Anche i beni culturali subiscono per il lavoro precario

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    Erano un esercito di invisibili fino a qualche tempo fa. Ora una pattuglia qui, un’altra lì, anche i lavoratori precari nel variegato e mortificato ambiente dei beni culturali sono diventati un po’ più visibili. Nessuno però sa quanti siano, l’unica certezza è che sono tanti. Sottoscrivono appelli, protestano organizzano sit-in oppure dialogano con le commissioni parlamentari e con le amministrazioni comunali. Quando possono scioperano. Sono in fermento i lavoratori di due luoghi simbolo dei nostri beni culturali come Pompei e Firenze: nel capoluogo toscano uno sciopero indetto sabato 1 luglio dai dipendenti di Opera, l’azienda che ha in appalto i servizi di alcuni musei, tra i quali le Gallerie degli Uffizi, ha imposto a queste ultime di tener chiusi i battenti per tutto il pomeriggio.

    E così questi lavoratori e queste lavoratrici dimostrano che senza di loro molte biblioteche sono costrette a chiudere o a ridurre gli orari, in tanti archivi non c’è nessuno che faccia un inventario o che scenda nei depositi a recuperare faldoni pieni di documenti. Che insomma l’intero sistema dei beni culturali si blocca se dovesse incrociare le braccia chi, pur in possesso di elevati titoli di studio, con esperienze in Italia e all’estero, storico dell’arte, archeologo o amministrativo, decidesse di rifiutare contratti indecorosi, finte partite iva o la minaccia di vedersi sostituito da truppe di volontari.

    Immagine di copertina di Andy Holmes su Unsplash

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