Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Remweb.
Quando la V-A-C Foundation si è presentata tre anni fa sulla scena culturale veneziana, la reazione è stata tiepida. Forse perché è russo il magnate che ha preso il vecchio splendido palazzo alle Zattere, di fronte al Canale della Giudecca, e l’ha restaurato (il progettista è Alessandro Pedron) e aperto al pubblico. Un russo sconosciuto qui, fuori dal jet-set dei collezionisti. Forse perché le visioni d’arte che ha cominciato a esporre, tutte di calibro internazionale, avevano un retrogusto piuttosto malinconico. O forse, quello sguardo di sottecchi che in questi tre anni è stato riservato a questa Fondazione dipendeva dal sapore così cosmopolita e spiazzante del suo team e delle sue proposte, cose su cui la città sembra fuori allenamento.
Eppure. Prendete il giardino: è un piccolo paesaggio di palude, ispirato alle barene, foderato di piastrelle realizzate in una antica manifattura inglese. Le stesse usate per una installazione alla Biennale dai suoi progettisti, il collettivo Assemble, tra i più intelligenti artisti internazionali. Prendete la caffetteria: si chiama sudest 1401, è gestita dagli imprenditori afghani, arrivati a Venezia profughi e diventati dei punti di riferimento con i loro angoli gastronomici dell’Orient Experience. E poi prendete l’ultimo progetto lanciato dalla V-A-C per rispondere all’emergenza:
«le associazioni che lavorano in ambito sociale, culturale, artistico, letterario e artigianale, sono invitate a realizzare i propri progetti negli spazi della Fondazione, mettendo a disposizione gli ambienti, le infrastrutture e la tecnologia dello spazio alle Zattere».