Chi sono gli artisti politici 2.0?

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    Ricordo ancora la gioiosa invasione di Palermo nel 2018 ad opera di Manifesta, la biennale itinerante di arti visive. La città si era predisposta a ricevere opere, pensieri, performance, installazioni, le più varie. E il carattere più specifico delle iniziative stava nella dimensione “attivistica”, anche concettuale, nell’azione politica di un’arte che, confrontandosi con uno spazio urbano e quindi con un organismo complesso, mostrava la sua volontà politica, che significa stare nel reale, aprirsi ai dialoghi, porre questioni legate al presente.

    Ma Manifesta non è assolutamente un caso isolato, basti pensare a manifestazioni come Documenta così come alle ultime Biennali a Venezia… insomma pare emergere con impellenza un’idea di arte politica, e a questo fenomeno Vincenzo Trione dedica un affascinante libro dal titolo Artivismo. Arte, politica, impegno (Einaudi). Iniziamo allora con il chiederci chi sono i protagonisti di questa tendenza: “Inclini a riarticolare – ci spiega Trione – il confronto tra l’io e il mondo non in una prospettiva psicologico-esistenziale ma in una chiave oggettivo-antropologica, gli artisti politici 2.0, perciò, concepiscono l’atto della documentazione come pratica transattiva. Attingono, prevalentemente, a materiali disseminati nell’’infosfera’, spazio relazionale, condiviso e comune dove l’umanità trascorre sempre più tempo e dove si svolgono sempre più attività.”

    Gli artisti politici 2.0 concepiscono l’atto della documentazione come pratica transattiva

    Un punto nodale questo del discorso di Trione perché inquadra perfettamente la “tendenza” che vuole fotografare, ma anche perché esplicita una scelta di campo: seppure coglie e sottolinea (non solo in questo punto ma in molti passaggi del testo) la stretta connessione tra nuovo attivismo artistico e tecnologie digitali, decide di focalizzarsi sull’aspetto concettuale. Non escludendo la dimensione formale, ma mettendo in rilievo il contenuto e il suo atto, una volta si sarebbe detto il “messaggio”. Dopo oltre un ventennio di sbornia tecnicista in cui il digitale sembrava poter spiegare ogni fatto artistico e creativo, Trione sceglie di sottendere (non tralasciare) l’aspetto tecnologico e di puntare su quello politico. E inoltre sceglie (anche in questo caso in maniera quasi brutale, ma questo deve fare un saggio) di appuntare il proprio sguardo critico sul sistema dell’arte e di escludere dal discorso quei movimenti che hanno deciso di abitare i territori delle sottoculture e dell’underground (ospitati da manifestazioni come Transmediale) che, seppure decisamente politici e attivisti, si sono connotati per una spinta palesemente tecnologica, valga per tutti il movimento hacker. 

    Per un libro complesso e ambizioso che prova a mappare un territorio e farne emergere, non solo le urgenze più significative, ma anche gli snodi di connessione sociale e culturale (con il cinema, la letteratura, la filosofia), si tratta di scelte fondamentali atte a definire un ambito e non perdersi in un inutile enciclopedismo. Da questo punto di vista può apparire un po’ schematico anche il dualismo tra postmoderno e artivismo che ogni tanto balena nel discorso, in cui sembrerebbe palesarsi una contrapposizione tra un momento di pensiero estetico dedicato soprattutto all’io e alla superficie, di contro a una presa di coscienza e a una pratica politica che, seppure non sia in grado (e nemmeno lo vorrebbe) di ripristinare il portato di una ideologia, ha comunque motivazioni impellenti. Nemmeno Fredric Jameson con il suo approccio critico al postmoderno aveva estremizzato in questo modo la questione, ma evidentemente si è voluto porre in risalto una tensione che contrappone, da una parte un approccio che rimanda alla lettura di certa sociologia storica (Adorno su tutti), dall’altra un’estetica della superficie dal carattere prevalentemente ludico. 

    Quello che Trione vuole mostrare è quindi un’emergenza, che si è decisamente nutrita di spinte dall’underground e dai movimenti digital attivisti, dal cyberpunk alla prima digital art (soprattutto quella dei collettivi), ma che ora invade il mainstream artistico con rilevanze e con protagonisti conosciuti anche da pubblici più vasti, e quindi incastonata in un immaginario più ampio. Penso a un nome su tutti, quello di Bansky. Ma anche Maurizio Cattean, Ai Weiwei, fino ad arrivare a Hito Steyerl che: “Disegna così i contorni di un paesaggio distopico: i videogames e Wikileaks, le fake news e il web, le tecnologie 3D e le forme di controllo, la speculazione finanziaria e la precarietà del controllo e della sorveglianza, il trionfo di un’economia neoliberale opaca e la militarizzazione della società, la ‘violenza della democrazia’ e la ‘democratizzazione della violenza’.”

    La tecnologia, quindi, viene posta al centro di un discorso sociale, culturale, politico, di una pratica artistica che si modella come prassi attivistica. In questo fenomeno Trione individua una tendenza capace di ragionare in termini diversi e che sottopone la tecnologia al vaglio di un pensiero critico piuttosto che ad una investitura utopica.

    Ma a Trione non basta segnalare un’emergenza nel mondo dell’arte, chiamare in causa alcuni artisti e opere, e nemmeno identificare con l’ausilio di saggi e articoli un territorio che si sta sempre più concretizzando, vuole anche provare a mapparlo questo territorio. Descriverne protagonisti, urgenze ed emergenze, ma anche catalogarne i generi e le dinamiche più rilevanti. Lo fa, per esempio, identificando nel tema delle migrazioni uno spazio concettuale e allo stesso tempo di attivismo creativo significativo: dall’opera multimediale Solid Sea 01. The Ghost Ship di Multiplicity a Human Flow di Ai Weiwei. Per arrivare a Carne y Arena, l’opera di Alejandro González Iñárritu in Realtà virtuale realizzata per Fondazione Prada sui migranti del confine tra Messico e Stati Uniti. C’è poi un ampio capitolo dedicato alla Bioestetica e alla Bioarte, e quindi a tutti quegli artisti che riflettono sul concetto di bios, di vita. E ancora le catastrofi e le emergenze dell’antropocene. Trione procede per catalogazioni aggiungendo e costruendo intorno a fenomeni, temi, approcci e, ovviamente, opere, categorie come i post-naturalisti-land, i neo-scientismi, il recycled design, i lirismi e i catastrofismi. Si riflette anche sugli spazi urbani e la loro urgenza comunicativa con il caso esemplare del già citato Bansky, preso ad epitome della street art tutta, ma anche l’opera di JR.

    Che cos’è dunque l’Artivismo per Trione? “Si tratta di una tendenza polimorfa, dai confini labili, sviluppatasi all’inizio del nuovo millennio, cui sono state dedicate importanti mostre: tra le altre, la settima Biennale di Berlino curata da Artur Zmijewski (nel 2012) e global aCtIVISm, a cura di Peter Weibel, allo ZKM di Karlsruhe (nel 2015).”

    Un movimento “polimorfo”, quindi, perché attraversata da poetiche diverse ma anche perché decide di non affidare il suo specifico poetico ad una tecnologia o ad un pacchetto tecnologico (la digital art, la new media art…) ma ad una polifonia di linguaggi e mezzi che definisce il nuovo approccio che, in qualche modo, è stato anche teorizzato altrove sotto l’etichetta di Postdigitale, laddove il postidigitale sposta l’attenzione dal mezzo alla poetica, al concetto, all’atto, presupponendo che il digitale non sia più uno strumento creativo ma una logica dominante del nostro tempo entro cui si situano fenomeni, pratiche, modi e attivismi, per l’appunto.

    “La consacrazione- continua Trione – risale al 2020, quando la rivista inglese ‘Art Review’ ha posto in cima alla Power 100 – la classifica delle personalità più influenti nell’art system – il Black Lives Matter, fondato nel 2013 negli Stati Uniti da Alicia Garza, Patrisse Cullors e Opal Tolmetti dopo l’assoluzione dell’assassino del nero Tryvon Martin.” Come si diceva, quindi, parliamo di un discorso che si coagula intorno all’emergere di stimoli e pressioni che provengono dalla società (e dall’underground) e che, a un certo punto, riescono ad avere rilevanza ed essere inseriti nel “sistema dell’arte” raggiungendo di conseguenza un immaginario ampio e riconoscibile.

    Protagonisti dell’artivismo sono figure che operano in contesti socio-culturali non contigui, agendo nella Rete e in luoghi marginali delle città attraverso happening, progetti partecipativi e azioni di hacking e di controinformazione, per alimentare il dibattito e la riflessione su questioni di carattere politico e sociale: ecologia, migrazioni, globalizzazione, diritti umani, parità di genere, rivendicazioni delle minoranze.”

    Osservatori, testimoni, attivisti… gli artisti si posizionano così nella società attraverso la propria sensibilità politica, la messa a punto di un sistema prima che estetico ideologico (o al massimo estetico/ideologico). Una tendenza, si diceva, che magari si affianca ad altre (penso sul versante opposto al normalmente ludico fenomeno della cryptoarte) ma che sta assumendo un ruolo di primo piano in stretta consonanza con i movimenti di attivismo sociale e politico.

    Vale la pena allora confrontarsi con la cartografia proposta da Trione per aver chiare anche le connessioni, le spinte, i fiumi carsici che stanno attraversano il nostro presente, dal nuovo ambientalismo al Me Too fino a Black Live Matter.

     

    Immagine di copertina: ph. Katie Moum da Unsplash

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