Roedelius Schneider: the universe declining in your hair

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    Roedelius Schneider rappresenta il compimento inevitabile di due percorsi che si sfiorano per anni senza mai confluire: quel punto in cui i rami che costituiscono il delta del Nilo si incontrano, perdendo ogni identificazione di nome o genere per fondersi all’insegna dell’eco del futuro.

    Il mare dal quale provengono Hans-Joachim Roedelius e Stefan Schneider è quello tedesco, pur appartenendo a tempi diversi, i due produttori vengono entrambi associati alla corrente che prende piede durante gli anni Settanta e della quale Roedelius è pioniere, definita come Kosmiche Musik, ossia l’incontro astrale tra musica strumentale ruotante intorno al post-rock e la musica elettronica, in concomitanza con l’invenzione del primi sintetizzatori di Moog Music, dando consistenza a quello che aveva iniziato Stockhausen qualche decennio prima. Lungi dall’identificare il Krautrock con un singolo autore, la corrente musicale avrà risvolti più o meno imprevedibili tra cui Cluster, Harmonia, Tangerine Dream, Faust o i Kraftwerk nella loro celebrazione alle macchine elettroniche influenzati da rock, pop, noise, jazz, classica e ambient.

    Roedelius Schneider

    Entrambi gli artisti, fortemente influenzati dal contesto culturale in cui sono calati, strumentalizzando la musica per il sociale, innescano quel meccanismo fatale che si trova alle spalle delle maggiori rivoluzioni musicali, spalleggiate da un coinvolgimento di più larga scala, in questo caso frutto del desiderio di cambiamento post-guerra. Hans-Joachim Roedelius fonda Zodiac Free Arts Lab nel 1967, spazio aperto alle sperimentazioni sonore e alle live performance nato in opposizione all’imborghesimento musicale impregnato di conformismi nella composizione e rappresentazione. Pur avendo breve vita lo Zodiac Club rappresenta la culla di complessi musicali come Cluster o Harmonia (entrambi fondati da Roedelius), considerati tra le maggiori innovazioni dagli anni Settanta ad oggi; allo stesso modo Stefan Schneider entra sulla scena vent’anni dopo con Deux Baleines Blanches nel tentativo di opporsi ai movimenti neonazisti che avevano ripreso a gorgogliare in Germania e Olanda già da qualche anno. La risposta di Roedelius e Schneider va molto oltre la domanda iniziale del “l’anarchic music actionism”, spostandosi in una nuova dimensione della quale al tempo è difficile definire i contorni, alimentando un embrione che risponde al sociale con la composizione.

    Il primo capolavoro di Joachim è Kluster insieme a Moebius e Schnitlzer, collaboratore dei Tangerine Dream, gruppo ruotante intorno alla presenza dello Zodiac Free Arts Lab che poi diventerà Cluster con l’entrata del fondatore dei Neu! Michael Rother il quale collabora anche con i Kraftwerk durante i primi anni Settanta piuttosto che con i Red Hot Chili Peppers o i Sonic Youth più recentemente. Zuckerzeit loro terzo album segna il passaggio dall’avant-garde noise agli accordi melodici che caratterizzano poi le loro produzioni successive come Cluster o Qluster (quando al posto di Dieter Moebius subentrano Armin Metz e Onnen Bock) e Music von Harmonia. Dietro a quest’ultimo si trovano sempre i tre Cluster, fortemente appoggiati dal pioniere dell’ambiente Brian Eno, il quale li definisce “gruppo rock più importante al mondo” e con i quali collaborerà più volte in Cluster&Eno nel 1977 o After The Heath, segnando la definitiva entrata delle influenze musicali tedesche sulla scena pop inglese (vedi anche la collaborazione con David Bowie).

    In quegli anni comincia poi la carriera da solista di Roedelius, il quale arriverà a produrre più di ottanta album in tre decadi spaziando dalle composizioni più strumentali dei primi album (fortemente influenzato dal suo lavoro in quel momento come Cluster o Harmonia) per poi esplorare la techno negli anni Novanta in concomitanza con l’esplosione del genere a Berlino con album come Der Ohrenspiegel. Il merito di Hans Joachim Roedelius non sta però tanto nella quantità di produzioni, quanto nell’innata predisposizione ad innovare riuscendo ogni volta a superare l’avant-garde, continuando ad andare ancora oggi oltre il limite ultimo che si pone oggi al domani, rientrando in quella categoria di artisti che non rimangono ancorati agli exploit passati rilasciano anche l’anno scorso due split release con il fondatore del Gotan project, Mueller e con Leon Muraglia su Passus Records.

    Stefan Schneider inizia produrre agli inizi degli anni Novanta, quando Roedelius è impegnato con i Cluster piuttosto che in solo su Edicions Nova Era, Materiali Sonori e Prudence. L’incontro tra i due avverrà in seno alla Bureau B, etichetta tedesca sulla quale il primo già fatto capolino come Cluster, Harmonia o semplicemente Hans-Joachim Roedelius, con due album Stunden e Tiden, rappresentativi dell’incontro tra i sintetizzatori ed il pianoforte di Roedelius e Schneider agli arrangiamenti elettronici, aprendo il sipario su un’ulteriore gioco di spade tra macchine e strumenti in cui il classico e il moderno diventano uno: Roedelius Schneider.

    Deux Baleines Blanches, tuo primissimo progetto dai connotati avant-pop, rappresenta la punta dell’iceberg di un lungo e proficuo percorso che ha inizio a Dusseldorf negli anni Novanta. Che cosa fa scattare la scintilla a Stefan Schneider per renderlo quello che è oggi?

    Penso che T.Rex/Hot Love è stata la prima canzone che mi ha dato una vaga idea di quanto la musica non sia solo musica ma anche moda, identità, sessualità, apparire; al tempo avevo solo dieci anni. Mi ricordo che non appena venne passata alla radio, non piacque ai più anziani, i quali trovavano che quel vocal ‘la la la la’ fosse privo di contenuto. Persone come me si innamorarono di quella bellezza semplice e di come si potesse sentire “the universe declining in your hair” (trad. l’universo dispiegarsi nei tuoi capelli) in ogni la. Qualche anno dopo nacque Punk e fu una rivelazione in gran parte perché era stimolante cominciare a mettere in piedi delle cose da solo. L’aspetto ‘No Future’ di Punk non mi interessava particolarmente in quanto all’improvviso il mondo sembrava pieno di possibilità.

    Cominciai a suonare la chitarra con alcuni compagni di scuola. Il mio primo amplificatore per chitarra fu una Roland AC 80 perché sembrava moderno e aveva un suono diverso rispetto ad un amplificatore rock. Misi in piedi Deux Baleines Blanches nel 1986 da solo per rilasciare qualche cassetta in edizioni di cinque o sei, portandole a negozi locali di dischi dove tendevano a scomparire. In quell’epoca l’etichetta ‘Les Disques du Crepescule’ aveva particolare rilevanza per me. Mi piaceva l’idea portante dell’etichetta, la sua identità visuale, le copertine degli album, forse anche il fatto che erano di Bruxelles e non inglesi o americani. Un giorno andai nel loro ufficio a Bruxelles, senza essere invitato o avere un appuntamento, con l’intento di rilasciare la mia prossima cassetta con loro. Almeno riuscii a parlargli e a compare un album dei New Order (quello del 1985?) nel loro ufficio, il che fu già una conquista.

    Il tuo secondo progetto, Kreidler, fondato insieme a Detlef Weinrich, Thomas Klein e Andreas Reihse, aveva insita in origine un’ importante componente politica e sociale, orientata contro l’emergere di nuovi estremismi di destra, usando PUNT come piattaforma di supporto. In che modo avveniva questo intervento in politica tramite la musica?

    Nel 1988 conobbi Andreas Reihse, il quale si era appena trasferito a Düsseldorf per Ata tak (famosa etichetta tedesca, ndr). Al tempo aveva un piccolo sintetizzatore che rendeva molto bene tra le sue mani. Cominciammo a suonare insieme e ci trovammo bene. Nel 1992 iniziammo una collaborazione con la band dell’Aia Trespassers W e fondammo una rivista chiamata PUNT redatta in olandese e tedesco. Più o meno 40 artisti, musicisti, scrittori ect contribuirono con dichiarazioni sulla situazione politica e l’aumentare di movimenti estremisti di destra in entrambi i paesi. Imparai molto – il che era ottimo – sul movimento anarchico olandese e le differenze e tradizioni del linguaggio parlato in Olanda. Insieme a i Trespassers W organizzammo una serie di eventi live tra cui concerti, letture, spettacoli. Quello era il nostro modo di unire persone provenienti da diversi campi dell’arte. Il messaggio politico era che persone con idee e modi di percepire diversi potessero imparare gli uni dagli altri in modo da plasmare nuovi territori e obiettivi nel lavorare insieme.

    Kreidler è stato definito in vari modi, venendo spesso descritto come gruppo post-rock dalle influenze Krautrock, movimento che prende piede in Germania durante gli anni Settanta, rappresentato da gruppi come Cluster e Harmonia; distanziandoci dalle identificazioni di genere, in che modo descriveresti il complesso musicale?

    Kreidler cominciò come complesso musical d’appoggio per autore-poeta chiamato Stan Lafleur; dopo qualche cambiamento di componenti diventammo Kreidler nel 1994. Thomas Klein e Detlef Weinrich erano gli altri due membro. Le cose presero piede velocemente e il primo vinile (“Sport” su Finlayson) venne rilasciato solo un anno dopo.

    Non sapevamo molto sul Krautrock visto che i dischi degli anni Settanta cominciarono ad essere disponibili a metà degli anni Novanta. Eravamo particolarmente interessati alla techno, il post-punk e anche il reggae e il jazz. Quando suonammo a Londra o in Belgio, alcune persone ci dissero “Oh, somigliate un po a NEU! o Cluster” (quest’ultimo complesso musical fondato da HJR, considerato uno dei maggiori esponenti del Krautrock ndr). Poiché non avevamo idea della musica di NEU! andammo ad incontrare Klaus Dinger, parte del gruppo, il quale abitava non lontano dal nostro spazio di prove. Andreas e Klaus diventarono buoni amici.

    Avendo in mente la dualità tra Düsseldorf e Cologne quando hai cominciato a produrre, la seconda considerata come centro dell’Elektronische Musik . Cosa pensi del ruolo di Berlino ad oggi?

    Penso che l’hype esista sopratutto all’estero e non pià tanto in Germania. Ho l’impressione che chi vive a Berlino adesso, stia più togliendo qualcosa alla città che aggiungendo o dando qualcosa.

    To Rococo Rot, connubio tra le tue baseline melodiche e i sintetizzatori, chitarra e percussioni dei fratelli Lippok, rappresenta un’ulteriore esplorazione nel campo degli incontri tra musica strumentale ed elettronica, tendenza che prende piede dagli anni Settanta. In che modo avviene quest’incontro?

    Robert e Ronald Lippok entrarono in contatto con me nel 1995 per registrare un singolo su vinile che volevano rilasciare come documento audio per una mostra che stavano facendo in una galleria al tempo. Il 12’’ divenne il primo album di To Rococo Rot e il primo album su Kitty-yo. Nel 2014 abbiamo deciso di smettere di lavorare insieme, chiudendo la collaborazione con uno spettacolo a Berlino lo stesso anno.Il nostro intento era quello di creare un tipo di musica che fosse unico.

    Oltre a Kreidler e To Rococo Rot, produci anche come Mapstation su etichette come Staubgold, Domino o ˜scape; consideri questi moniker come possibilità per esplorare un’ulteriore dimensione con connotati prettamente legati alla musica elettronica, nella sua accezione più dance-floor?

    Mapstation rappresenta la mia introduzione agli strumenti elettronici (synth analogici, rythm machines), portandomi a conoscere il processo di registrazione musicale e mixaggio.

    Bernd Jestram (uno metà di Tarwater insieme a Robert Lippok, ndr) mi ha insegnato molto sul processo di registrazione sonora, microfoni e come organizzare un mix su un supporto analogico. Nel 1990 quando cominciai Mapstation utilizzavo ancora un mangiacassette a 4 traccie che avevo comprato da Pole/Stefan Betke qualche anno prima. Tra il 2000 e il 2005 lavorai molto con Bernd nel suo studio. Ero così affascinato dal lato tecnico del processo di registrazione che cominciai a mettere in piedi il mio proprio studio a Düsseldorf. L’album di Mapstation ‘Distance told me things to be said’ è stato il primo album che ho praticamente prodotto da solo il che fu un bel traguardo. La musica di Mapstation è la mia versione della musica reggae; probabilmente in un modo che gli amanti del reggae non identificherebbero come tale. Mi piaceva molto la declinazione elettronica di alcune produzioni reggae dei primi anni Novanta. Negli anni duemila passai molto tempo a Londra dove si potevano trovare quei 7’’ per meno di 1£ in qualche negozio di cianfrusaglie. Qualche lato di queste produzioni erano così astratte, incredibile. Quasi come se ci fosse un loop continuo con qualche variazione che lo rendeva avvincente. La maggior parte delle tracce di Mapstation sono basate su degli arpeggiator pattern di un sintetizzatore Novation. Ho smesso di produrre come Mapstation nel 2010 quando ho sentito di aver detto tutto quello che volevo in merito.

    Roedelius Schneider rappresenta l’incontro (più o meno casuale) tra due percorsi che si sono più di una volta incrociati: entrambi provenienti dal gorgoglio musicale avvenuto in Germania dagli anni Settanta in poi, entrambi precursori non di un genere quanto di un abbattimento del termine. Qual’è stato il punto di incontro per questa collaborazione?

    La maggior parte delle collaborazioni che ho fatto in questi anni sono state molto diverse le une dalle altre, di solito uso strumenti diversi per ognuna di esse. Per l’album con Bill Wells (“Pianotapes” su Karaoke Kalk) ho usato solo due vecchi registratori a cassette (UHER Report) come strumenti. L’intero processo di campionamento dal vivo è abbastanza imprevedibile quando si usano quei registratori a cassette, non come con Ableton Live che è abbastanza facile da usare e da ai musicisti l’idea di avere il controllo su ogni singolo pezzo. Non sono mai stato interessato ad avere il controllo della musica quando sono sul palco. Sono più entusiasta quando non ho idea di cosa verrà dopo mentre sto suonando. Questo è anche il motivo per il quale ammiro Joachim quando ci lavoro. Non facciamo nemmeno più il soundcheck in modo da preservare tutta l’energia e la spontaneità per il concerto. Ho conosciuto Joachim nel 2000 in occasione di un set in solo a Genova. E’ stato molto stimolante parlare con lui dopo lo spettacolo, poiché è completamente calato nel tempo presente. Molti compositori della sua generazione sembrano essere ancora immersi in quello che hanno fatto durante gli anni Settanta il che può diventare un po noioso.  Abbiamo cominciato a suonare insieme qualche anno dopo, nel 2008 e abbiamo fatto due album insieme: “Stunden” e “Tiden” che sono entrambi tra le miglior cose che io abbia mai fatto.


    Roedelius Schneider si esibiranno per la prima volta in Italia mercoledì 4 maggio al Teatro Franco Parenti per Electropark Exchanges, rassegna di concerti di musica elettronica basata sulle mistioni tra musica elettronica e altri generi non legati alle macchine come classica, post-rock e jazz. Per info e biglietti consultare il sito.

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