L’avanzata inesorabile dell’indistinzione

Scarica come pdf

Scarica l'articolo in PDF.

Per scaricare l’articolo in PDF bisogna essere iscritti alla newsletter di cheFare, completando il campo qui sotto l’iscrizione è automatica.

Inserisci i dati richiesti anche se sei già iscritto e usa un indirizzo email corretto e funzionante: ti manderemo una mail con il link per scaricare il PDF.


    Se inserisci il tuo indirizzo mail riceverai la nostra newsletter.

    image_pdfimage_print

    Pubblichiamo un estratto da Indistinzione. Tre movimenti sull’arte della guerra (Politi Seganfreddo edizioni) da oggi disponibile in libreria

    L’obiettivo di questo libro è studiare lo stato delle rappresentazioni e delle produzioni nelle società massicciamente connotate dalla tecnologia digitale. Ho deciso di delinearne le caratteristiche prendendo in esame le immagini e i racconti dei conflitti bellici e proseguendo con il descrivere una sorta di contraddizione tra il visibile e il percepito. Un conflitto tutto interno alle rappresentazioni che è causa di una generale condizione di indistinguibilità. Un fenomeno a tal punto ubiquo da valicare ogni ambito disciplinare, attraversando obliquamente sia la sfera del visuale che impattando i contesti istituzionali e produttivi. Insomma c’è il rischio che le immagini e i racconti o le industrie belliche e il militarismo, scompaiano o meglio ancora diventino indistinguibili dal corso della società civile.

    “Una trans-conflittualità espansa, estesa, nascosta, scomparsa, negata, ripetuta, sospesa, affermata, indistinta.”

    Un pericolo a cui ho provato a dare dei contorni sia attraverso un’analisi (visuale e mediatica), che attraverso un procedere investigativo in grado di svelare legami e conseguenze politiche.

    Dopo secoli di ferma convinzione che il pensiero umano potesse concordare i modi di governo, la vita e i rapporti tra le persone, l’essere umano sembra oggi costretto ad accettare che quest’opportunità sia svanita nel nulla, confuso in una coltre impalpabile di pensieri che si mescolano gli uni negli altri, spinto ad accettare l’avanzata inesorabile dell’indistinzione quale principio politicamente valido e assolutamente inevitabile nell’universo dell’astrazione digitale. In questo nuovo ordine delle cose non esiste differenza tra la conoscenza e la sua organizzazione formale, ma esiste solo la circolazione di contenuti, ovvero qualcosa che allo stesso tempo riempie uno spazio di discussione racchiudendo in sé qualsiasi possibile istanza: singolare e generale. A governare questa nuova epistemologia del mondo non è la validità dei principi o la loro applicabilità, ma la possibilità o meno che un contenuto raggiunga una certa soglia di popolarità. Tutte le informazioni, a prescindere dalla loro autenticità e dal loro impatto, subiscono questo processo di formazione; tutte, anche quelle riguardanti l’atroce decorso della guerra. Ecco, è proprio a partire da qui che ho deciso di iniziare a scrivere questo libro, impaurito dal fatto che nessuno dei miei pensieri avrebbe potuto rompere i meccanismi dell’indistinzione e speranzoso di trovare un modo diverso di leggere quello che vediamo in maniera incessante.

    L’indistinzione è quella condizione in cui una cosa – fisica o meno – non può essere separata nettamente da un’altra, un fenomeno che solo illusoriamente nega la differenza. Ma cosa accade quando questo principio fenomenologico diviene una condizione generale? E soprattutto, quali sono i presupposti affinché questo avvenga? Tutte queste domande hanno abbandonato la loro condizione speculativa nel momento in cui le immagini della guerra hanno iniziato a occupare massicciamente il tempo e lo spazio della quotidianità, mostrando ancora una volta come potessero denegare la realtà stessa. Il presupposto dell’affermazione dell’indistinzione come un principio di lettura della realtà circostante sta nella dualità reversibile del digitale. La sua estrema mutevolezza, e fluida adattabilità, così come l’astrazione, sono qualità che derivano dalla natura del dato digitale che non ha forma ma che può assumerne molte, portando ogni interpretazione al rischio dell’indistinguibilità. L’indistinto quindi non è un’illusione, ma piuttosto il modo in cui l’illusione mediatica e datificata ha costantemente riprogettato la percezione del mondo e della sua realtà. L’efficacia dell’indistinto è universale, alla luce del fatto che ogni nostra scelta è stata liberata dai vincoli materiali entro cui le nostre azioni si svolgono. A partire da ciò nasce il problema estetico della rappresentazione della realtà stessa. In questa condizione, infatti, la realtà non può essere tradotta né raffigurata, ma viene necessariamente creata e ri-prodotta ogni volta, in un sistema generativo in cui le immagini digitali non sono delle descrizioni o delle copie, ma al contrario sono degli acceleratori di mondi. Dei nuclei creativi che hanno trovato nell’automazione algoritmica lo strumento più efficace, e nell’astrazione digitale il terreno più fertile per costruire multiversi infinitamente reversibili.

    Premessa sull’astrazione

    Il film Le ultime 36 ore (1964) di George Seaton è ambientato a pochi giorni dallo sbarco in Normandia e racconta di un ufficiale dell’intelligence americano (James Garner) sedato e fatto prigioniero dai nazisti. Grazie al beneficio del futuro, tipico dei film di guerra, i tedeschi sanno che l’ufficiale può fornirgli informazioni sullo sbarco e così tentano di estorcergliele attraverso una messinscena. Per scoprirne la data, fanno credere all’ufficiale americano che la guerra è finita e che lui, dopo un’amnesia, si trova in un ospedale alleato. Nel film i piani dei nazisti falliscono e l’ordine della storia viene ristabilito; quello che resta a prescindere dal fallimento scontato di rovesciare il corso degli eventi è il senso di incertezza che tiene a galla l’intero racconto. A questo punto immaginate di fare la stessa trafila del protagonista e di svegliarvi tra qualche anno in una società del tutto simile a quella che avete lasciato. Il vostro altro io è in guerra, ma la società posta nell’ipotetico futuro sembra essere pressoché identica a quella odierna, nelle cose e nei funzionamenti. Nel posto in cui vi siete svegliati c’è un gruppo di persone che identificate come vostri simili, che vi tempestano di domande sulla guerra, e non importa quale sia il vostro grado di conoscenza della condizione politica, a voi quelle domande sembreranno comunque incomprensibili. Non sapete rispondere, o meglio non avete la certezza assoluta su nessuna delle informazioni che potreste fornire. In linea di massima, la guerra vi sembra al di là dell’universo conosciuto.

    Pensando al film di Seaton, mi sono detto che questa era l’unica condizione possibile con cui porsi di fronte al racconto delle guerre future. Non importa il grado di prossimità o di conoscenza dei fatti, quello che conta è doversi inventare un mondo a partire da zero, perché tanto, quello che si vede va comunque ricostruito punto per punto. Avevo da tempo fatto delle piccole ricerche sulle rappresentazioni mediatiche, artistiche e cinematografiche degli eventi bellici, ma la complessità di questi stessi eventi mi rendeva pressoché impossibile credere al fatto che riportare queste ricerche potesse essere esaustivo o di qualche rilevanza da un punto di vista dell’informazione sulla complessità delle guerre.

    Partendo da questa riflessione, prima di iniziare a scrivere mi sono innanzitutto chiesto come queste guerre esistono, quanti livelli toccano e quanti piani intersecano. La mia prima reazione per poter rinvenire da questa condizione di dubbio non è stata argomentativa ma assertiva. La guerra esiste, mi sono detto, le guerre esistono, sono sempre più numerose, compongono ad oggi una “terza guerra mondiale a pezzi” come l’ha definita Papa Francesco nel 2014, e ciò che è accaduto negli ultimi anni – a partire dalla fine della stasi elettrica della guerra fredda – lo testimonia in maniera paradigmatica. Ovviamente affermarne l’esistenza non è una tautologia ma una necessità, qualcosa che diviene urgente nel momento in cui l’affermazione contingente di un mondo nuovo e parallelo ha sconvolto gran parte dei principi che ritenevamo precedentemente validi. Quel mondo a cui mi riferisco è quello dell’astrazione digitale: ‹‹Un doppio si aggira per il mondo›› dice McKenzie Wark, ‹‹il doppio dell’astrazione. Le sorti degli stati e degli eserciti, delle compagnie e dei gruppi sociali dipende da esso››. Tutto quello che è astratto si incontra nell’aria e ogni contrapposizione una volta validata può essere ridiscussa. Il tempo stesso della guerra, che distingueva la presenza o meno di un conflitto bellico, diventa oggi difficile da determinare.

    Di fronte a questa indistinguibilità ho provato ad accettare il compito di mostrare la complessità delle cose, un lavoro che proverò ad applicare alla guerra almeno per la durata di questo libro. Nel febbraio del 2022, quando l’esercito russo ha invaso il territorio ucraino facendo strage di civili e avanzando sin verso le porte della capitale Kiev, molti commentatori internazionali si sono meravigliati della violenza e della manifestazione evidente di una guerra che si sono affrettati a definire novecentesca. L’invasione imperialista russa ai danni dell’Ucraina sarebbe, stando a queste affermazioni, un ritorno al passato, qualcosa – che al netto della sua ipervisibilità – riporta in auge una scellerata politica della violenza generalizzata, con annessa retorica pre e post nazista da una parte e dall’altra. A dirla tutta, non credo si tratti di un ritorno al Novecento; questo conflitto, così come gli altri in essere in questo preciso momento storico, non sono soltanto la ripetizione iper-tecnologizzata di aggressioni territoriali e infra-nazionali, ma aggiungono nuovi livelli. Qualcosa che – come proverò a spiegare nel prosieguo – ha a che fare con lo sconfinamento delle questioni belliche nell’ambito del quotidiano. La guerra all’epoca della competizione globale è qualcosa che non si riduce allo scontro bellico, ma che vive e perdura senza tregua, qualcosa che dall’essere un’eccezione dello stato di cose è diventata una costante permanente. Una trans-conflittualità espansa, estesa, nascosta, scomparsa, negata, ripetuta, sospesa, affermata, indistinta.

    Quello che intendo fare in questo libro è sottolineare come i conflitti siano entrati nello spazio della nostra vita e come, un poco alla volta, noi stessi abbiamo imparato a conviverci sino a quasi giustificarli, consapevolmente o no. A perdurare nel tempo, oltre quello proprio delle battaglie, prima e dopo che a parlare siano le armi, è la guerra. Un fenomeno pluralizzato e atomizzato, di cui i combattimenti nelle trincee ucraine, o la violenza contro i civili inermi, sono solo alcuni degli effetti a questo riconducibili. Alla guerra d’assedio, tipica di un passato in cui i modi di produzione erano quelli dell’agricoltura e dell’allevamento, combattuta soprattutto attraverso attacchi e ostruzioni e con sistemi di fortificazione, oppure alla guerra di manovra dell’età industriale, combattuta sul campo con armi d’offesa via terra, in cielo o via mare, si aggiungono pletore di nuovi combattimenti in cui sono l’informazione e l’astrazione digitale a determinare le sorti del conflitto.

    La guerra mediatica, combattuta con l’irruzione della televisione nella trasmissione simultanea degli scontri sul campo di battaglia, oppure la guerra invisibilizzata dal capitalismo globale, animata da tecnologie digitali che normalizzano il militarismo nello spazio della vita, sono il nuovo che si confonde con il vecchio. Un militarismo spalmato nella quotidianità dei fatti che ha dismesso giubba e cingolati trasformandosi in storia da headline per i notiziari, in cui la cultura delle armi e la necessità dell’industria bellica estendono a livello globale il diritto di appellarsi al secondo emendamento. La guerra a cui intendo guardare è il prodotto di tutti questi fenomeni, quella in cui l’astrazione digitale è già qualcosa di concreto, automatizza ed efficientista, in cui tutto funziona, ma che allo stesso tempo scompare. Quest’astrazione ridisegna quella che è la vita collettiva, che non si svolge più nell’accordo tra esseri umani, ma dipende dai suoi stessi prodotti e finisce per rendere naturale l’ambiente che produce. Questa è la guerra dell’indistinzione, quella che coabita in un piano su cui cose altrimenti differenti e apparentemente irrelate sono portate a costruire relazioni possibili. In questo libro, insomma, l’obiettivo è quello di sottolineare sia la coesistenza dei conflitti sia la loro persistenza nel tempo, oltre le date della storia e dentro gli interessi del sistema produttivo dominante.

    Per formazione e competenze non analizzerò strategie, movimenti e spostamenti di truppe sul campo, ma concentrerò le ricerche sulla parte mediatica dei conflitti attraverso tre distinti movimenti critici. Uno concernente l’immagine, un altro la distanza e un terzo le politiche delle istituzioni culturali. Ho definito le tre parti di cui è composto questo testo come movimenti, proprio perché l’intento è quello di muovere delle critiche tanto a ciò che si vede quanto a ciò che resta invisibile o trasparente nei conflitti contemporanei. Innanzitutto partirò da una questione visuale; infatti, i conflitti del XX e del XXI secolo hanno una loro storia fatta di rappresentazioni visive. Esistono quando si vedono e quello che si vede è frutto di un’esplicita politica di rappresentazione. Proverò quindi a dare vita a un catalogo considerando l’immagine come un problema aperto e non come una soluzione alla questione della rappresentazione. Sulla linea del primo movimento avvierò il secondo in cui invece parlerò del modo in cui la tecnologia e l’infrastruttura digitale contribuiscono sempre di più a trasformare i combattimenti, ma soprattutto a innescare una politica della distanza: ovvero una serie di strategie, tecnologie e strumenti che hanno nella distanza il centro del loro funzionamento pratico e retorico. Infine, proverò a chiudere il cerchio magico dell’indistinzione ritornando prepotentemente nell’ambito delle istituzioni culturali. Tutto però a partire dall’arte, dalle sue ostinate prove di coraggio, alla sua impossibilità a rappresentare il presente, alla sudditanza ai sistemi di dominio, alla cieca convinzione di poter indagare l’invisibile.

    Immagine di copertina da Unsplash di Jakob Owens

    Note