Dalle sale ai festival, come il sistema-cinema è messo a nudo dall’epidemia

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    Se si facesse ascoltare oggi un qualsiasi dialogo pre-Covid tra esercenti delle sale cinematografiche, chi lo ascolta avrebbe un capogiro. Ma come? Parole come “crisi”, “sistema insostenibile”, “rischio di chiusura”, “navigazione a vista” erano già all’ordine del giorno? Pur facendo la tara alla tipica tendenza al catastrofismo da parte del settore (i numeri del 2019 in fondo erano buoni) non mancavano buone ragioni. E pensare che ora tutto questo sembra un nostalgico Eden, se confrontato alla chiusura e all’azzeramento del consumo cinematografico in epoca di pandemia – al momento di scrivere il ritorno nelle sale è ancora un lontano miraggio.

    Una piccola mappa dell’universo cinema che spesso diamo troppo per scontato, con l’intenzione di proseguire con ulteriori approfondimenti nelle prossime settimane

    Eppure non basta derubricare le chiacchiere tra imprenditori delle sale cinematografiche a lamentele corporative, perché se c’è una cosa che la crisi sanitaria ha messo in luce – travolgendo tutto – sono le verità sulla filiera cinematografica e audiovisiva italiana e internazionale. Vale la pena procedere per punti, allo scopo di tracciare una piccola mappa di questo universo che spesso diamo troppo per scontato, con l’intenzione di proseguire con ulteriori approfondimenti nelle prossime settimane.

    Le sale cinematografiche

    Non è un caso che fossimo partiti da qui, dai luoghi in cui tradizionalmente si guardano i film. Se è vero che la visione di lungometraggi si è nei decenni sempre più spostata su altri canali domestici (TV, piattaforme, web), è anche vero che il sistema ha continuato in larga maggioranza a mantenere la centralità della sala come luogo di primario sfruttamento del prodotto.

    Non solo incentivi e sostegni valorizzano il passaggio sul grande schermo, ma anche i colossi continuano a trovare nella sala un volano indiscutibile di guadagni, prima dello sfruttamento su altri canali, destinati al consumo domestico: basti pensare ai film della Disney.

    Il sistema – di fronte allo shock improvviso – non aveva un piano B

    E così, quando sono stati chiusi i cinema ci si è accorti che il sistema – di fronte allo shock improvviso – non aveva un piano B, se non attendere la riapertura dei cinema, per il semplice fatto che il business storico è quello. E non è difficile capire perché: i pochi film nuovi proposti direttamente online a causa del virus, per avere un ritorno economico, devono essere noleggiati allo spettatore a cifre folli (per vedere l’inedito L’uomo invisibile su Chili o Sky bisogna sborsare 16 euro, il doppio di un biglietto medio serale in sala).

    Nei panni di uno spettatore che per un mese intero di abbonamento Netflix ha speso assai meno e ci trova centinaia di film e serie, tra cui alcuni nuovissimi e ad alto budget, ci si chiede perché spendere quel denaro.

    Ovviamente ci sono altri modi monetizzare: alcuni film attesi in sala sono stati inseriti senza costi aggiuntivi proprio nei cataloghi delle piattaforme (Bombshell su Amazon Prime Video), che li hanno acquistati; ma alcuni autori si sono chiesti perché non proporre in prima serata RAI alcuni film prodotti dalla stessa azienda di Stato e in attesa di distribuzione, invece che continuare all’infinito con le repliche degli show e dei quiz invernali (anche in TV non si produce nulla di nuovo a causa del Covid-19).

    Nel frattempo, nell’attesa, le sale hanno messo in cassa integrazione i dipendenti (quelli che godevano di un contratto), sciolto le collaborazioni precarie in essere, sospeso i pagamenti ai fornitori per mancanza di liquidità, cercato di accedere ai prestiti garantiti dallo Stato, e così via.

    E anche tutta la rete di iniziative a sostegno della programmazione culturale (corsi di cinema, matinée con colazione, incontri con autori, serate speciali, e così via) è saltata per chissà quanto tempo. Riapriranno tutte? Chissà.

    In tutti i casi di cui parliamo, però, ci sono i grandi e i piccoli. Inutile dire che le catene più potenti dovrebbero poter cascare in piedi, mentre le sale indipendenti faranno molta più fatica.

    Ecco che alcuni allora hanno sviluppato sistemi di programmazione in streaming. Utilizzando vari tipi di software e piattaforme, si sono dedicate a proiettare film online, a determinati orari e con un numero limitato di posti virtuali a sedere, gratis o a pagamento, per simulare l’aura dell’evento in sala e della comunità spettatoriale.

    I risultati non possono che essere modesti e sostitutivi dell’esperienza originaria, ma la fidelizzazione verso il luogo amato – elemento chiave per distinguere sale che funzionano e sale che agonizzano – è assicurata.

    Lo streaming

    Trionfo dello streaming? Sì, perché quel che è successo con il lockdown imposto dal Governo è particolarmente indicativo. Tempo pochi giorni, a uno tsunami di contenuti cinematografici è stato gettato in pasto a spettatori (o meglio, consumatori) costretti al divano di casa per forza di cose. Dal più forte (la nuova piattaforma Disney Plus) al più microscopico (i siti per la fruizione gratuita di documentari indipendenti), tutti gli operatori, in sinergia con distributori e aventi diritto, si è attivata.

    Il film on demand è diventato il bene più facilmente reperibile che esista

    Il film on demand è diventato il bene più facilmente reperibile che esista. Alcuni hanno mantenuto le forme a pagamento, sia pure ribassate, come nel caso di grandi marchi dell’home video o delle piattaforme più volte nominate (sempre con offerte lancio, guarda caso proprio a marzo). Ma una gran parte ha messo a disposizione film gratis.

    Pensiamo al meritorio passaggio di una parte consistente di titoli rari e autoriali di Fuori Orario al catalogo di RaiPlay; pensiamo al lavoro di MyMovies Live con tantissimi film liberamente fruibili su prenotazione a orari stabiliti; pensiamo alle filmografie “free” di Rakuten o Minerva Pictures (“solidarietà digitale” è lo slogan); pensiamo naturalmente alla televisione e ai canali gratuiti dedicati al cinema; pensiamo alle rarità d’archivio proposte dalle Cineteche sui loro siti ufficiali, come la Cineteca di Milano o la Cineteca di Bologna. E così via.

    Un repertorio infinito, di qualità caotica – dal capolavoro epocale al più anonimo filmetto usa e getta -, che dovrebbe sostenere l’appassionato in crisi, non lasciandogli un attimo libero per rimpiangere le sue serate al cinema. Con che risultato? Eccitazione? Nausea? Dipendenza? Lo scopriremo presto. Intanto, però, se questi film sono offerti gratuitamente, come si sostengono gli operatori del settore e i distributori?

    La distribuzione

    Ed ecco l’altro nodo gordiano della filiera cinematografica. Tutto è interconnesso nel mondo delle immagini in movimento. Difficile che un settore faccia qualcosa senza che un altro ne venga in qualche modo influenzato. Ma che dire a una piattaforma – anche animata dalle migliori intenzioni – che chiede a un piccolo distributore di concedere un suo film pro bono, in nome del buon cuore nel momento del bisogno?

    Se lo spettatore va coltivato, non è detto che la gratuità sia il miglior viatico per quando dovrà di nuovo pagare per i suoi consumi – oltre al fatto che anche il distributore deve pagare le bollette e si trova con sale e festival congelati.

    Purtroppo, la svalutazione del prodotto film continua ad essere un elefante nella stanza della cultura cinematografica. Se da una parte si cerca di controbattere la pirateria, dall’altra anche prima dell’epidemia si poneva il problema del continuo ribasso sull’offerta. Le proiezioni estive in Piazza concesse ai cittadini come politica culturale, le feste del cinema a due o tre euro, le manifestazioni festivaliere urbane a ingresso libero, e così via, rischiano di drogare il sistema. Di dare l’impressione che vedere un film senza pagare un biglietto sia un diritto sociale, come se sentiva dire all’epoca delle proiezioni “piratate” di massa del film Sulla mia pelle, sul caso Cucchi.

    In quel caso l’interesse pubblico della vicenda, secondo gli organizzatori, giustificava la disobbedienza civile di mostrare un film finanziato da Lucky Red e Netflix nel cortile delle Università o in sale di circoli culturali, senza chiedere la corresponsione di un biglietto. Fino al paradosso di scoprire che, senza alcun accordo commerciale, anche nei licei e durante le assemblee di istituto i film vengono proiettati per gli studenti sfruttando l’abbonamento di un docente o la capacità di scaricamento illegale di un vice-preside (storie vere).

    La svalutazione del prodotto film continua ad essere un elefante nella stanza della cultura cinematografica

    Un film è solo un film, insomma. E il comparto – che ha un peso assolutamente non secondario come industria culturale del Paese – fa i conti con la percezione psicologica dello spettatore. Per cui si pensa che in Italia il biglietto di prima visione costi caro, mentre è in media tra i più bassi d’Europa e soprattutto risulta praticamente inchiodato da più di un decennio (da prima della crisi economica del 2008; e difficilmente salirà dopo la botta del Coronavirus, quando si dovrà andare a caccia di spettatori e convincerli a sedersi in poltrona con la mascherina).

    I festival

    Il luogo dove i film sono sacralizzati, invece, è questo, l’ultimo di cui ci occupiamo. Essendo il festival fatto di vita vissuta, esperienza collettiva, file per entrare, comunione di esperienze, condivisione di cultura e piacere di stare insieme, viaggi nazionali e internazionali, è stato il primo luogo simbolico abbattuto dal virus. Berlino 2020, diretto dall’italiano Carlo Chatrian, è stato l’ultimo appuntamento (col virus già circolante) a potersi svolgere prima del grande lockdown.

    Anche i festival hanno dovuto chiedersi che cosa fare. Cannes ha sempre avuto in odio il cinema visto a casa e ha sempre supportato il film in sala, secondo la filosofia francese, per cui non ha pensato a nessuna alternativa. Altri più piccoli, come Visions du Réel di Nyon, hanno spostato l’intera selezione online, fruibile a tutti, anche da quelli che non avrebbero messo piede nella cittadina.

    Altri ancora attendono di capire e pensano a soluzioni miste: il Cinema Ritrovato di Bologna immagina proiezioni sicure rispolverando l’idea del vecchio drive in, affiancato da proposte in streaming. Ma i festival rimarranno quella cosa dove devi andare di persona per veder celebrata la cultura cinematografica, o il sistema “blended” tra esperienza dal vivo e selezione a casa online prenderà piede?

    Insomma, per uno studioso di cinema sono tempi davvero interessanti. Per chi ci lavora, invece, sono tempi evidentemente drammatici. Difficile essere ottimisti. Eppure, come in altri settori (pensiamo allo smart working forzato o alle videolezioni universitarie di queste settimane) in tempi di crisi si testano soluzioni inedite che potrebbero anche prospettare potenzialità future. Ed è per questo che vale la pena interloquire con i professionisti di questo amplissimo universo culturale e imprenditoriale

    Note