Essere contemporaneo è scegliere di non parlare

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    Un uomo si affaccia alla finestra, è mattino. Un uomo sfiora con la sua guancia il vetro e ne percepisce il freddo. È febbraio, il sole neonato non è ancora così forte da scaldare. Un uomo osserva e vede persone che camminano per strada, alberi mossi da un filo di vento, vede l’incedere lento e nervoso di mezzi di locomozione, alcuni lasciano una scia di fumo nero altri sono semplicemente sospinti, biciclette, o motorini accompagnati da braccia umane. Un uomo intravvede la vetrina di un salone di bellezza. C’è un parrucchiere con in mano forbici lucenti, che nonostante la distanza restituiscono un luccichio nitido. Le lame attivate dalle dita negli anelli si stringono, e una ciocca di capelli biondi cade sul pavimento. Un uomo indugia, è curioso. Lo specchio, che congiunge pavimento e soffitto, restituisce ogni dettaglio, poi un uomo gira la testa. Quello stesso uomo sposta repentinamente lo sguardo verso nord-ovest. Vede una chiesa, un manipolo di gente che sosta in un piazzale, bambini che scorrazzano dietro a un pallone arancione. Si sente il rombo di un aereo, un suono invasivo e avvolgente, e l’uomo, d’istinto alza gli occhi al cielo e lo individua, ha scelto la direzione giusta per istinto sensoriale, e quello stesso uomo nota che la scia bianca è più corposa vicino al velivolo. E che più in lontananza la condensa lattea si fa più soffice, e si disperde.

    Nello spazio che un uomo osserva i fenomeni sembrano essere uniformi, consequenziali, governati dalla ragione, stabili. Tutte le implicazioni e i rapporti causa-effetto, il movimento dei mezzi, la ciocca che cade, la scia dell’aereo, sono per lui chiare e riconoscibili.

    In questo spazio che è direttamente visivo un uomo si sente abbastanza sicuro delle proprie percezioni. Gli sembra che scendesse in strada, saprebbe cavarsela. Quest’uomo è l’uomo secolare, l’uomo dell’era pre-elettronica.

    contemporaneo

    Anri Sala

    Quello stesso uomo guarda l’orologio. Si muove d’improvviso, è frettoloso. Raggiunge la sua scrivania e si siede. Ha il monitor acceso. Ha voglia di fare quello che per abitudine fa ogni mattina, ossia stare nella storia. Legge le notizie attraverso i mass media, vuole informarsi sul mondo e organizzare dei pensieri sulla realtà. Cos’altro potrebbe fare, un uomo? Un uomo, quindi, sta per trasformarsi in eternauta. Si connette al sito uno, due, tre quotidiani. C’è una discussione in parlamento, un attentato, un omicidio.

    Un personaggio pubblico dell’universo culturale è morto da poco. C’è un conflitto in un paese lontano. Stare nella storia non è mai stato così facile, così immediato.

    Un uomo-eternauta è in estasi. In pochi istanti, può accedere a ogni cosa, o per meglio dire alla sua rappresentazione, cioè a una ri-presentazione posteriore. C’è una donna magnifica in primo piano in un angolo del monitor, in alto a destra. È in bikini nonostante sia febbraio, un’attrice o una modella in vacanza.

    Un uomo-eternauta è distratto da un segnale acustico e quell’uomo è sviato, torna eternauta e attera su un social network. Scorre la timeline, un menù di moltitudine di stimolazioni diverse, tutte governate da diverse intenzioni, e di colpo ai sui occhi appare un’immagine che è iconica e archetipica, Portrait of Jeanne Hébuterne di Modigliani, 1918.

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    Amedeo Modigliani, Portrait of Jeanne Hébuterne

    Un uomo eternauta prova ironia – indignazione – saturazione – narcisismo – complesso di inferiorità, rapacità, senso di inadeguatezza per tutto ciò che potrebbe essere e non è. Un uomo, sempre eternauta, è attraversato dalle suddette intenzioni. Si alternano i temi, viaggi – shopping – sport – deal – life style. Un uomo-eternauta sbatte le ciglia, torna in sé per un nanosecondo, poi un uomo in piena metamorfosi apre una chat con un amico-uomo-eternauta, saluta, poi viaggia a ritroso, nello spazio elettronico del quotidiano e del quotidiano, che nel mondo tecnologico è il suo nuovo ambiente invisibile di riferimento, ossia lo spazio mentale in cui la sua coscienza si trova a vivere per la maggior parte del tempo.

    Un uomo-eternauta atterra contemporaneamente in Siria, in Egitto, a Montecitorio. È contemporaneamente in guerra, in senato, è nella kasbah del Cairo a indagare sulla morte di un ragazzo. Universi complessi; un uomo-eternauta li attraversa a velocità supersonica. Da poco è trascorsa la grande notte degli Oscar: ci sono commenti sulla magnificenza delle opere, riferimenti ai premiati, c’è il parterre con i flash.

    Una scritta rossa che lampeggia intermittente dice Hot, e a un uomo in metamorfosi contraria risulta chiaro che nella finestra corrispondente c’è qualcosa che bisogna sapere a tutti costi: si tratta delle scarpe Manolo Blahnik, ai piedi smaltati della miglior attrice protagonista, a Los Angeles, nella grande notte, sono chic o sono kitsch? Un uomo-eternauta osserva, apprezza la sottigliezza delle caviglie o impreca e guarda altrove, e altrove la sua attenzione è rapita, ancora e ancora, e un uomo vede l’immagine archetipica di una riunione aziendale.

    In America, legge, le aziende non sono più a struttura gerarchica, perché c’è Holocracy, e un eternauta rivive una momentanea metamorfosi inversa, torna uomo, e un uomo crede sia interessante sapere di cosa si tratta. Così legge, pensa di approfondire. Un uomo non ci riesce, la realtà ha una caratteristica primaria, quella di sottomettersi inesorabilmente a qualsiasi ipotesi si faccia su di lei. Si sottomette a tutto: a provocazioni, a paradossi, a semplificazioni. Ogni identificazione della realtà e del suo principio, è possibile. Un uomo-eternauta trova informazione pleonastica, infinita. Né nel sacro, né nel profano, che nemmeno si scambiano più, in quanto atomizzati nella medesima costellazione acustica. Tutto ciò che vede acusticamente, per lui è indecidibile.

    Infatti, allo stesso modo in cui l’udito di un uomo percepisce i suoni da tutte le direzioni in contemporanea, in una sfera di 360 gradi, un uomo divenuta eternauta accoglie tutte le stimolazioni elettriche possibili. Un eternauta non è più visivo (sequenziale e culturale secondo un ordine governato dalla ratio), ma è acustico. Un uomo-eternauta vive come se vagasse in un campo magnetico ed elettronico. Per un uomo-eternauta acustico, conoscere se stesso, vuol dire ricrearsi e recuperarsi in modo acustico. Si va realizzando così la profezia di Marshall McLuhan in Villaggio Globale. ≪Come tale, entro il prossimo secolo l’acustico distruggerà tutte le forme esistenti di strutture scolastiche. Ritorno all’elementare è l’ultimo squillo di tromba del tradizionalista≫. Il suono non scompare nel silenzio, ma nella condizione estatica del suono, il frastuono. Nel frastuono, l’infinito informativo si sublima nello zero, nello zero informazione. Fuori dal paradosso, al grado minimo d’informazione superficiale reiterata. L’elementare. Nel mondo acustico ed elettronico si è sempre in una condizione di pletora, non esiste verticalità.

    contemporaneo

    Anri Sala

    Impossibilitato per matrice tecnologica a restare totalmente visivo, l’uomo-eternauta acustico si crede, o qualcuno lo crede, contemporaneo. Lo è, ma solo dentro l’ambito dell’elementare. Fuori dall’elementare, non lo è più. E nemmeno lo sarebbe se provasse a restare visivo. Il perché lo spiega Giorgio Agamben in Che cos’è il contemporaneo e altri scritti:
    In un appunto dei suoi corsi al Collège de France, Roland Barthes la compendia in questo modo: “Il contemporaneo è l’intempestivo”. Nel 1874, Friedrich Nietzsche, un giovane filologo che aveva lavorato fin allora su testi greci e aveva due anni prima raggiunto un’improvvisa celebrità con La nascita della tragedia, pubblica le Unzeitgemässe Betrachtungen, le “Considerazioni intempestive”, con le quali vuole fare i conti col suo tempo, prendere posizione rispetto al presente. “Intempestiva questa considerazione lo è,” si legge all’inizio della seconda “Considerazione”, “perché cerca di comprendere come un male, un inconveniente e un difetto qualcosa di cui l’epoca va giustamente orgogliosa, cioè la sua cultura storica, perché io penso che siamo tutti divorati dalla febbre della storia e dovremmo almeno rendercene conto”. Nietzsche situa, cioè, la sua pretesa di “attualità”, la sua “contemporaneità” rispetto al presente, in una sconnessione e in una sfasatura. Appartiene veramente al suo tempo, è veramente contemporaneo colui che non coincide perfettamente con esso né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo senso, inattuale; ma, proprio per questo, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo, egli è capace più degli altri di percepire e afferrare il suo tempo. Questa non-coincidenza, questa discronia non significa, naturalmente, che contemporaneo sia colui che vive in un altro tempo, un nostalgico che si senta a casa più nell’Atene di Pericle o nella Parigi di Robespierre e del marchese di Sade che nella città e nel tempo in cui gli è stato dato di vivere. Un uomo intelligente può odiare il suo tempo, ma sa in ogni caso di appartenergli irrevocabilmente, sa di non poter sfuggire al suo tempo. La contemporaneità è, cioè, una singolare relazione col proprio tempo, che aderisce a esso e, insieme, ne prende le distanze; più precisamente, essa è quella relazione col tempo che aderisce a esso attraverso una sfasatura e un anacronismo. Coloro che coincidono troppo pienamente con l’epoca, che combaciano in ogni punto perfettamente con essa, non sono contemporanei perché, proprio per questo, non riescono a vederla, non possono tenere fisso lo sguardo su di essa.

    E qual è questa sconnessione? Qual è questa sfasatura? Qual è la discronia fondamentale? Quale l’anacronismo più prolifico e decisivo?

    Risiede nel saper cogliere l’intervallo di risonanza, la stretta interferenza dove c’è azione tra realtà sensibile ambigua e complessa e la sua rappresentazione, che altro non è, a un grado di percezione elettronica, l’evidenza di una simulazione. Risiede nell’intendere che tra realtà sensibile ambigua e complessa e grande macchina delle rappresentazioni esiste la stessa differenza che intercorre tra sincronico sensibile e diacronico universale. La stessa differenza che intercorre tra l’osservazione di una finestra aperta su un qualsiasi paesaggio (con l’infinita quantità di dettagli unici e irripetibili in evoluzione istante per istante), e il tromp l’oeil.

    contemporaneo

    Anri Sala

    Il contemporaneo, oggi sempre più che nell’era dell’uomo visivo, deve vivere in questo intervallo di risonanza, che è sempre tattile e comporta un’omeostasi continua, un sempiterno stato di sospensione tra la percezione e l’impercezione, tra la luce elettrica sempre accesa e il semi-buio degli occhi chiusi, condizione contro la quale il contemporaneo può opporre un’unica arma, quella del linguaggio poetico. Non vi è alcun tipo di linguaggio altro possibile per cogliere il contemporaneo.
    Come dice Baudrillard ne Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà:

    “L’identificazione del mondo è inutile. Bisogna cogliere le cose mentre dormono, o in altra congiuntura in cui si assentano da sé. Come in “La casa delle belle addormentate” (Yasunari Kawabata N.d.R.), in cui i vecchi passano la notte accanto a queste donne, pazzi di desiderio, ma senza toccarle, e si eclissano prima del loro risveglio.

    contemporaneo

    Anri Sala

    Anche loro sono distesi accanto a un oggetto che non è tale, e la cui totale indifferenza acuisce il senso erotico. Ma la cosa più enigmatica è il fatto che nulla permette di sapere se esse dormano veramente o se non godano maliziosamente, dal fondo del loro sonno, della loro seduzione e del loro desiderio in sospeso. 
Non essere sensibili a questo grado d’irrealtà e di gioco, di malizia e di spiritualità ironica del linguaggio e del mondo, significa di fatto non essere capaci di vivere. L’intelligenza non è nient’altro che questo presentimento dell’illusione universale, persino nella passione amorosa, senza che questa tuttavia risulti alterata nel suo movimento naturale. C’è qualcosa di più forte della passione: l’illusione. C’è qualcosa di più forte del sesso o della felicità: la passione dell’illusione.”

    L’unico momento in cui le cose dormono o si assentano da sé.

    Ovvero il buio. Ovvero la poesia, il linguaggio poetico.

    Essere davvero contemporaneo, è scegliere di non parlare, in questo tempo, nessuna altra lingua.

    Note