetica per Polleke (personaggio di Kuijer), che si definisce “zero religiosa”, o la scrittura diaristica di Mina (personaggio di Almond) fanno emergere in maniera chiara i pensieri più profondi riguardo all’esistenza, ai suoi lati oscuri e problematici, ma catturano anche l’apertura al mistero e l’atteggiamento di meraviglia e stupore davanti alla sua bellezza. A mio avviso, personaggi come questi sono in grado di raccontare qualcosa di quello che succede nella mente e nel cuore di preadolescenti e adolescenti riguardo alle domande di senso. E suggeriscono anche come, ascoltando questa sorgente, è possibile integrare questo aspetto nel processo di costruzione della propria personalità e farne un punto di forza. Una vera e propria intelligenza. Per questo ritengo che sia bene accompagnarlo anche leggendo bei libri. Scrive Pina Tromellini

    L’interiorità del bambino è plurale: si forma nella ricerca dei rapporti, in un dialogo continuo con gli adulti, perché l’altro è colui del quale si sente l’assenza e che si va a cercare. I bambini non amano il soliloquio. Nella relazione vivono uno stato di beatitudine e di benessere psicologico, naturalmente a condizione che essa non generi dipendenza e contribuisca invece alla formazione di individui liberi, nei pensieri come nelle azioni. 2P. Tromellini, cit., p. 23.

    Se accompagnarli è necessario, stare al loro fianco nel momento delle domande è anche un’opportunità preziosa per gli adulti. Quello che si può imparare è innanzitutto un atteggiamento di umiltà nel fornire le risposte che, come sottolinea Tromellini, “possono essere tante, diverse e mai definitive”.

    Che cosa sia una buona risposta ce lo indicano ancora una volta i bambini. Matteo Colombo, in un articolo apparso su «Internazionale», parlando di domande e risposte riprende i tre principali modelli elaborati a partire dagli anni Sessanta dai filosofi della scienza (modello nomologico-deduttivo, quello unificazionista, quello meccanico-casuale) per dire che cosa è una buona spiegazione:

    Questi modelli descrivono la forma di molte buone spiegazioni, ma i filosofi non dovrebbero partire dal presupposto che c’è un unico modello valido e che si deve per forza decidere qual è quello in grado di definire una buona spiegazione. Molti di loro pensano che ci sia un unico modello monodimensionale adatto a ogni sfera d’indagine: questo, però, li porta a ignorare la psicologia del ragionamento esplicativo.

    Rispondere bene a un perché non è solo un’astrazione filosofica. Le spiegazioni hanno funzioni cognitive legate alla vita quotidiana. Favoriscono l’apprendimento e la scoperta, e le buone ipotesi esplicative sono essenziali per orientarsi nel mondo […].

    I bambini come gli scienziati osservano il mondo tentando di trovare degli schemi, cercandone violazioni sorprendenti e provando a dargli un senso sulla base di considerazioni esplicative e probabilistiche. I bambini danno informazioni uniche su che cosa è una buona spiegazione.3M. Colombo, Una buona risposta ai mille perché, «Internazionale», n.1192, 2017, p. 18.

    Non occorre avere una risposta rigida, preconfezionata alle domande dei bambini, quanto invece sforzarsi di offrire loro buone ipotesi e interessarsi della psicologia del ragionamento esplicativo.

    Questa particolare attenzione è in grado di orientare anche gli adulti che, alle prese con il sorgere della domanda di senso dei loro figli o dei loro alunni, possono ritrovare la radice delle proprie domande. Per rispondere gli adulti possono ben imparare da loro iniziando a dare ascolto a quella che Franco Lorenzoni chiama “la cultura infantile”:

    Io penso che tra le tante culture che esistono al mondo ci sia anche la cultura infantile. Una cultura preziosa, vicina all’origine delle cose e capace di continuo stupore. È provvisoria, naturalmente, perché riguarda solo i primi anni della vita, ma rimane sopita in parti nascoste di noi per sempre, come ben sanno gli artisti che vi attingono di continuo. […]

    I bambini sono maestri troppe volte inascoltati. Il paradosso sta nel fatto che la sensibilità infantile viene spesso trattata con grande superficialità e poi, quando si è adulti e si sta male, la si vuol ritrovare sul lettino dello psicoanalista.

    Non sarebbe meglio dare spazio e respiro, attenzione e cura ai bambini… quando sono ancora bambini?4Lorenzoni, Quando insegnare ai bambini è un’avventura, basta parlarci, intervista pubblicata il 21 novembre 2014 nel sito.

    Un ascolto vero e profondo dei bambini permette certamente di accompagnarli meglio nel loro processo di crescita ma allo stesso tempo può consentire di riattivare dentro di sé la capacità di mettersi in discussione, di mantenere aperta «La figliolanza è apertura, la figliolanza umana è l’apertura infinita, la figliolanza matura dell’adulto è l’apertura fiduciosamente e coraggiosamente tenuta aperta, nonostante le esperienze abbacinanti della vita che la vogliono chiudere. Ma una tale apertura infinita, tenuta dischiusa sulle realtà della vita è l’attuazione dell’esistenza religiosa dell’uomo», K. Rahner, Pensieri per una teologia dell’infanzia, in Nuovi saggi II. Saggi di spiritualità, Edizioni Paoline, Roma 1968, p. 414.
    la propria sorgente, di prendersi cura della propria dimensione spirituale, delle proprie domande di senso rimaste magari trascurate o inascoltate.

    I bambini, infatti, con il loro chiedere e insistere, esercitano anche una funzione di critica e smascheramento delle menzogne e delle pigrizie degli adulti. La loro condizione è antagonista del mondo adulto e le loro domande e i loro pensieri possono svelare a noi stessi le nostre domande e i nostri pensieri. Non di rado, di fronte a questo svelamento, ci troviamo meno profondi, attenti, intelligenti, aperti, solleciti, disinteressati di quanto vorremmo riconoscerci.

    Scrive Gabriella Caramore:

    L’infanzia è di per sé una condizione antagonista del mondo adulto. Rappresenta l’alterità rispetto al mondo che ordinariamente si struttura su fondamenta di interesse, di profitto, di sicurezze, di pregiudizi. Se proviamo ad ascoltare le parole dell’infanzia, a sostenere lo sguardo che i bambini ci rivolgono, dobbiamo vedere che l’infanzia rappresenta una critica feroce del mondo adulto e della sua mediocrità, della sua arrendevolezza all’abitudine, alle convenzioni, alle menzogne, alle pigrizie.5G. Caramore, Come un bambino. Saggio sulla vita piccola, Morcelliana, Brescia 2013, p. 71.

    A questo proposito, è stupendo a mio avviso il racconto di Antonio Rubino6A. Rubino, Fiabe quasi vere, Vallecchi, Firenze 1936. Ho scoperto questo racconto grazie a Martino Negri, ricercatore all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, dove insegna Didattica della letteratura e Letteratura per l’infanzia, nel corso di una conferenza dal titolo Fiducia nell’imponderabile. La dimensione interiore del bambino e i libri per l’infanzia, tenutasi nel novembre 2017 alla biblioteca Villa di Breme Forno, associata all’Università Bicocca. dove, proprio sotto il cielo, si svolge il dialogo tra una bambina e suo padre. La bambina domanda, il genitore risponde ma le sue sono risposte banali, rigide, pigre.

    Un tale redarguisce il padre consigliandogli il silenzio e soprattutto lo invita a studiare le domande. La chiusa del breve racconto mostra l’altissimo guadagno dello stare alla scuola dei bambini.

    Una bimba chiedeva a suo padre: – Perché la notte è così scura? 
E il padre rispondeva:
– Perché non è giorno. – È vero che i buoni sono premiati?
– Certamente.
– E allora perché la Dina, ch’era tanto buona, è morta? – Perché il destino ha voluto così!
– E perché l’ha voluto?
– Perché di sì!

    Con questa e altre risposte stupide, il babbo si toglieva elegantemente d’imbarazzo. Ma la bimba lo fissava con occhi così intelligenti ch’egli si sentiva a disagio. – La mia bimba ha un’intelligenza straordinaria – diceva fiero ai conoscenti. – Fa certe domande così imbarazzanti che non si sa proprio cosa risponderle.
– Se lei non sa rispondere, non risponda che è meglio! – disse un tale, seccato. – Le risposte che lei dà sono luoghi comuni che non significano niente: sono buone tutt’al più a soddisfare un grande, ma un bambino no di certo. Studi invece le domande che la bimba le fa, e avrà molto da imparare.
– Che cosa c’è dopo il cielo? – chiese una sera la bimba al suo papà.
Il pover’uomo stava per rispondere: “Dell’altro cielo”. Ma si morse le labbra.
– Toh! – mormorò tra sé – Come il cielo è grande! Non ci avevo pensato mai! E si sentì piccolo.

    Chandra Livia Candiani, autrice del libro Ma dove sono le parole? da cui ho tratto il titolo del mio lavoro, potessa che ha tenuto per lungo tempo seminari di poesia nelle scuole multietniche della periferia di Milano, in un’intervista racconta qualcosa della sua esperienza e in particolare il fatto che, con la poesia, abbia trovato insieme ai bambini:

    il modo di mettere al mondo parole, nel senso di farle nascere ma anche di poter nominare quello che resta sempre fuori luogo, fuori scuola: i sentimenti, le paure, le rabbie, la solitudine, la gioia, insomma la vita invisibile. Sono i miei maestri i bambini e non per modo di dire, mi trasmettono dove sono io, mi smascherano, non compiacciono.7C.L. Candiani, Per qualcuno le cose inutili sono indispensabili, intervista di O. Turquet pubblicata nel sito Pressenza – International Press Agency, <https://www.pressenza.com/it/2015/02/ per-qualcuno-le-cose-inutili-sono-indi- spensabili/>. Un’altra intervista (di G. Calanna per «L’EstroVerso», Anno VIII, n.2, mag- gio-agosto 2014) si conclude con alcuni testi dei bambini che hanno scritto insieme a Chandra Livia Candiani. Tra questi c’è il testo di Edmondo, 9 anni: La poesia un insieme di cose inspiegabili come perché esiste l’universo o chi l’ha creato queste cose sono inspiegabili come la poesia si sono fatte molte ipotesi ma la poesia però è sempre un mistero e quando credi di aver trovato una risposta in verità hai trovato una risposta ma cento domande.

    In questo breve brano si coglie da una parte il senso di una ricerca attorno alla “vita invisibile” fatta insieme ai bambini e dall’altra parte si comprende come, grazie a loro, l’adulto riceva una collocazione e una conoscenza di se stesso più profonda e vicina alla realtà.

    Particolare dalla copertina, illustrazione di Cichuhi Njoki Elisabeth, 16 anni © Fondazione PInAC, Rezzato (BS)

    Quella dei bambini attorno alla “vita invisibile” è un’esplorazione capace di smascherare le rigidità degli adulti perché praticata senza filtri e reticenze. È una ricerca sempre aperta, generosa, che moltiplica la domanda e non desidera di essere esaurita da una sola risposta. Non soltanto. È una ricerca che chiede agli adulti di conservare la speranza e la freschezza dello sguardo e allo stesso tempo chiede di essere onesti e provare a dire tutta la verità8Questo riguarda sia le proprie convinzioni in ambito spirituale / religioso, sia le risposte che riguardano le paure e inquietudini dei bambini: «[…] la mente di un bambino è una spugna, assorbe e trattiene e soprattutto vuole risposte alle domande che implacabili gli martellano il cervello per tutte le ore di veglia e, chissà, forse anche in quelle di sonno. Perché la luna è su nel cielo? Perché se tiro un sasso poi cade? Perché la pasta si cuoce nell’acqua? Perché l’acqua bolle? Perché le unghie crescono? Perché si muore? Perché gli uomini uccidono altri uomini? Perché c’è la gente cattiva? Vengono qui? Arriva il terremoto? Molti di noi si sono allenati a trovare le parole per quasi tutto, altri di risposte non ne hanno e forse non sono capaci di cercarne, non hanno tempo o fantasia, e lasciano i piccoli abbandonati a un vuoto che viene riempito dallo sconforto e dalla rabbia, altri annaspano tentando ogni singolo istante di dare un senso anche a ciò che non ne ha, e se ne ha è certamente fuori dalla portata della comprensione di un bambino. Dire la verità. Essere sinceri, onesti: queste sono buone, anzi ottime intenzioni, ma non è detto che siano sempre formule giuste per mescolare la pozione Paura con le gocce di Coraggio e la Polvere Magica di Catarsi. Perché la ricetta giusta non esiste», S. Vinci, Parla, mia paura, Einaudi, Torino 2017, pp. 50-51. possibile.

    Senza ricette definitive, cercando ogni volta un equilibrio. Di certo, questo dialogo con i bambini maestri, rappresenta un ottimo esercizio di ascolto, scoperta e mediazione e potrebbe, come scrive anche Gallizioli riguardo alla ricerca di Peirce, aiutare a

    riscoprire, nella semplicità, il lato più profondamente vero della nostra umanità, a partire dalla quale, nelle differenze, si potrebbe riscrivere un senso di giustizia più condiviso e meno contrapposto;

    […] tornare a interrogarci con la freschezza di un bambino sul senso più elementare, ma anche più vero, del nostro essere credenti, l’unico che davvero conti se non si vuole trasformare la religione in un mero rinforzo identitario, ma, viceversa, se si vuole viverla come un’esperienza capace di moltiplicare i significati e di restituirci una boccata di ossigeno […];

    ricordarci quando sia essenziale che una parte di sé voglia tornare a essere semplice come il grano che cresce e la pioggia che cade.9M. Gallizioli, Abitare il nostro tempo complesso, Cittadella, Assisi 2016, p. 161. L’autore cita Etty Hillesum: «Si deve diventare un’altra volta così semplici e senza parole come il grano che cresce, o la pioggia che cade. Si deve semplicemente essere» (E. Hillesum, cit.).

    Forse è anche questa la strada che indica un altro maestro, Gesù, quando, nei racconti dei Vangeli, in modo sorprendente mette al centro di alcune delle sue affermazioni più conosciute, proprio i bambini:

    Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.10Mc 10, 13-16.

    E anche:

    In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.11Mt 18, 1-4.

    In particolare, Gesù sembra indicare una connessione tra i bambini e il regno di Dio, fino a indicarli come esempio in modo spiazzante visto che i bambini, non osservando la Legge di Dio, non potevano neppure “guadagnarsi”, meritare niente.

    Il bambino diventa un modello contraddittorio che ha tra le sue caratteristiche principali la povertà, la speranza, la fiducia. Ma soprattutto la possibilità del divenire, della trasformazione, della dinamicità, come tutte le similitudini della vita piccola tanto care a Gesù: il seme, il chicco di grano, la senape, il granello di sale, il lievito.
    Cose piccole che tuttavia non stanno ferme, danno origine a cose nuove.

    Chi è piccolo è più vicino alle cose. Avverte con più acutezza i suoni e i colori del mondo. Distingue l’uno dall’altro i fili d’erba, respira lo stesso respiro dell’animale, ascolta con l’orecchio a conchiglia il gorgogliare del ruscello e il fragore del mare. Nello stesso tempo, è in continua metamorfosi. Mai immobile, mai irrigidito nella staticità dell’adulto, sfugge a ogni presa, si sottrae al ristagno.12G. Caramore, cit., p. 62.

     

    Mai immobili, mai stagnanti. Come una sorgente sempre viva. È forse questa una delle lezioni più impor- tanti dei bambini maestri. Accanto a loro l’adulto può recuperare un sentire e un conoscere sempre pronti a rinnovarsi, può lasciare che le domande dell’infanzia e l’infanzia stessa interroghino e “disturbino” le proprie conoscenze acquisite, gli schemi, monotonie e abitudini, può cercare infine di salvare qualcosa di se stesso che altrimenti andrebbe perduto.

    Illuminanti, a proposito della funzione critica e insieme salvifica dell’infanzia (e della letteratura per l’infanzia)13«L’unica in cui l’uomo non parla di sé per come si conosce e sa di essere, ma prova a dare spazio ad altro, dove l’infanzia è per eccellenza questo “altro” e il suo punto di vista sul mondo viene preso a prestito per vedere, conoscere, sapere cose che altrimenti, come adulti, non ci sarebbe più dato cogliere», G. Grilli, Bambini, insetti, fate e Charles Darwin, in E. Beseghi e G. Grilli (a cura di), La letteratura invisibile, Carocci editore, Roma 2011, p. 34., sono le parole conclusive di Giorgia Grilli nel suo contributo al saggio La letteratura invisibile:

    Non finisce di stupire il fatto che, senza grandi proclami o discorsi, ma sottilmente e quotidianamente, la critica più radicale all’uomo gli venga da se stesso quando è bambino, nonché da quella letteratura che sceglie di raccontare l’infanzia rappresentandola molto abilmente come vita che scorre lieve, tra capitomboli e capriole, prima e al di là di ogni esito finale, in armonia col procedere di tutto il mondo naturale.

    Per un adulto irrigidito, che pensa in modo finalizzato – e per lo più finalizzato a se stesso – un’infanzia così vista è perturbante e provocatoria […].

    A un livello sistematicamente critico la letteratura per l’infanzia è invisibile, sta tra l’essere e il non essere, proprio come i bambini. Viene per lo più considerata irrilevante, anziché profondamente rivelatrice e sottilmente dissacrante, capace di farci vedere che c’è altro, oltre noi, e che questo altro quando eravamo bambini ci è appartenuto, anche se poi lo abbiamo dimenticato.

    Con l’impressione – disturbante – che quel che abbiamo perduto fosse in realtà essenziale, trattandosi di un più profondo e intimo legame con il mondo.14Ivi, p. 57.

    Leggere bellissimi albi illustrati insieme ai bambini, mettersi alla loro scuola per quello che riguarda le connessioni sottili che ci legano al mondo, alla natura e alle cose che ci circondano, ascoltare le loro domande e accompagnarli in questa ricerca può diventare per l’adulto l’occasione di formulare un giuramento, quello di “salvare” la propria delicatezza, “il seme dentro al seme”.

    Giuro che io salverò la delicatezza mia la delicatezza del poco e del niente 
del poco poco, salverò il poco e il niente il colore sfumato, l’ombra piccola l’impercettibile che viene alla luce il seme dentro il seme, il niente dentro quel seme. Perché da quel niente nasce ogni frutto. Da quel niente tutto viene. M.Gualtieri, Giuro per i miei denti da latte, in Senza polvere, senza peso, Einaudi, Torino 2006. Immagine di copertina dal volume di Mariachiara Di Giorgio.

    Note