Open House: sperimentare il patrimonio (non solo promozione)

Scarica come pdf

Scarica l'articolo in PDF.

Per scaricare l’articolo in PDF bisogna essere iscritti alla newsletter di cheFare, completando il campo qui sotto l’iscrizione è automatica.

Inserisci i dati richiesti anche se sei già iscritto e usa un indirizzo email corretto e funzionante: ti manderemo una mail con il link per scaricare il PDF.


    Se inserisci il tuo indirizzo mail riceverai la nostra newsletter.

    image_pdfimage_print

    Di Roma molto si scrive, anche quando non si scrive di Roma. Forse non solo perchè è la capitale, ma anche perchè è una capitale di dimensioni tali da poter parlare davvero in qualche modo del Paese intero – la periferia, per esempio, in certi casi è così periferia che sembra provincia; i divari fra certi quartieri sembrano quelli tra Nord e Sud; allo stesso tempo, per queste stesse dimensioni non somiglia a nessuna altra città italiana, con tutte le conseguenze in termini di vivibilità e gestione che questo comporta, e anche in termini di comprensione e restituzione di una sua verità.

    E così siccome la complessità è difficile da raccontare, la città più raccontata d’Italia è diventata anche la città che sembra meglio descritta dal luogo comune più trito, quello che gli amici ti dicono quando ti vengono a trovare, li porti a vedere i Fori dalla terrazza del Campidoglio, a prendere il caffè a Villa Medici, a fare un giro in motorino a Garbatella, e poi 15 km fino a casa tua in periferia, e un attimo prima di risalire sul treno, quando state per salutarvi e pensi di averla quasi scampata, lo dicono sempre: “Roma è bella, ma non ci vivrei”.

    Poi però arriva la primavera e inizia una stagione lunga in cui il tempo migliora, la luce è dolcissima, ritornano i cinema all’aperto, i concerti, i festival, si può uscire la sera, andare ovunque e sentirsi al centro del mondo ma comunque a casa, e insomma Roma torna ad essere il posto che hai scelto, quello che non ti importa come lo raccontano gli altri, la trappola in cui sei caduto e in cui pensavi di non poter vivere e invece a novembre sarà troppo tardi per fare le valigie.

    patrimonio, open house

    evento curato da Tevereterno durante Open House Roma 2014, foto di Luca Marcotullio.

    In questa finestra temporale aperta dal clima Roma mette in scena la sua natura di capitale della cultura intesa come spettacolo, esibizione, performance pensata per un pubblico, e della produzione culturale intesa come produzione di evento. La natura “eventuale” della produzione culturale romana è anzi profondamente radicata nell’identità di una città da sempre palcoscenico – dell’Impero, delle effimere macchine barocche, del regime, dell’industria cinematografica, della televisione, del teatro, della politica e di quelli che infatti si chiamano i suoi “teatrini” – e non è un caso quindi se molta della vita culturale romana si muova da anni nella direzione delle Feste e dei Festival, a partire da quell’Estate nata negli anni Settanta, che si descrive col nome stesso della città e che è la più famosa d’Italia. Potrebbe sembrare sminuente, la strategia per intrattenere a colpi di “panem et circenses” i 3 milioni di abitanti di una capitale sfaccendata, e invece è una cosa serissima, dietro cui si mettono in moto professionalità e partecipazione civica, si attivano indotti commerciali e produttivi, si plasma l’identità collettiva e si sperimentano nuove forme espressive: è il modo in cui Roma riscrive se stessa.

    E allora in questo clima di festa ci siamo inseriti anche noi, una associazione (Open City Roma) nata 7 anni fa e formata quasi interamente da architetti – ma andiamo molto orgogliosi della nostra quota di non-architetti – per portare un evento nato a Londra più di 20 anni fa: Open House, un unico weekend in cui le architetture di qualità della città sono aperte al pubblico gratuitamente.

    patrimonio, open house

    Visita a Palazzo Firenze durante Open House Roma 2016

    Rispetto ad altri eventi simili, come ad esempio le giornate del FAI, Open House si distingue per la concentrazione degli edifici aperti – dalla prima edizione romana ad oggi abbiamo aperto in media 200 edifici all’anno, tutti nella sola città di Roma – e soprattutto per la presenza consistente di architetture contemporanee, nelle quali sono ricompresi anche appartamenti privati, cantieri, spazi di lavoro; inoltre non è differente solo l’oggetto dell’esperienza – il tipo di architettura – ma anche le modalità attraverso cui questa si svolge: le visite guidate sono spesso gestite dagli stessi progettisti, gestori o proprietari, cioè da coloro che hanno un rapporto affettivo con quei luoghi; accanto a queste ci sono i tour urbani – in bici, a piedi, in città o nei parchi, in centro e in periferia – e gli eventi veri e propri – performance artistiche, laboratori per bambini, mostre, concerti. L’unico comune denominatore è la qualità del “palcoscenico” in cui queste esperienze avvengono, a prescindere dalla destinazione d’uso, dall’epoca di realizzazione, dalla collocazione nel territorio.

    Questa breve panoramica dà un’idea di come Open House sia qualcosa di simile ma non coincidente con un evento di promozione del patrimonio architettonico; è piuttosto un dispositivo in grado di far sperimentare, nel modo più diretto e coinvolgente possibile, in che modo la qualità dei luoghi determini in maniera silente ma potente il nostro modo di stare e muoverci nello spazio urbano, anche quello quotidiano dei quartieri di edilizia residenziale costruiti solo pochi decenni fa, delle case, degli spazi di lavoro, delle università. Questa differenza sottile è ciò che trasforma la dinamica dell’evento da strumento di celebrazione della bellezza intesa come eccellenza ed eccezione – un tipo di fruizione inevitabile e anche necessaria, ma nella cui retorica consolatoria siamo caduti troppo spesso negli ultimi anni, che fa leva principalmente sulla meraviglia ma che si esaurisce spesso nel tempo dell’evento stesso – alla conoscenza, all’esperienza e alla rivendicazione attiva del diritto a una qualità diffusa, per cui sono necessarie politiche, cultura, ma anche una domanda di architettura consapevole.

    patrimonio, open house

    Palazzo dei Congressi all’Eur di A. Libera. Foto di Mauro Filippi.

    È chiaro che la meraviglia resta uno strumento imprescindibile per avvicinare un pubblico vasto e non specialistico al tema dell’architettura di qualità; e anche per noi questi 7 anni sono stati un viaggio entusiasmante alla scoperta di luoghi la cui bellezza era nota ma difficilmente accessibile – perchè condizionata al pagamento di un biglietto o chiusa al pubblico – o magari completamente sconosciuta perchè di proprietà privata, o ancora sotto gli occhi di tutti ma bisognosa di un interprete, di una guida che mostrasse lo straordinario nell’ordinario.

    Open House ha rappresentato e rappresenta per noi tutto questo: la possibilità, per una piccola associazione, di fare parte della vita culturale della propria città con un’operazione supportata dalle istituzioni ma indipendente, e di aver portato, primi in Italia, un evento internazionale (oggi Open House è promossa anche a Milano e a Torino); una pratica per scardinare la “città dei recinti”, che è poi la forma per eccellenza della città moderna, aprirla non solo metaforicamente, e attraverso quest’atto materiale di apertura, renderla concettualmente – ma anche concretamente – più democratica e orizzontale; uno strumento per ribadire la centralità della figura dell’architetto nella trasformazione della città, paradossalmente, togliendolo dal centro: Open House è un evento di architettura ma non è un evento per architetti, è un evento per la città – e per questo cerchiamo di farne un appuntamento colto ma gioiosamente popolare: non vogliamo parlare tra di noi; l’architettura è un linguaggio che siamo costretti ad ascoltare tutti, per il solo fatto di abitare lo spazio: vogliamo renderlo più comprensibile, perchè le persone ne apprezzino a pieno la bellezza e riconoscano il lavoro dei suoi interpreti.

    patrimonio, open house

    Visita al Nuovo Centro Congressi Eur di M. Fuksas, durante Open House Roma

    Open House per noi è stata ed è anche una sfida continua a occuparsi di lavoro culturale nel contesto attuale, ad uscire dalla visione specialistica della disciplina, a rinnovarsi ogni anno nei temi, nei luoghi, nella comunicazione: quest’anno apriremo quindi circa 250 luoghi nel solo weekend del 12 e del 13 maggio e daremo una coda lunga all’evento prolungandolo nei due weekend successivi con un focus sul tema dei luoghi della scienza – si chiamerà Genius Loci. Dove abita il genio – nell’ambito di “Eureka”, iniziativa di Roma Capitale nata per promuovere la cultura scientifica presso l’opinione pubblica.

    D’altra parte, la dinamica dell’evento così vuole: fortemente caratterizzato ma mai uguale a se stesso, sempre in crescita ad ogni edizione.

    Un po’ come Roma, ti chiede ogni volta di più, sposta un po’ più in là l’asticella del limite a cui pensavi di poter arrivare (anche del limite di sopportazione).

    Chi guarda da fuori, forse non capisce; dice solo: “Non ci vivrei, però è proprio bella”.


    Immagine di copertina: evento nell’Hangar Trionfale durante Open House Roma 2016. Foto di FotoCult.

    Note