Perché anche le Gallerie degli Uffizi hanno bisogno di TikTok

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    I social network svolgono ormai un ruolo chiave nella trasformazione della pubblica amministrazione, consentono agli utenti di informarsi, di comunicare e di interagire sui contenuti digitali creati. Alla funzione “informativa” del web 1.0, nel web 2.0 si è aggiunta quella “comunicativa”. Questa trasformazione ha inciso profondamente anche sulla relazione fra individuo e istituzioni.

    È indubbio che le tecnologie digitali possono fungere da megafono per le politiche pubbliche, creando così coinvolgimento ed empatia verso l’attività dei soggetti pubblici (public engagement), poiché la condivisione dei contenuti viene moltiplicata attraverso l’interazione e i contributi degli utenti stessi. Sono i cittadini che, interagendo sui social con le istituzioni, contribuiscono ad alimentare il dibattito sull’azione pubblica, approvandola, disapprovandola o suggerendo modi implementarla.

    I social network sono parte integrante di un cambiamento che vede i soggetti pubblici comunicare in modo più veloce e diretto con i cittadini; il che permette loro anche di comprendere meglio la realtà sociale in cui vanno ad intervenire e di migliorare, di conseguenza, l’azione pubblica.

    Se il web 2.0 è un luogo di condivisione, sviluppo e aggregazione, i social network sono diventati di fatto le nuove piazze, in cui il singolo cittadino può essere protagonista e far emergere il suo punto di vista. Questo mutato contesto pubblico impatta sulle istituzioni, imponendo a strutture e organizzazioni tradizionali di modificarsi per allinearsi alla società.

    Le tecnologie informatiche non costituiscono il fine dell’azione pubblica, ma rappresentano uno strumento indispensabile al raggiungimento degli obiettivi che la Costituzione e la legge affidano a ciascun soggetto pubblico.

    Le tecnologie informatiche – e in particolare i social network e i social media – non costituiscono il fine dell’azione pubblica, ma rappresentano uno strumento indispensabile al raggiungimento degli obiettivi che la Costituzione e la legge affidano a ciascun soggetto pubblico. Lo scopo finale è cioè quello di accrescere la soddisfazione dei cittadini, la fiducia verso le Istituzioni ed il benessere collettivo.

    Si parla, in proposito, di “cittadinanza digitale”, che si fonda su una relazione basata sulla trasparenza, sull’ascolto, sulla partecipazione e sulla collaborazione. Ma l’efficacia di questa inedita relazione dipende dalla capacità dei soggetti pubblici di parlare lo stesso linguaggio della comunità, anche perché lo stesso potere pubblico trova la propria ragion d’essere nel prendersi cura delle esigenze dei cittadini (cultura, sicurezza, salute, istruzione etc.) e per farlo deve riuscire ad agire in una dimensione multilivello, sfruttando tutti gli strumenti utili allo scopo.

    La trasformazione digitale ha modernizzato anche il vocabolario dei musei, inserendo la condivisione tra le parole chiave del futuro: la condivisione sui social di collezioni e spazi è utile per creare nuove connessioni e ad ampliare il pubblico, avvicinando anche persone tradizionalmente distanti dalla cultura. L’attenzione al pubblico e ai pubblici rende centrale l’esperienza di cui le persone possono godere, anche online, e porta a combinare il fattore cognitivo, educativo, con quello emozionale. L’obiettivo di arrivare ad un coinvolgimento a lungo termine può derivare da un mix di narrazione su diversi canali e con diversi registri comunicativi, operata dal museo stesso, e con una narrazione indiretta, da parte dei visitatori che, attraverso la condivisione sui social, raccontano la loro esperienza.

    Il museo torna ad essere un’istituzione viva, rivolta al pubblico del futuro, più che alla contemplazione del passato; diventa un laboratorio per la comunicazione digitale capace di stimolare partecipazione e interazione con i visitatori.

    In questa visione, i social network diventano un mezzo per realizzare la missione culturale, perché permettono di creare una comunità di visitatori fisici e virtuali. I canali social sono perciò diventati un’estensione dell’etica e della missione dei musei e diventano un mezzo per estendere i confini dell’autorevolezza scientifica dell’istituzione culturale, aumentando la consapevolezza delle persone e, pure, la riconoscibilità del brand, per i musei che ne hanno uno. In questo senso, i social network rendono i musei più accessibili e comprensibili anche a chi non ha una cultura e una conoscenza di base. Rendono la cultura più popolare e vicina alle persone normali, che rientra tra gli scopi che le istituzioni culturali devono perseguire.

    Questo è il motivo per cui anche le Gallerie degli Uffizi hanno bisogno di Tiktok.

    Per chi non lo conoscesse, TikTok è il social network della Generazione Z (i nati dopo il 1995), pensato per realizzare brevissimi video (fino a 60 secondi). La varietà di contenuti è amplissima: balletti, comedy, short speech, tutorial di viaggi, cibo, make up, momenti della vita quotidiana. Le parole d’ordine sono ironia e creatività. L’app presenta un ampio strumentario per l’editing (maschere di realtà aumentata, effetti, animazioni, sticker, transizioni, filtri) ed una vasta libreria musicale, che consentono agli utenti di personalizzare i propri contenuti per renderli coinvolgenti.

    Se nel momento del suo lancio, nel 2018, Tiktok aveva come obiettivo l’intrattenimento, nel tempo l’offerta di contenuti si è diversificata, arrivando ad includere la sensibilizzazione su temi sociali (diritti LGBTQ+) e politici (dal fallimento del comizio di Trump a Tulsa, fino a diventare un hub per l’attivismo del movimento BLM: i video con l’hashtag #BlackLivesMatter sono stati visualizzati oltre 13 miliardi di volte). L’apprendimento e la diffusione di contenuti educativi e culturali sono le ultime sfide del social network, che ha lanciato hashtag dedicati (#imparacontiktok; #learnontiktok) e promuove esso stesso contenuti culturali.

    Questo ultimo profilo costituisce il punto di contatto tra un’istituzione culturale come le Gallerie degli Uffizi e il social network. L’agenzia Mediakix che si occupa di Influencer marketing, ha stimato che nel 2019 il 66% degli utenti di TikTok avevano meno di 30 anni; ad agosto 2020 è stata l’app più scaricata al mondo e ad oggi ha oltre un miliardo di utenti. Questo ne fa un luogo virtuale di sicuro interesse per una Istituzione pubblica come lo è un museo, per un duplice motivo: da una parte,  comprendere meglio il linguaggio del pubblico del futuro; dall’altra ridefinendo temi complessi con un linguaggio congeniale ai giovani in grado di stabilire un contatto con il mondo dell’arte differente da quello meramente scolastico.

    Il mondo della comunicazione digitale dei musei e delle pubbliche amministrazioni in generale è in rapida e continua evoluzione. Sta attraversando una fase di grande attività conseguente all’emergenza Coronavirus e alla relativa chiusura di tutti gli enti culturali. Ciò ha comportato la necessità di trovare nuovi spazi di comunicazione per portare avanti la missione culturale e continuare ad avvicinare le persone all’arte, in attesa della possibilità di tornare a visitare di nuovo il museo.

    Con l’apertura di un canale TikTok le Gallerie degli Uffizi hanno adottato una strategia apparsa fin da subito innovativa agli addetti ai lavori per provare ad avvicinare una fascia di pubblico difficilissima da coinvolgere, cioè i ragazzi in età scolastica. Così mentre la Generazione Z naviga tra creator, balletti e gag si ritrovano casualmente davanti ad un’opera d’arte che li intrattiene con il linguaggio di TikTok. Dalla sua, il museo porta l’arte direttamente su uno strumento che i giovani tengono perennemente tra le mani. L’arte non è più solo una materia imposta a scuola, è qualcosa che si può avere il piacere di scoprire per sé stessi. La comunicazione social si aggiunge e non sostituisce alla missione didattica del museo e della scuola.

    L’innovazione sta nell’interpretare in chiave ironica e pop le opere della collezione, con riferimenti all’attualità, anche oltre il Coronavirus. Lo scopo ultimo rimane quello di trasformare il dialogo virtuale tra Uffizi e TikToker in una visita reale.

    La cultura muore, non è solo un problema dei musei. Se pensiamo agli enti lirico sinfonici e ai teatri di prosa, scopriamo che l’età media del pubblico si alza sempre di più, per cui occorre trovare linguaggi nuovi per catturare la curiosità di chi da solo non si avvicinerebbe alla “cultura alta”. La sfida è: come attirare persone che per famiglia, per mancanza di educazione, non sanno nemmeno che esistono alcuni capolavori o che si trovano nelle Gallerie degli Uffizi?

    La strategia mira a stimolare la curiosità personale, a dare una spinta gentile in direzione dell’approfondimento e dello studio personale, senza una classica spiegazione. È come voler dare un suggerimento, lasciando poi che ognuno faccia il passo ulteriore verso la conoscenza e la scoperta del museo, se lo vorrà.

    La strategia social deve ovviamente essere integrata con ulteriori strategie di comunicazione per accompagnare la visita fisica, al fine di restituire la complessità e l’emozione che stanno dentro un’opera d’arte. Ma questo è lo step successivo, che può avvenire solo una volta attirata l’attenzione del pubblico di interesse.

    E allora ben venga l’umorismo fatto da un’istituzione culturale, se serve ad avvicinare le opere a un pubblico diverso da quello cui si rivolge la critica ufficiale, ma anche a guardare le opere e i personaggi in modo più leggero e scanzonato. Per rendere Petrarca meno distante ai ragazzi si può raccontare un incontro impacciato con Laura oppure immaginare oggi una conversazione tra Maria Maddalena d’Austria e Cristina di Lorena.

    Siccome i giovanissimi di oggi saranno il pubblico del futuro, andare nei luoghi virtuali che frequentano, parlare il loro linguaggio e non quello dei “boomer”, incontrare i gusti ed esser protagonisti di quella comunità è il primo passo per stimolare la curiosità e spingerli delicatamente ad interessarsi all’arte.

    La complessità di un’opera può essere resa anche in modo autoironico e in pochi secondi. Il credere che non si possa discutere di argomenti complicati su un social è un pregiudizio, la chiave sta nel farlo in modo coinvolgente e in modo da dare una “pillola” di informazione, una o poche frasi in cui si accenna al tema. Per spiegare un mito, 60 secondi sono abbastanza, in alcuni casi fin troppi, per un certo tipo di utenti, abituati ad una comunicazione brillante e veloce. Ne è prova il successo ottenuto dal video in cui, sfruttando suoni e trend, il mito di Marsia viene spiegato in pochi secondi e utilizzando il linguaggio della challenge #bulletproof

    Per cui, siccome i giovanissimi di oggi saranno il pubblico del futuro, andare nei luoghi virtuali che frequentano, parlare il loro linguaggio e non quello dei “boomer”, incontrare i gusti ed esser protagonisti di quella comunità è il primo passo per stimolare la curiosità e spingerli delicatamente ad interessarsi all’arte. Inoltre, si deve tener conto del fatto che una vasta gamma di persone – le più giovani per la maggior parte – riceve informazioni esclusivamente sui social media.

    I social media ci hanno imposto una serie di sfide di non poco conto, che ci hanno portato a ri-pensare e ri-modellare i contenuti. Adattare il messaggio allo strumento non è un impoverimento culturale, arricchisce il contenuto di nuove sfumature, lo rende divertente e comprensibile. I diversi livelli sono entrambi utili allo scopo ultimo dell’istituzione. I social possono essere un canale attraverso cui umanizzare il contenuto culturale senza per questo svilirlo, ma rendendolo vicino, come qualcosa che appartiene ad ognuno e che suscita emozioni e rifiuto, perché no, se costruttivo.

    Ad un primo livello di fruizione, quello dell’intrattenimento e dell’ironia, se ne aggiunge uno più profondo: quello della scoperta. Per raccontare un episodio della quotidianità della corte di Cosimo I de’ Medici e per attirare la curiosità sull’importante ruolo svolto dai nani nelle corti (come giullari, servitori fidati o bambinaie), si può inserire il nano di corte, Morgante, nel contesto del Giardino di Boboli, nel quale realmente egli andava a caccia, e farlo muovere sulle note di un tormentone.

    La Medusa del Caravaggio può essere l’occasione per sensibilizzare sull’uso dei dispositivi di protezione individuale, se la si rappresenta mentre pietrifica il virus. Se pure la Medusa di Caravaggio indossa una mascherina, perché non dovremmo farlo noi?

    @uffizigalleries

    #Medusa Vs #Coronavirus #Caravaggio #uffizi #art

    ♬ suono originale – uffizisocial

    Tutto ciò, al fine ultimo di attirare l’attenzione sulle straordinarie capacità di resa espressiva degli artisti. I personaggi di alcune opere, anche tra quelle meno note, sono incredibilmente espressivi. I video funzionano se si riesce a far corrispondere le espressioni delle opere ai contenuti dei dialoghi. Perché non sfruttare un trend se questo consente di inserire un contenuto culturale? Perché non far ballare le Grazie se queste sono le divinità della gioia e della letizia?

    E i ragazzi sembrano cogliere i riferimenti dimostrando che i social non sono il regno dell’ignoranza. Ma significa anche essere riusciti ad entrare a far parte di una community, averne compreso il linguaggio ed il modo di pensare, il che consente di potersi inserire in contesto per guidarlo verso l’obiettivo educativo.

    L’umorismo, l’ironia, il divertimento, la risata non sono dei tabù nel mondo dell’arte. Un’opera può suscitare una molteplicità di emozioni sfaccettate che devono essere espresse e che non possono essere bollate come disdicevoli perché inconsuete. Gli stessi artisti puntavano a suscitare reazioni differenti e le storie che a volte stanno dietro le opere sono esse stesse buffe. Le espressioni dei personaggi delle opere sono così vive e vivide da poter essere adattate per raccontare altre storie e replicare dialoghi virali o di film e cartoons.

    @uffizigalleries

    In cerca dello zoo #umiltabambino #lozoo #checcozalone #comicità

    ♬ suono originale – Audioperturti

    Sono uno strumento per arrivare ad un fine: suscitare un interesse culturale. Il mezzo non è buono o cattivo; il mezzo si modella a seconda di come noi lo utilizziamo. Questo stesso ragionamento possiamo farlo per i videogiochi. C’è letteratura sulla funzione educativa del gaming, e di come i videogiochi possono essere utili strumenti di educazione alla cultura. Giocando si impara, così come divertendosi si impara.

    È un ulteriore percorso per svolgere quella missione straordinaria e straordinariamente importante che è la diffusione della conoscenza e implica, al tempo stesso, partecipazione.

    Certamente, trattandosi di un percorso innovativo, non può suscitare reazioni unanimi. Pareri contrari, opinioni critiche e dibattiti servono ad acquisire consapevolezza.

    Allo stesso tempo però non è possibile escludere a priori le potenzialità di un’agorà con oltre un miliardo di utenti giovanissimi solo perché si muove su corde distanti da quelle classiche. E che questo approccio funzioni lo dimostrano non solo l’attenzione della stampa mondiale al fenomeno (The New York Times, BBC, El Pais, The Telegraph). Leggendo i commenti sotto i video si ha l’impressione che il target di riferimento sia stato raggiunto e piacevolmente colpito da questa iniziativa. Non possiamo partire dal presupposto che i ragazzi debbano essere naturalmente e spontaneamente interessati all’arte; spetta alle istituzioni creare punti di contatto, creando un contesto attrattivo e toccando le corde giuste per far crescere i visitatori del futuro.

    Note