Catapultarsi ogni sera nella scintillante Shanghai per seguire una storia d’amore contrastata, in lingua cinese e con sottotitoli in italiano? Basta Netflix, come recitano i manifesti rossi e neri sparsi per la città, volutamente ambigui sul fatto che possa essere un ironico “Basta con questo Netflix!” o il più elogiativo “Mi basta Netflix e non ho bisogno d’altro”.
I manifesti affissi ai muri sono ben poco influenti su di noi. Lo è molto di più il sistema di analisi dei dati di Netflix, che fa apparire nella home dell’utente i film e le serie tv con la percentuale più alta di compatibilità rispetto alle visioni precedenti, spingendoci a un consumo quasi involontario di prodotti che “devono” piacerci.
All’inizio neanche ce ne accorgiamo e mentre l’algoritmo esamina non solo il genere – commedia, dramma, thriller – ma il tipo di personaggi ricorrente, il paese di produzione, il sotto-genere (es. commedie tv con protagonista femminile forte) e le altre categorie in cui sono schedati i nostri gusti, noi vediamo tutto.
Non molto dopo però ci accorgiamo di essere in una sorta di vicolo cieco e l’invito a vedere e rivedere le stesse cose inizia a ripetersi ottusamente all’infinito.
Così può venire l’idea di resettare l’algoritmo consultando la sezione film e serie tv asiatici. Ecco che si apre il mondo per cui siamo felici che esista la tecnologia e in cui ringraziamo l’azienda di entertainment americana più potente al momento che, in nome di profitto e consenso, si è allargata a produzioni internazionali che vanno dal Brasile al Giappone.
Tra Corea del sud, Cina e Giappone, subito Netflix si affretta a ricalcolare l’algoritmo e propone qualche serie tv asiatica con una buona percentuale d’intesa. L’utente, che non si fida, pesca subito quella che esibisce la scritta rossa “originale Netflix” ritenendola una garanzia per non avere uno shock culturale dopo cena.
Ma i titoli di testa di “Meteor Garden” – serie tv cinese – mettono però a dura prova chiunque mostrando immagini patinate di ragazzi a passeggio sul lungo fiume di Shanghai che si dissolvono con effetto flou tra stelle cadenti e luccichii col sottofondo di una musica romantica.
Ma è la Cina, è Shanghai, è una commedia dei prossimi padroni del mondo: si può tentare il primo episodio. Passati i primi minuti in cui viene automatico deridere ogni singola inquadratura, ogni espressione e modo di agire perché esattamente all’opposto di quanto ci sembra normale – ovvero americano – la cosa si fa interessante.
La trama è universale: la ragazza povera, entrata grazie al duro lavoro all’università prestigiosa, si scontra col ragazzo bello, ricco e burbero; si odieranno perché lui è prepotente e lei gli tiene testa duramente, lui la bullizza ma in realtà si sta innamorando, lei non lo capisce e sarà un’infinita storia di incomprensioni e d’amore.
Tutto nasce nei corridoi dell’università, dove quattro bellissimi ragazzi camminano circondati da una ressa di ragazze che, fotografandoli come divi, urtano la protagonista facendola cadere. La ragazza – goffa e mal vestita – si ritrova penosamente a terra e con lei il suo telefono che finisce sotto le scarpe di uno di questi, in mille pezzi.
“Ma chi si credono di essere, quelli?” si chiede la matricola. Qualcuno si affretta a informarla: “Quelli sono gli F4: quattro ragazzi attraenti, tutti alti 1.85, parlano almeno tre lingue, hanno girato il mondo, studiano economia aziendale e musica, appartengono alle famiglie più importanti di Shanghai e sono campioni internazionali indiscussi di…”
L’utente imbevuta di soft power americano si aspetta di sentire il nome di uno sport e invece si tratta di: bridge!
E da quel momento, subito dopo l’immediata risata incredula, scatta l’interesse per quello che appare un ghiotto miscuglio di immagini “pop” globali. Efebici ragazzi cinesi vestiti alla moda si muovono in ambienti di lusso in cui il design è tutto europeo, degustano solo vino rosso e bevono Ballantine’s come fosse acqua – la serie è piena di prodotti pubblicizzati.
Lontanissimi dai loro omologhi giocatori di football delle serie tv americane e dagli standard più “macho” occidentali i quattro protagonisti sono di una bellezza quasi femminile, sono sottili ed eleganti. Eredi di imperi commerciali in settori come il té o le erbe medicinali, parlano di soldi in continuazione, sfrecciano sulle loro Bmw per andare a mangiare in locali chic e vanno a sciare in Canada.
Primo pensiero del fruitore medio: scimmiottano l’occidente, vogliono far finta di essere occidentali ma si rendono ridicoli. Invece diventa man mano evidente che non è imitazione ma qualcosa di già perfettamente a sé stante, una mescolanza originale di modernità globale. Quanto meno negli ambienti, negli oggetti, nei vestiti e nei divertimenti. Mentre i comportamenti e i valori rimangono cinesi.
All’università che frequentano si leggono enormi scritte di incoraggiamento tipiche della morale confuciana: “rendete fieri i vostri genitori ripagandoli con il vostro duro lavoro”. Come mai in nessuna serie americana è poi citato il rispetto per i genitori e per gli anziani, come anche il valore del lavoro per e con la famiglia – che sia ricca o poverissima.
Allora l’interazione del ricco Daoming Si con la povera Shancai diventa fonte di curiosità assoluta per chi ama spaesarsi nell’immaginario “pop” delle altre culture. Pur sviluppandosi lenta come un romanzo d’amore europeo dell’ottocento, la storia è continuamente accompagnata da dirette social, scandali su Weibo, scambi di messaggi su Qzone e foto con cuoricini. In ogni inquadratura c’è almeno uno smartphone – di marca cinese – con cui tra l’altro si paga qualsiasi cosa i personaggi comprino.
E continuando a fare confronti con la morale americana, la cosa che salta di più all’occhio è l’interazione tra i due sessi. Il bacio è un semplice labbro appoggiato candidamente sul labbro del partner o più spesso sulla sua fronte. Ma: ragazzo e ragazza dormono insieme a casa delle rispettive famiglie. Nella nostra mente imbevuta di puritanesimo americano vedremmo un divano letto sistemato con imbarazzo in soggiorno e i genitori che vigilano sulla figlia in modo che non sgattaioli da lui. Qui invece la madre prepara un lettino nella stanza da letto della figlia e augura la buonanotte.
C’è una sorta di ‘laicità’ riguardo ad alcuni aspetti che è davvero nuova per noi. O meglio: non c’è la contraddizione del puritanesimo americano in cui i ragazzi si baciano ‘alla francese’ davanti a tutti, ma i genitori non permettano che maschio e femmina studino insieme con la porta della stanza chiusa. I protagonisti maschi inoltre sono sì determinati e arroganti ma piangono spesso ed esprimono i sentimenti che non si sentono nominare più in nessuna serie made in Usa come il rispetto e l’amore eterno.
Sull’aspetto fisico invece c’è un giudizio espresso in modi per noi inusuali: alla protagonista viene detto spesso che sembra un bufalo d’acqua, una mucca che bruca l’erba, un maiale, che ha la faccia troppo tonda, che è tozza e bassa. E lei non protesta mai. La sua caratteristica forte infatti è la determinazione, poco le importa dell’aspetto fisico: in ogni situazione di svantaggio ce la farà, è volitiva fino allo sfinimento, lavorerà sodo per ottenere quello che vuole per sé e per la sua famiglia e il suo innamorato ricco non fa che esaltare questo suo lato del carattere, spronandola.
Il che si bilancia, per fortuna, con il modo per noi del tutto “inappropriato” in cui invece la tratta fisicamente: sempre strattonandola o tirandola per la manica del cappotto. Così come anche gli incontri più romantici consistono per lo più in scambi di insulti: all’inizio è strano, poi al trecentesimo “sei un’idiota” e “e tu uno stupido” comincia a batterci il cuore perché pare sia vero amore.
Il cinese mandarino in cui si vede la serie – che è sottotitolata in italiano – contribuisce al piacevole spaesamento perché le espressioni e i toni sono diversissimi da quelli delle lingue che a noi più familiari e, dopo 30 episodi, anche chi non ha mai sentito neanche una parola di cinese, ne impara almeno qualcuna (sicuramente: ciao, grazie e alla salute!).
Non ci vorrà molto e le ragazzine europee canteranno in cinese le canzoni di Meteor Garden o di altre serie tv seguendo le parole trascritte in pinyin su video di Youtube, che hanno già milioni di visualizzazioni e traduzioni dei testi in lingue che vanno dall’italiano al tagalog.
Commedie romantiche a parte, il fatto che a condurci verso il soft power cinese siano colossi americani come Youtube e Netflix è interessante e notevole. Soprattutto in un periodo in cui, sui quotidiani, leggiamo di Xi Jinping che ha deciso di non rimettere il suo mandato nel tempo prestabilito, degli immensi lavori cinesi sulla nuova via della seta – il progetto One Belt One Road che investe metà dell’Asia – del Forum sulla cooperazione tra Cina e Africa sugli investimenti cinesi nel continente africano, della guerra commerciale tra Usa e Cina, e le affermazioni degli ultimi giorni secondo cui la Cina può contare anche solo su sé stessa e non ha bisogno della tecnologia americana.
Dare un’occhiata a prodotti cinesi su Netflix può essere un buon inizio per familiarizzare col soft power cinese che un giorno non lontano riempirà le nostre giornate. E i nostri figli e figlie invece di scrivere sul diario Hello, Love o Best friend forever scriveranno in ideogrammi parole che non capiremo.
Immagine di copertina da Meteor Garden