Avanti tutta! A settembre non torneremo più indietro

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    A settembre il sole splenderà alto in un cielo azzurro, un cielo appena più slavato del solito, schiarito da una luce appena più bianca del normale. La gente, tornata dalle vacanze, sarà forse persino più stanca di quando è partita, occupata a fare i conti di quanto ha speso per le vacanze, il mare irrinunciabile, ma la montagna che sta guadagnando sempre più spazio nel cuore e nei desideri degli italiani, le lunghe passeggiate in mezzo ai boschi con un’aria che te la sogni, in città.

    E poi ci sono i conti di quanti giorni mancano a natale, delle prossime tappe da non mancare, i vernissage, l’inizio delle stagioni teatrali, i festival metropolitani che seguono e inseguono quelli estivi, Halloween e la festa della mamma, la fiera del libro ed è già natale (poi carnevale, pasqua, l’estate di nuovo).

    In un mondo votato al progresso e alla linearità del tempo l’unico elemento che ci ricongiunge con l’ancestralità del tempo circolare delle stagioni finisce per essere fatalmente il consumo. E allora ricominciare sarà come non essersene mai andati, e in fondo le città non si svuotano più come un tempo, chi ha più la possibilità di fare la villeggiatura, un Goldoni contemporaneo dovrebbe inventarsi un titolo diverso, una trilogia del week-end lungo, della vacanza low cost. E già che ci siamo bisogna prestare un occhio ai ribassi degli biglietti aerei, a fine stagione si trovano prezzi interessanti per un fine settimana di decompressione a Helsinki, Lisbona, Londra (a Mosca no).

    È il caso di approfittarne, anche se Michael O’Leary ha detto che dovremo abituarci a pagare di più dei soliti venti euro a tratta, è finita la pacchia, stare pressati come sardine in un aereo disorganizzato, con gli addetti di terra che ti bullizzano per ogni centimetro in eccesso del tuo bagaglio è un’esperienza – sì, è quello che paghiamo – che si dovrà fare spendendo un po’ di più. È un piccolo shock: ci siamo abituati a pagare un volo per Parigi meno di un treno Roma-Firenze ed è difficile tornare indietro.

    Il capitalismo ha fatto il miracolo, ha distorto le coordinate dello spazio tempo, e ora nessuno vuole più tornare indietro. Poco importa la guerra in Ucraina e la crisi del gas russo, poco importa se tutti i soldi del Pnrr se ne vanno in emergenze e in armamenti, non possiamo rimodellare il nostro stile di vita per questo, anzi, non dobbiamo: alla corsa all’accaparramento delle risorse ingaggiata dai governi possiamo solo rispondere senza cedere un millimetro, accaparrandoci ogni goccia di godimento che ci è concessa. La vita è una sola, non ne avremo un’altra, l’ansia è il miglior carburante del capitalismo. E forse sì, è vero, c’è l’apocalisse alle porte, ma se davvero è così che cosa possiamo farci?

    Tanto vale continuare a fare quello che facevamo in passato, cullarci nel nostro presente che non passa mai, tanto più nel caso si rivelasse essere l’ultimo capitolo della storia umana. Vale la pena davvero sbatterci per fare qualcosa, per rimettere a posto ciò che non è possibile rimettere a posto? È vero, probabilmente dovremo correggere un po’ la rotta, fare le vacanze al mare in Groenlandia – Trump ci aveva visto lungo provando a comprarla alla Danimarca – e fare della Sicilia una zona interdetta, inospitale alla vita dell’uomo (maschile sovra-esteso e anche un po’ bianco, sì), o tutt’al più utilizzare quel grande spazio che resterà vuoto per farci una stazione di contenimento per i flussi di migranti climatici che non la finiranno più di puntare verso nord. E poi chi lo dice che non sia tutta un’invenzione? Che il senso di apocalisse che ci sovrasta non sia il frutto di centinaia di serie televisive che non fanno altro che parlare di quello, monetizzando sull’ansia collettiva e facendolo – per altro – saccheggiando l’immaginario di fumetti e contro-cultura che su quei temi si erano esercitati in tempi (e con bilanci) non sospetti?

    Come facciamo ad essere sicuri che non sia tutta una montatura, una manipolazione, anche questa storia dell’apocalisse. Viviamo come tra specchi che si guardano e si riflettono all’infinito, una mise en abyme di teorie del complotto che si sono mangiate la realtà per quello che è, o era un tempo. Quindi che faremo a settembre? Quello che abbiamo sempre fatto, ricominceremo a lavorare, produrre, consumare, scaricare nell’atmosfera rifiuti e gas che servono a guadagnare un’altra goccia di godimento per noi piccoli e fragili esseri destinati alla morte, o qualche ben più consistente accumulazione di risorse per chi si trova in cima alla piramide del sistema, e corre contro il tempo per costruire un sistema di terra-formazione dei pianeti inospitali, come Marte, per scappare dalla Terra quando tutto sarà compiuto con un’elite di super ricchi, per ricominciare il giro di giostra solamente un po’ più in là.

    Vi immaginate quante risorse servono per un progetto di così vasta portata? Quando la gente si chiede cosa potrà mai farci un singolo individuo con una ricchezza personale accumulata che supera di gran lunga il Pil di diversi paesi del mondo, beh, non tiene presente il quadro d’insieme. E quindi a settembre ci metteremo alle spalle le polemiche per le guerre, per qualche nuovo disastro ambientale, e torneremo a lavorare, perché le tasse non aspettano, gli affitti non aspettano, le bollette non aspettano e occorre già pensare al Natale e mettere da parte qualche cosa.

    Farà un po’ più caldo del normale, ma ragazzi (e ragazze), c’era il bonus energetico per mettere i condizionatori a casa, se non ci avete pensato sono problemi vostri. È vero, lo so, l’aria condizionata più che un sistema di climatizzazione è una metafora dei tempi: butto fuori l’aria calda, ulteriormete surriscaldata, contribuendo a rendere l’ambiente collettivo inospitale, per refrigerare quei pochi metricubi solo miei, protetti dal diritto alla proprietà privata. Ma che ci si può fare? Poco e niente, magari giusto trovare qualche lavoretto extra, perché il costo della bolletta energetica è salito a dismisura. Chi lo sa, poi, se arriverà davvero una crisi energetica che cambierà i consumi e anche questa storia della guerra non è soltanto una scusa per alzare i prezzi delle materie prime. Shock controllati, quelle robe lì. 

    Se davvero l’apocalisse dovesse avvenire ci sarebbe già qualcuno pronto a venderci il biglietto per ammirarla dalla postazione migliore. Un po’ come da Millyways, il ristorante al termine dell’universo. È vero, come per i migliori concerti, ci sarebbe sempre un posto gratis da cui assistere allo spettacolo, in fondo sarà una pioggia che si scaricherà su tutti, ma anche in quel frangente ci saranno posti migliori e posti peggiori. Se ci pensate bene, questa prospettiva dell’apocalisse, è persino eccitante: a quale altra generazione nella Storia è capitata una “esperienza” di questo tipo? Viene quasi da dire, ma chi ce lo fa fare a rimettere le cose a posto, sempre che sia possibile farlo. Quando mi si chiede “che cosa succederà a settembre”, mi viene da rispondere: datemi retta, a settembre non succederà proprio nulla, tutto sarà improntato alla più felice e rassicurante normalità.

    Note